Due “figure” rappresentative della civitas christiana medievale. Diffamate dalla cultura illuminista prima e da quella marxista poi. Rivalutiamole
Riappropriarsi della grande eredità del Medioevo cristiano è oggi prezioso per tutti i cattolici, soprattutto di fronte al franare di quella “modernità” che della negazione della Rivelazione e della visione del mondo cristiana ha fatto la base per la costruzione dell’odierna civiltà turbo capitalista.
E questa eredità si cristallizza attorno a tre figure esemplari, che crearono la civiltà del Medioevo cristiano, già studiate da eminenti storici: il contadino, il guerriero e il monaco (Per entrare in argomento vedi G. Duby, Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri, lavoratori, Laterza, e F. Cardini, Alle radici della Cavalleria medievale, Sansoni). Figure entrate da secoli nell’immaginario europeo, ma dotate di una propria robusta identità storica, le cui relazioni costruirono nei secoli VII-XIII d.C. quella meravigliosa sintesi che fu la spiritualità cavalleresca cristiana.
Secoli di diffamazione illuminista e liberale, poi marxista, hanno seppellito queste figure cardinali, e l’insieme della Civiltà del Medioevo cristiano, sotto una coltre deformante da cui è necessario iniziare a liberare in primo luogo se stessi, per liberarne poi la nostra società: come sempre la realtà storica ci aiuta a rompere il muro delle menzogne ideologiche. Come possiamo quindi oggi conoscere la spiritualità cavalleresca cristiana? Partiamo dalle fonti antiche, che dividiamo in tre gruppi:
a) I trattati organici sulla Cavalleria. Ricordiamo qui il De Laude Novae Militiae di San Bernardo di Chiaravalle del XII secolo (trad.it. a c. di M. Polia, Il Cerchio), l’anonimo Ordene de Chevalerie (XIII secolo), fino al più tardo Llibre del Orde de Cavaleria del Beato maiorchino Raimondo Lullo scritto verso il 1275 (trad. it. a c. di G. Allegra, Arktos), e parallelamente i trattati spirituali ad usum militibus, come il noto trattato di San Bernardino da Siena La battaglia e il saccheggio del Paradiso, ovvero della Gerusalemme celeste (trad.it. a c. di F. Cardini, Il Cerchio). Questi trattati non sono un’enciclopedia, ma hanno il valore, tipico della cultura medievale, di una summa, in cui cioè gli aspetti spirituali, etici e tecnici si uniscono in una sintesi. Si tratta pertanto di documenti essenziali per la comprensione dell’universo culturale e spirituale della Cavalleria.
b) Le fonti agiografiche. Queste comprendono da un lato le “Vite” di Santi cavalieri (un magnifico esempio è la Vita di San Galgano di Montesiepi, la cui più recente riedizione dobbiamo alla curatela di Franco Cardini per Cantagalli) e nello stesso tempo, in modo solo apparentemente contraddittorio, le “Vite” di alcuni esempi puramente negativi, di quelli che Franco Cardini ha efficacemente definito “anticavalieri”, milites dediti ad una vita di infrazione delle regole morali di base del proprio ceto e per questo passati alla leggenda come esempi negativi.
c) I cicli letterari epici, che in tutto il Medioevo ebbero un ruolo di enorme importanza nella diffusione di un’immagine “alta”, ideale della Cavalleria in tutt’Europa, senza distinzione di ceto, ma, al contrario, favorendo la diffusione del sistema di valori cavalleresco nell’intera christianitas medievale, ben aldilà quindi dei confini sociali del ceto cavalleresco. Questi scritti tradizionalmente si articolavano in tre cicli ampiamente compositi, definiti “Materie”: la Materia di Roma, la Materia di Francia (incentrata sui Paladini di Carlomagno) e la Materia di Bretagna, incentrata sul Graal e la figura di Re Artù.
La Cavalleria, frutto del crogiolo
Tutti riconoscono nel Cavaliere la figura più rappresentativa del Medioevo europeo. Essa, come l’epoca che lo generò, si presenta come sintesi originale di molti componenti, fusi assieme a comporre questa figura del tutto originale; come diversi metalli in un crogiolo creano una lega. Queste componenti ci riportano immediatamente alle grandi civiltà del periodo tardo antico: Roma, i popoli celto-germanici; la funzione spiritualmente ordinatrice in un’epoca di trapasso del Cristianesimo romano.
