L’autorevole teologo della liturgia, Inos Biffi, osserva che: «non mancano improvvidi maestri ad insegnare che il “sacro” non esiste più, che il culto “in spirito e verità” ha superato il concetto di musica, di arte, di linguaggio “sacro”: il risultato è una deprimente secolarizzazione, sono quelle eucaristie sociologiche, di una monotonia insopportabile, dove il linguaggio, diventato “concreto”, “impegnato” ed ecumenicamente diluito, serve solo a informare sui bisogni dell’uomo, a declamare le sue imprese o quelle divine a misura umana, a ripetere ovvietà, e non invece a elogiare il dono della grazia e a proclamare gli eventi della redenzione. La questione vera è quella di riscoprire la res, non di affannarsi a cambiare la vox: questa, divenuta ordinaria, serve mirabilmente a rivelare che quella res si è smarrita o sfocata. E il primo, in tal caso, a essere ingannato e a restare deluso è il popolo di Dio» (Introduzione a A.I. Schuster, La Sacra Liturgia, Piemme, 1996, p. 9).
La res di cui si parla è costituita dal diritto di Dio di essere adorato come Egli vuole e ha stabilito sin dall’Antico Testamento (cfr i capitoli 25, 26 e 27 del Libro dell’Esodo) e dal Nuovo Testamento con le precise indicazioni date da Gesù agli Apostoli per la preparazione dell’Ultima Cena e le sue parole istitutive che si concludono con il monito «fate questo» al quale la canonistica classica fa risalire la doverosità.
La nozione che del diritto dà san Tommaso d’Aquino è «la cosa giusta in se stessa, ciò che è giusto». Se nella sacra liturgia affermiamo che rendere grazie al Signore nostro Dio «è cosa buona e giusta», vuol dire prima di tutto che Dio ha il diritto di essere adorato, in secondo luogo che tale adorazione deve essere conforme alla verità che ci ha rivelato in suo Figlio, infine che la liturgia è tale – opera del popolo santo – se è reso culto a Dio a nome della Chiesa e non dei semplici e singoli membri di essa.
Si è fatto presto a liquidare tutto sotto l’etichetta di “rubricismo”, senza accorgersi che la norma rituale non è ciò che limita o impedisce la significatività celebrativa, ma è ciò che rende possibile l’esistenza stessa di un rito.
Prima del Concilio Vaticano II la dimensione giuridica della liturgia era, in somma parte, pacificamente acquisita e riconosciuta; ovviamente ciò non significa che non vi fossero abusi, ma il culto pubblico era sicuramente ben custodito e protetto e con esso il diritto di Dio ad essere adorato come Egli stesso ha stabilito. Ora, è naturale domandarsi se la riforma della liturgia si sia distaccata dal dettato conciliare, oppure se sia stata la stessa riforma liturgica a infliggere un vulnus all’osservanza delle norme fondamentali della liturgia romana, o al principio stesso di diritto liturgico. Infatti, le stesse considerazioni di Papa Benedetto XVI: «in molti luoghi non si celebrava in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura veniva inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale portò spesso a deformazioni della Liturgia al limite del sopportabile», scritte nella Lettera ai Vescovi che accompagnava la pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum, portano a ritenere che sia accaduto qualcosa di più di un distacco dal dettato conciliare e che addirittura la stessa relazione ontologica e necessaria tra diritto e Liturgia sia stata misconosciuta o ancor di più distrutta.
Dunque, come ha scritto Joseph Ratzinger in Introduzione allo spirito della liturgia: «culto e diritto non possono essere completamente separati tra di loro: Dio ha diritto alla risposta dell’uomo, all’uomo stesso, e dove questo diritto di Dio scompare del tutto si dissolve anche l’ordinamento giuridico umano, perché gli viene a mancare la pietra angolare che tiene insieme il tutto».
DA NON PERDERE
Il crollo della liturgia cattolica dipende dalla caduta del sacro, che ha portato all’inosservanza delle disposizioni liturgiche ritenute non più normative. Da come preghiamo si vede in che cosa crediamo, se non si rispetta la liturgia, si disprezza la dottrina. Lo documenta il chiaro e agile studio I diritti di Dio. La liturgia dopo il Vaticano II (Sugarco, pp. 140 pagine, € 15) scritto da Daniele Nigro, giovane studioso di Diritto Canonico. Molti aspetti del diritto liturgico si trovano al di fuori del Codice di Diritto Canonico e non sono mai stati completamente codificati in un unico volume; così, l’indagine parte dalla funzione normativa delle rubriche liturgiche per giungere a considerare la Costituzione Liturgica del Vaticano II e a proporre una teoria fondamentale del sacro per risolvere il dissenso sulla natura della liturgia. Per riformare seriamente la liturgia, è preliminare ricondurre il culto al sacro, cioè al rapporto con Dio trascendente che si è incarnato. La liturgia scende dal cielo sulla terra, non può essere una “liturgia fai da te”.
IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 47
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl