Alla Santa Lega che il papa san Pio V riuscì a costituire il 20 maggio 1571 e che avrebbe vinto strepitosamente a Lepanto il 7 ottobre partecipavano la Spagna, Venezia e gli Stati dell’intera penisola italiana, riuniti in armi per la prima volta nella storia. C’erano i pontifici, la repubblica di Genova e perfino quella di Lucca, i Cavalieri di Malta, i Farnese di Parma, i Gonzaga di Mantova, gli Este di Ferrara, i Della Rovere di Urbino, il duca di Savoia e il granduca di Toscana. Mancavano i tedeschi e gli inglesi, ormai protestanti. Delle altre potenze cattoliche, i polacchi erano troppo direttamente minacciati via terra dai turchi. Gli ungheresi erano stati schiacciati nel 1527 nella battaglia di Mohacs, in cui il loro re Luigi era caduto. L’imperatore Massimiliano aveva visto la sua capitale, Vienna, assediata due anni dopo. I turchi in Europa dominavano su Grecia, Albania, Serbia, Bosnia, Ungheria, Transilvania, Moldavia e Valacchia. Da Valona potevano guardare negli occhi, per così dire, l’Italia e si sapeva che stavano radunando una gigantesca flotta per puntare direttamente su Roma. Il Mediterraneo era un «mare loro»: i regni barbareschi d’Africa erano tributari del sultano di Costantinopoli, il quale, dopo avere debellato i mamelucchi d’Egitto, aveva esteso la sua sovranità anche sulla Palestina e l’Arabia con La Mecca e Medina, diventando perciò «capo dei credenti». Delle grandi isole, in sua mano c’erano Rodi e Creta (aveva provato anche con Malta ma questa, unica, aveva resistito), e nello stesso anno di Lepanto cadde pure Cipro. A quel punto il jihad diventava totale e l’islam si preparava al colpo grosso. Quel che non era in suo potere era soggetto a continui attacchi, saccheggi e scorrerie. Non c’era città costiera che ne fosse indenne: Dalmazia, Sardegna, Corsica, Sicilia, Calabria, perfino la savoiarda Nizza conobbero la furia dei musulmani.
A parte le vittime cristiane che ciò comportava (oltre alla perdita economica: per secoli fu quasi impossibile stabilire alcunché di duraturo sulle coste, cosa che condannava intere regioni italiche e spagnole al sottosviluppo), il dramma più acuto erano gli schiavi, che gli islamici deportavano a centinaia di migliaia. Le femmine finivano negli harem e nei serragli, i maschi al lavoro forzato o ai remi sulle galere. Poiché tutta la ricchezza dell’intero islam apparteneva al sultano, persone comprese, nei territori sottomessi vigeva, oltre alla jizya (la tassa di “protezione”, valevole per le “genti del libro”, ebrei e cristiani: insomma, un pizzo ante litteram), il tributo annuale di bambini maschi, che venivano sottratti alle rispettive famiglie per essere allevati nell’islam e diventare giannizzeri.
La carità occidentale aveva risposto con ordini religiosi appositamente creati per raccogliere denaro e riscattare schiavi cristiani: i Mercedari e i Trinitari (ma anche i Lazzaristi nel XVII secolo: fondati da san Vincenzo Depaul, che era stato lui stesso schiavo). Solo che, spesso, turchi e barbareschi non stavano ai patti e tenevano il denaro senza rilasciare gli schiavi; anzi, magari uccidevano i religiosi venuti a effettuare il riscatto.
Ora, la notizia che i turchi si stavano preparando all’affondo finale fu alla base delle febbrili trattative con cui san Pio V riuscì a stringere i cristiani in Lega. La strategia dei cattolici era appunto quella di precedere i turchi con una flotta che cercasse la loro e li ingaggiasse in una battaglia definitiva. Fu quel che accadde a Lepanto, nel cui golfo le navi della Lega bloccarono quelle turche e, dopo quattro ore di combattimenti, le sconfissero (oggi il luogo, nell’ovest della Grecia, si chiama Naùpaktos).
Nella flotta cristiana militarono migliaia di volontari di ogni nazionalità, anche di quelle non direttamente partecipanti. C’era pure qualche francese, ma per conto suo, perché la Francia vistosamente non aderì alla Lega. Anzi, remò contro, visto che, alla vigilia della firma del patto, fece di tutto per distogliere Venezia dal prendervi parte. Infatti, la Serenissima aveva interessi divergenti da quelli della Spagna. A Venezia interessava solo riprendersi Cipro, mentre per gli spagnoli era vitale riappropriarsi dei loro caposaldi africani. Da qui, infatti, partivano non solo le scorrerie ma anche i rinforzi per i moriscos in terra spagnola: una grande rivolta di questi ultimi era stata domata con fatica da don Juan d’Austria, fratellastro del re Filippo II e poi comandante generale della Lega. Per giunta, spagnoli e veneziani avevano interessi divergenti anche in Lombardia, dove Milano, Lodi, Como e Pavia erano spagnole mentre Bergamo, Brescia, Vicenza e Verona erano veneziane. Sicilia e Sardegna, nonché Napoli, erano dominio spagnolo, e Genova, Piemonte e Toscana gravitavano nell’orbita spagnola. La Serenissima era dunque proiettata a Oriente e la perdita di Cipro era stata per essa una gravissima iattura. La Spagna, al contrario, doveva più che altro guardarsi dalle coste africane. Eppure, fu proprio la Spagna a caricarsi del maggior peso militare ed economico nella Lega. Il secondo posto fu quello di Venezia, che però dalla Lega medesima traeva il maggior vantaggio. Per questo la Francia puntava su di essa per sobillare l’alleanza.
