LA FEDE
Quanta confusione regna quando bisogna definire che cosa sia la fede. Giova dunque ricordare che la fede è “assenso volontario e intelligente alla verità di Dio”. San Tommaso d’Aquino, nella Somma Teologica, spiega che la fede comporta sempre l’assenso fermo dell’intelletto, quindi uno stato psicologico di certezza che esclude qualsiasi timore e dà gioia e riposo nella verità così conosciuta. Proprio perché comporta assenso certo e sicuro, la fede si distingue dal dubbio, dal sospetto e dall’opinione. Infatti, il “dubbio” consiste nella sospensione del giudizio, e nel dubbio l’intelletto non si decide in nessun verso. Il “sospetto” non è più un dubbio perché comporta invece una certa tendenza verso una soluzione piuttosto che un’altra, ma è una tendenza ancora troppo flebile per determinare l’intelletto a formulare un giudizio. Infine, per “opinione” si intende un giudizio che l’intelligenza pone non con certezza ma con il timore di sbagliarsi. Si legga: Tommaso d’Aquino, La virtù della fede. Le Questioni della Somma Teologica (Edizioni Studio Domenicano, 2013).
I VERI GIOIELLI
Un giorno, fu regalato a santa Gemma Galgani (1878-1903) un orologio d’oro con tanto di catenina. La santa, felicissima, se lo mise subito e uscì di casa, mossa dal desiderio che il prezioso monile fosse notato dalle amiche. Tornata a casa, le apparve un angelo, che lei riconobbe in seguito come il suo Angelo custode, il quale la riprese molto seriamente dicendole: «Ricordati che i monili preziosi che abbelliscono una sposa di un Re Crocifisso, altri non possono essere che le spine e la croce». Così leggiamo nella sua autobiografia. Da quel momento, Gemma abbandonò ogni forma di vanità, anche le più piccole, per coltivare al meglio il desiderio di conformarsi a Gesù crocifisso, fino a voler “patire e aiutare Gesù” nei suoi dolori. Si legga il bel libro di Gabriella Casciano, Storie di cristiani autentici. Report sui santi laici del nostro Novecento (Casa Editrice Kimerik, 2014), che, oltre a quella di santa Gemma, racconta la meravigliosa vita di tanti altri santi del secolo appena trascorso.
FORTEZZA
Nella Somma Teologica, san Tommaso spiega che se la virtù della fortezza rende fermi nell’operare il bene e nel sopportare il male, la mozione dello Spirito Santo fa sì che l’uomo giunga al fine di ogni opera buona cominciata sfuggendo a tutti i pericoli imminenti. Poiché questo eccede le forze della natura umana, trattasi evidentemente di un dono dello Spirito Santo, vale a dire il “dono della fortezza”, che consiste in una speciale fiducia infusa nell’animo che esclude ogni timore contrario.
FEDELI AL ROSARIO
Nel suo Una Madre per te. Riflessioni su Maria (San Paolo, 2014), don Vito Spagnolo ricorda moltissimi santi che recitavano quotidianamente il Rosario, ottenendo frutti impressionanti. Per esempio, san Francesco di Sales, che impiegava un’ora intera per recitarlo; sant’Alfonso, che novantenne agitava la corona ripetendo: «A questa catena è legata la salvezza della mia anima»; san Luigi Maria Grignion de Montfort, che affermava non essergli “sfuggito” nessun peccatore di quelli che aveva preso al collo con il suo Rosario; san Giuseppe Cottolengo, che ogni sera, affacciandosi alla sua finestra, batteva una vecchia paletta per avvertire i vicini che era l’ora della recita; Padre Pio da Pietrelcina, che sgranava ogni giorno un numero elevatissimo di corone, dicendo a tutti che il Rosario era la sua “arma”. Anche il santo papa Giovanni XXIII era un devoto del Rosario. Diceva: «Si meravigliano che un Papa trovi il tempo di dire quindici poste di Rosario al giorno. Però se non le dicessi non so come farei a fare il Papa».
POPOLI DEPORTATI
Nel secolo scorso, la Lituania, nazione profondamente cattolica, subì tremende persecuzioni dovute alla prima occupazione sovietica (giugno 1940-giugno 1941), all’occupazione tedesca (giugno 1941-luglio 1944) e alla seconda occupazione sovietica (luglio 1944) alla quale il popolo rispose con una lunga, coraggiosa resistenza, anche militare (1944-1953), schiacciata nel sangue. Nel corso della prima occupazione furono deportate in Siberia e nell’Asia Centrale 40.000 persone; oltre 100.000 lituani finirono nei campi di lavoro forzato tedeschi, ivi deportati dai nazisti durante la seconda occupazione; nel corso della terza, oltre 500.000 lituani furono deportati nei campi di lavoro forzato sovietici, e tra questi si contavano circa un quarto di tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica. Non solo: nel periodo fra l’avvento del potere sovietico e la fine degli anni Quaranta, la Lituania perse circa un milione di abitanti, un terzo della popolazione. Una persecuzione tremenda, di cui si può leggere nel saggio di Dalia Kuodité e Rokas Tracevskis, La guerra sconosciuta. La resistenza armata antisovietica in Lituania negli anni 1944-1953 (Il Cerchio Iniziative Editoriali, 2014).
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