La vocazione femminile è accogliere. Ma è stata smarrita, grazie anche all’inganno del femminismo. In questo momento di crisi, è proprio dalle donne che si può ripartire
Non so se vi è mai capitato di vedere, magari tra le immagini di un tg, un accampamento di rifugiati, o un luogo in cui siano appena sbarcati degli immigrati da un barcone: di solito gli uomini stanno lì abbandonati, se possono fumano o bevono, comunque non fanno niente. Le donne invece trovano sempre il modo di combinare qualcosa: dare una pulita, prendere uno straccio o almeno un secchio d’acqua, e rendere l’ambiente un po’ accogliente.
Rendere il mondo accogliente
Lo fanno perché non sono mai lì solo per se stesse, ma per quelli che sono loro affidati, i figli per primi. Questo è lo specifico femminile: accogliere e rendere il mondo intorno accogliente. È la loro chiamata.
Non sono certo femminista, anzi, a volte vengo accusata di misoginia, ma credo profondamente che ci siano dei momenti particolarmente difficili in cui le donne sono le uniche capaci di tenere viva la speranza. In questo momento di crisi, in cui ci guardiamo intorno e ci sembra di vedere solo macerie in gran parte dell’Occidente, è proprio dalle donne che si può ripartire. Quando tutto sembra perduto, le donne tengono la luce accesa, alimentano il fuoco, mantengono la casa calda. Se c’è una donna accogliente, la vita non si ferma. La donna è fantasiosa, se c’è da difendere la vita trova mille modi per farlo, si ingegna, si organizza, chiede aiuto, lo dà anche quando sembra non averne per sé: è il genio della relazione di cui scrive Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem. Lo fa tutti i giorni, nel quotidiano, nelle piccole emergenze, con quel talento speciale che le permette di sedare una rissa decretando a chi spetta la palla mentre prepara quattro merende, consolare un’amica al telefono e farsi consolare da un’altra dal vivo, raccogliere confidenze filiali o proposte di matrimonio di giovani cavalieri con una tenda per mantello, asciugare lacrime, correggere compiti, preparare cene e ricordare bollette, e magari anche sistemare i fiori nel vaso, perché il bello per la donna non è mai superfluo. È il primato dell’amore di cui parlava anche Pio XII, è la stanza che la donna riesce a mantenere calda, come diceva Edith Stein.
Stanche e arrabbiate
Ma che donne si vedono oggi in giro? Qui il rischio di generalizzare è fortissimo, ma se devo scegliere una parola direi: stanche, e spesso anche un po’ arrabbiate. Se, come diceva il vescovo americano e Servo di Dio Fulton Sheen, la temperatura spirituale di un’epoca è data dal livello delle donne che la abitano, possiamo dire che la responsabilità di questo spaesamento è almeno anche delle donne che hanno perso la loro vera identità. Non hanno tempo di educare, non ce la fanno a essere accoglienti, a rimandare ai loro uomini un’immagine bella e buona degli uomini stessi – tu per me sei buono, tutto quello che fai è fatto bene – che è l’unico modo per invitare l’uomo a puntare alto, a spendere la vita senza risparmiarne una goccia, come l’egoismo maschile cerca sempre di fare.
Le conseguenze del femminismo
Le donne sentono di non riuscire mai a rispondere pienamente al modello che viene loro proposto: essere tante cose, e tutte in modo perfetto. Lavoratrici di successo, compagne seducenti, madri di figli che diano «prestazioni all’altezza delle attese», in forma, colte, belle, aggiornate. Devono essere come gli uomini, combattere con loro negli stessi campi di battaglia, ed essere contemporaneamente anche sui loro propri. Una fatica bestiale.
Anche se le mie amiche in questione negherebbero persino sotto tortura, qualche giorno fa sono riuscita ad estorcere ad alcune di loro, insospettabili, l’ammissione: «Siamo stanche. Il femminismo ci ha fregate. Vorrei essere a casa e non qui al lavoro, vorrei essere a preparare il pranzo a mio marito e ai bambini, o almeno la merenda. Vorrei che qualcuno provvedesse a me economicamente, cosa che sarebbe possibile se gli stipendi non fossero dimezzati (forse anche perché sono raddoppiati i lavoratori, con l’ingresso delle donne…) e io terrei a posto la casa, cucinerei, guarderei i compiti, andrei ai colloqui con le maestre senza spasmi allo stomaco, con un occhio all’orologio e uno al cellulare (praticamente strabica) per vedere se qualcuno dal lavoro mi richiama all’ordine. Magari potrei anche andare dal parrucchiere di mattina, mentre i figli sono a scuola. Un sogno». Se sapessero che sto rivelando questo sfogo mi strozzerebbero (questo sarebbe il vero outing che farebbe scandalo oggi, non quello del solito omosessuale).