Roma assorbì dalla Persia, sull’onda della disastrosa sconfitta di Adrianopoli, la grande “novità” costituita dalla cavalleria pesante corazzata, i catafractii, che rapidamente il saggio pragmatismo romano assorbì all’interno della propria macchina militare, conservandoli per secoli. Dai popoli germanici giunse la mistica del branco a cavallo, che solo nei secoli si trasformò, fino a diventare schiera ordinata e disciplinata: ancora San Bernardo di Chiaravalle in pieno XII secolo ci tratteggia emblematiche figure di “anticavalieri” che al bellum iustum, organizzato e gerarchico, preferiscono la werra, la mischia individuale e scomposta, luogo dello scatenamento del wut, il furor germanico; parte integrante di questa “mistica” germanica era la fedeltà personale del singolo giovane cavaliere al capo, il senior: molto di questa fedeltà rimase viva nella cavalleria medievale fino al suo tramonto. Già dall’epoca longobarda queste truppe a cavallo, composte da iuniores legate al proprio senior da un patto di fedeltà per la vita e per la morte, entrano a far parte dell’esperienza quotidiana dell’Europa.
Dal lievito spirituale del Cristianesimo, tramite la mediazione della meditazione monastica, giunse poi quell’apparato allegorico e simbolico che elevò la cavalleria terrena a sentiero propedeutico alla Cavalleria Celeste, e che fece proprio il concetto di Militia estendendolo al grande conflitto cosmico cui ogni uomo è chiamato a partecipare: San Paolo scrive Militia est vita homini super terram.
Molte parole sono state spese sull’atteggiamento del Cristianesimo delle origini attorno all’uso delle armi, e spesso con scarsa cognizione di causa e ancor più scarso rispetto delle fonti (Sull’argomento, vedi introduttivamente l’Introduzione di Mario Polia a San Bernardo di Chiaravalle, L’Elogio della nuova Cavalleria. Ai Cavalieri del Tempio, citata). In realtà nella cultura cristiana medievale il combattimento concreto, terreno, militare, era immediatamente fondamento per un’interpretazione simbolica che ne faceva l’archetipo dell’atteggiamento del cristiano di fronte al Male presente ed operante nel mondo: in quanto miles Christi, ogni cristiano è chiamato a combattere la pugna spiritualis del suo Signore.
Fin dal Vangelo la figura cardine del mondo militare romano, il legionario (particolarmente odiato dal giudaismo), acquista infatti una valenza singolarmente positiva. Basti qui ricordare la celebre figura del Centurione di Cafarnao, che tratta Cristo come il generale di un esercito ultraterreno a cui chiede l’esercizio della stessa perfetta auctoritas sui demoni che egli, in quanto ufficiale, era uso esercitare sui suoi milites. È nota la risposta di Gesù: «Vi assicuro che non ho mai notato una fede come questa neppure nel popolo d’Israele » (Luca 7,9). È ancora un centurione che, al momento della morte di Cristo in croce, attesta: «Davvero costui era figlio di Dio!» (Matteo 27,54).
Negli Atti degli Apostoli è nuovamente grazie ad un centurione, Cornelio della Coorte Italica, che si deve l’esempio di pietas religiosa che convince Pietro ad accettare i “gentili” all’interno della Chiesa nascente (Atti, 10,15). Disciplina, sincerità, pietas, fides, senso della gerarchia – non solo terrena – sono le caratteristiche spirituali positive che la Sacra Scrittura attribuisce a queste figure di milites romani.
Il monaco
San Benedetto, il fondatore del monachesimo occidentale, vede nella sua Regola il monaco come atleta Christi, che incarna in modo perfetto la militia. Il monaco è, quindi, l’archetipo ed il primo fra i milites Christi. Nella nascita della Cavalleria europea è fondamentale il ruolo del monachesimo benedettino prima, cistercense poi. Nelle fonti del Ciclo del Graal,il monaco è colui che, romito nella foresta, accoglie, consiglia e confessa i Cavalieri che vanno alla Cerca, del Graal e di se stessi.
La sapienza cristiana medievale era in essenza sapienza simbolica: leggeva cioè la realtà non come piatta unidimensionalità apparente, ma come sinfonia di significati differenziati eppure sinergici tra loro: a titolo di esempio specifico ricordiamo quanto Dante nel Convivio scrive attorno al quadruplice senso della Scrittura. Non stupirà pertanto che anche la materialità del mestiere e degli strumenti della cavalleria fosse letta simbolicamente per secoli, fino al XVI secolo avanzato.
In sintesi, il mondo medievale in generale – e quello cavalleresco in particolar modo – viveva intero nella tensione evangelica tra il “già” e il “non ancora”, in cui la storia di ogni giorno e di ogni uomo veniva letta attraverso le lenti del mito, e diveniva perciò storia cristiana, vera “storia esemplare”.
IL TIMONE N. 129 – ANNO XVI – Gennaio 2014 – pag. 26 – 27
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