«Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24).
Il sacrificio di Cristo è perfetto e completo, ma tramite l’amore egli ha desiderato che al suo disegno di redenzione partecipassero anche i credenti, così come le membra partecipano alla vita del corpo. La Chiesa è il corpo mistico di Cristo, ma se a questo corpo mancano le membra, il disegno non è compiuto. Una vite senza tralci rende «vana la passione di Cristo» (1Cor 1,17). Tutti i cristiani godono di questo dono esclusivo di poter essere compartecipi al progetto di redenzione, e questo avviene tramite la fede e la vita di grazia.
Tuttavia, alcune anime vengono scelte per essere unite alla passione di Gesù in modo speciale. Si tratta di “anime vittime”, che soffrono in modo particolare tramite le loro infermità o tramite il dono soprannaturale delle stigmate. Esse sono scelte per far piovere sull’umanità grazie straordinarie, pagate col prezzo di quelle sofferenze aggiuntive. Attraverso questi santi stigmatizzati, infatti, la vite cresce più rigogliosa del solito, e tutti ne vengono beneficati. Da una sola anima vittima può esprimersi una potenza conversiva di portata mondiale, come successe con san Francesco d’Assisi o san Pio da Pietrelcina. Anche se nella storia della Chiesa gli stigmatizzati sono piuttosto numerosi, sia fra gli uomini sia fra le donne, non esiste uno stigmatizzato uguale a un altro.
Santa Rita da Cascia aveva in dono la sola stigmata di una spina della corona di Gesù. Santa Alexandrina da Costa, oltre al suo personale calvario di inferma, e oltre ai suoi lunghissimi digiuni, soffriva anche ogni venerdì i dolori della crocifissione, della flagellazione, della corona di spine e del colpo di lancia. Spesso, la nostra curiosità si sofferma su questi aspetti straordinari, mentre invece si tratta di anime mistiche particolari i cui doni più profondi sono invisibili (vedi Le anime mistiche, il Timone n.133, p.61). Questi santi, che certo non amano masochisticamente il dolore, vedono però nella sofferenza una necessità salvifica, perché hanno ben compreso che il dolore, offerto unitamente alla passione di Cristo, è trasformato in strumento di salvezza preziosissimo. Essi proteggono il mondo diventandone i parafulmini con la loro continua offerta di riparazione. La loro motivazione è l’amore: innanzitutto l’amore verso Cristo, da cui liberamente accettano la crocifissione nelle proprie carni, in modo da essere compartecipi alla sua passione e quindi più profondamente uniti a lui, fino a poter dire come san Paolo: «Sono stato crocifisso insieme a Cristo… porto le stigmate di Gesù nel mio corpo» (Gal 2,19-6,17).
Le anime vittime In secondo luogo sono spinti dall’amore verso il prossimo, da cui “assorbono” i patimenti fino a ricavarne le grazie delle guarigioni. Ma soprattutto sono ansiosi della guarigione spirituale dei peccatori, perché conoscono il grande pericolo in cui questi incorrono, e ardono dal desiderio di concorrere alla loro salvezza. L’accettazione di sofferenze così grandi come quella del Calvario mistico può essere compresa solo nella logica di una donazione eccezionale di sé e di un amore straordinario verso Dio e verso il prossimo. Ovviamente, nessun credente dovrebbe chiedere per propria iniziativa tali sofferenze: rischierebbe di peccare di presunzione, oltre che di fidarsi troppo sulla sua presunta capacità di sostenere tali sofferenze. Occorre sempre seguire la grazia, non precederla.
Ogni credente può tuttavia partecipare al mistero di salvezza offrendo le sue preghiere, le sue malattie, e i suoi dolori quotidiani unitamente al corpo mistico che è la Chiesa. Il momento liturgico dell’Offertorio non consiste nella semplice anche se necessaria offerta del proprio denaro, ma nell’offerta integrale della propria vita, che, con tutto il suo bagaglio di sofferenze, viene consegnata all’altare insieme agli altri doni, affinché essa possa venire sublimata dal sacrificio eucaristico e resa partecipe dell’universale disegno di salvezza operato da Cristo.
«Tutta la Chiesa è unita all’offerta e all’intercessione di Cristo» (CCC 1369). «Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e seguirlo, poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme. Infatti, egli vuole associare al suo sacrificio redentore quelli stessi che ne sono i primi beneficiari… Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo» (CCC 618).
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