L’influsso delle lobbies
Il modello che è stato proposto alle donne a partire dalla rivoluzione femminista trova il compimento nel manifesto della Conferenza di Pechino che, nel 1995, dichiarò apertamente le due parole d’ordine per le quali si sarebbero dovute spendere le donne di tutto il mondo, e anche le organizzazioni sovranazionali come l’Onu e l’Unione Europea che ne appoggiano il disegno: empowerment e mainstreaming, nel nome delle gender theories.
Le gender theories, come denunciava anche Joseph Ratzinger nella sua prefazione al libro Il nuovo disordine mondiale (e anche in molte altre occasioni), sono alla base di un modello che non vuole la vita e la felicità dell’uomo, che mina alle fondamenta il progetto di Dio sul mondo, cioè la famiglia. Secondo le teorie del genere, maschio e femmina non sono identità sessuali ben specifiche ricevute in dono. L’orientamento sessuale, piuttosto, sarebbe qualcosa di indotto culturalmente, e potrebbe dunque essere scelto dall’individuo, ed eventualmente anche cambiato e riformulato più volte nel corso dell’esistenza. Questo significa, tra le altre molte implicazioni, che la famiglia non è più l’unica via per realizzare l’uomo e la donna – in alternativa alla vita consacrata – e non è più l’unico ambiente necessario per dare e accogliere la vita. Così la polarità maschile e femminile viene profondamente alterata, e gli equilibri si perdono, le famiglie cigolano, le persone barcollano.
Donne che danno speranza
Scrivendo queste cose nei miei libri e articoli mi è capitato di intercettare il sentire comune di tante donne che non sono rappresentate sui giornali, non su quelli di mainstreaming: tante mi hanno scritto dicendo con rammarico «ah, se avessi letto prima!», e le più giovani, «questo è il modo in cui vorrei vivere, da grande».
La maggioranza sono le donne, tante, tantissime, silenziose ma numerose, che in questo modo stanno già vivendo: mettendo marito e figli al primo posto, chiedendo al lavoro non le quote rosa o un posto nel consiglio di amministrazione, ma il diritto ad essere prima di tutto madri serie e presenti con i loro figli. Queste sono le cose che stanno davvero a cuore alle donne che hanno il coraggio di non lasciarsi condizionare dai mantra ripetuti a pappagallo da tutti i media, ma che rimangono in contatto con la loro vera identità, non solo e non tanto perché «è la Chiesa che lo dice», ma perché questa è la vera felicità di ogni donna.
Le donne sapranno, con la loro fantasia e creatività, anzi cre-attività (chi ha mai visto una mamma lavoratrice ferma per più di un minuto e dodici secondi durante la giornata?), trovare il modo di mettere insieme tutte le facce della loro vita nel modo giusto, ma solo a patto che sappiano mettere a posto le priorità: prima la capacità di accoglienza, dunque prima i figli e il marito, le persone che sono loro affidate da Dio stesso, che (come scriveva Giovanni Paolo II) affida l’umanità alla donna.
Ricorda
«La forza morale della donna, la sua forza spirituale si unisce con la consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l’uomo, l’essere umano. Naturalmente, Dio affida ogni uomo a tutti e a ciascuno. Tuttavia, questo affidamento riguarda in modo speciale la donna – proprio a motivo della sua femminilità – ed esso decide in particolare della sua vocazione».
(Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, § 30)
Per saperne di più…
Edith Stein, La donna. Questioni e riflessioni, OCD, 2010.
Michael Schooyans, Il nuovo disordine mondiale, prefazione di Joseph Ratzinger, San Paolo, 2000.
Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, 1988.
Jo Croissant, Il mistero della donna, Ancora, 1997.
IL TIMONE N. 124 – ANNO XV – Giugno 2013 – pag. 16 – 17
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