Della virata filo-turca della Francia parla diffusamente un libro di Jean Dumont, Lépante, l’Histoire étouffée (1997). Mai tradotto in italiano, il titolo suona come «Lepanto, la Storia soffocata». Sì, proprio la Francia di san Luigi IX, la cui partecipazione alle crociate era stata così intensa che i musulmani chiamavano franij (franchi) tutti i cristiani delle spedizioni in Terrasanta. A inaugurare la svolta fu Francesco I, indispettito perché la corona del Sacro Romano Impero era andata a Carlo V e non a lui. Per giunta, aveva ereditato un astio antipapale dal suo avo Filippo il Bello, che con la Cattività Avignonese considerava il papato “cosa sua” ed era stato perciò l’arbitro dell’intera Cristianità. La “chiesa gallicana” (i vescovi erano nominati dal re e ne dipendevano) ne faceva il padrone assoluto del suo regno, che era il più potente d’Europa. E lo rimase finché non sorse la stella di Carlo V. Da qui la serie di guerre che Francesco I scatenò contro quello che riteneva il rivale e che terminarono con la sconfitta di Pavia (1525), nella quale lui stesso fu catturato. Proprio mentre era prigioniero mandò segretamente emissari a Solimano perché venisse a liberarlo. Non essendo la cosa concretamente fattibile (Francesco I era trattenuto, con tutti gli onori, a Madrid), si adoperò per mettere in difficoltà in qualunque modo il suo nemico: trescò con i calvinisti olandesi, in ribellione contro la Spagna, e la loro protettrice Elisabetta d’Inghilterra (che san Pio V aveva scomunicato), favorì gli ugonotti francesi, aizzò i turchi perché attaccassero l’Impero da Oriente e addirittura gli Stati del papa.
Sì, perché il Concilio di Trento, fortemente voluto da Carlo V, avrebbe messo a rischio il gallicanesimo francese: al papa andava dato un “avvertimento”. Infatti, per decenni i decreti conciliari non ebbero applicazione in Francia. Né il re di Francia si limitò a questo. Furono i soldi francesi a far passare il governatore della Transilvania, Zapolya, ai turchi e a permettere a questi ultimi di sconfiggere gli ungheresi a Mohacs. Quando Carlo V progettò di attaccare Tunisi, i suoi piani erano perfettamente noti al beylerbey (“Comandante dei comandanti”) Barbarossa, debitamente informato dal re francese (ma la vittoria spagnola ci fu lo stesso, perché i ventimila schiavi cristiani presenti a Tunisi si sollevarono e diedero man forte ai correligionari). Nel 1541 l’imperatore volse le sue armi contro Algeri, e ancora i musulmani li aspettavano, tanto che la spedizione fallì. Nel 1536 addirittura un trattato era stato firmato tra il sultano e la Francia. Nello stesso anno Barbarossa saccheggiava la Calabria, la Puglia e le isole adriatiche veneziane.
La flotta di Barbarossa fu accolta con tutti gli onori a Marsiglia e il pirata islamico ricevette una preziosa spada in dono. Poi, una squadra francese lo accompagnò a bombardare Nizza (appartenente alla Savoia) e a devastarla. Era il 1543 e la flotta musulmana poté approvvigionarsi nel porto francese di Tolone.
Sempre procedendo tra i saccheggi (gli abitanti di Lipari furono tutti massacrati), Barbarossa tornò a Costantinopoli con migliaia di schiavi cristiani e insieme alle navi francesi. Ma a questo punto l’indignazione fu generale e toccò gli stessi prìncipi protestanti tedeschi e pure l’inglese Enrico VIII. Ma non servì. Nel 1552 turchi e francesi progettarono di prendere Napoli (spagnola). Intanto, devastarono l’isola d’Elba (toscana) e la Corsica (genovese). Nel 1558 toccò a Sorrento e a Massa in Toscana, poi alle Baleari. Il rifugio delle flotte turche era il solito: Tolone. Ci volle la sconfitta di Saint-Quentin nel 1557 per convincere la Francia alla pace di Cateau-Cambrésis del 1559 con gli spagnoli.
Ma dieci anni dopo, a soli tre da Lepanto, la Francia firmava col nuovo sultano Selim II un altro trattato. La politica dei re di Francia continuò sullo stesso binario (nel 1683, mentre Marco d’Aviano liberava Vienna, Luigi XIV era alleato coi turchi) fino alla fine (solo con Napoleone la Francia cambiò rotta). Santa Marie-Marguerite Alacoque scongiurò Luigi XIV di consacrare il regno al Sacro Cuore. Il Re Sole non lo fece. Cento esatti anni dopo scoppiava la Rivoluzione. E ancora oggi la ex “figlia primogenita della Chiesa” è il covo del laicismo più sfegatato.
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl