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12.12.2024

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L’itinerario di Agostino
31 Gennaio 2014

L’itinerario di Agostino

Dal manicheismo allo scetticismo e poi alla conversione. E ancora: fede e ragione, libertà e grazia, l’incontro con Dio nel pensiero e nella vita del padre dell’Occidente latino


Il fascino che la figura di S. Agostino d’Ippona (354-430) continua a suscitare a distanza di quasi diciassette secoli è intimamente legato all’amore per la sapienza e la verità che la sua vita e la sua opera sprigionano.

Fede e ragione

Il suo fu un cammino singolare. Educato dalla madre santa Monica alla fede in Dio e all’amore per il nome di Cristo, si era allontanato dalla Chiesa dopo la lettura in giovane età dell’Ortensio di Cicerone. Il contatto con la filosofia aveva risvegliato nel suo cuore l’amore per la «sapienza immortale», che iniziò a bramare «con incredibile ardore »; essa lo aveva persuaso di dover seguire «non coloro che comandano di credere, ma coloro che insegnano la verità». Leggendo le Sacre Scritture con questo spirito razionalista, che contrapponeva fede e ragione, si sentì respinto dai misteri rivelati, convincendosi che la fede della Chiesa fosse irragionevole e aderì al manicheismo, che prometteva ai propri discepoli «di condurre a Dio […] con la pura e semplice ragione». Però, approfondendo negli anni lo studio della dottrina manichea, si accorse di essersi ingannato. I manichei, infatti, sostenevano l’esistenza di due principi divini originari, uno buono e uno cattivo, e spiegavano il male come prodotto del secondo principio. Ma, riflettendo sul fatto che non possono esistere contemporaneamente due principi infiniti, in quanto uno annullerebbe l’altro e viceversa, Agostino si rese conto che la spiegazione fornita dal dualismo manicheo al problema del male è illusoria.
Cadde allora in un profondo scoramento, gli sembrava che fosse impossibile conoscere la verità e che la soluzione migliore fosse lo scetticismo. La ragione senza la fede lo aveva messo sotto scacco: dal razionalismo era pervenuto allo scetticismo attraverso una progressione logica e inevitabile. Da questa condizione Agostino uscirà grazie alla certezza che l’anima umana deve avere in sé la possibilità di conoscere la verità (anche perché c’è una certezza assoluta che sconfigge lo scetticismo: «si fallor sum»; vale a dire: se la mia ragione si sbaglia nelle sue conoscenze, è almeno certo e vero che io esisto, perché non posso sbagliarmi senza esistere) e, se non riesce a trovarla subito, deve proseguire nella ricerca diligente del metodo che le consenta di uscire dalla difficoltà. Continuando a cercare trovò questo metodo nella collaborazione tra ragione e fede, scoprendo che la fede non è destinata a umiliare la ragione, ma a sostenerla nella ricerca della verità: «la fede ha i suoi occhi con i quali vede che è vero ciò che ancora non vede».
Ma il suo cammino non era ancora concluso: aveva intravisto la meta, ma doveva ancora trovare la via e la forza per raggiungerla. Si gettò allora «con la massima avidità», come scrive egli stesso, «sulla venerabile Scrittura» dove trovò Cristo, Sapienza di Dio, che lo condurrà alla conversione e poi alla sua vita successiva di monaco, sacerdote e vescovo.

Libertà e grazia
Lungo tutta la vita Agostino viene guidato dall’amore per la sapienza e per la verità. Questo amore nutrì prima la ricerca e poi l’approfondimento e la difesa della fede cattolica contro coloro che la negavano o ne davano interpretazioni errate.
La conversione, momento decisivo della sua storia personale, è accompagnata dalla scoperta dell’incapacità di sollevarsi dal peccato senza la grazia divina, grazia che non elimina il libero arbitrio, ma opera restituendogli quell’efficacia per il bene di cui era stato privato dal peccato. Il male, osserva Agostino, s’incontra solo negli atti delle creature razionali. Le colpe morali derivano dal cattivo uso che l’uomo fa del libero arbitrio; l’uomo pecca quando si distoglie dal suo fine per godere di sé o delle cose a lui inferiori. Così, il peccato originale ha avuto come conseguenza la ribellione del corpo contro l’anima e da tale ribellione provengono la concupiscenza e l’ignoranza: l’anima, creata per reggere il corpo, si trova a essere governata da lui. La conversione a Dio, in termini di conoscenza, consisterà allora nello sforzo della ragione che si volge dal sensibile allo spirituale.
La definizione di uomo data da Platone nell’Alcibiade e ripresa da Plotino esercita un’influenza decisiva sul pensiero di Agostino: l’uomo è un’anima che si serve di un corpo. Come cristiano, Agostino è però attento a ricordare che l’uomo è unità di anima e corpo. Presente all’intero corpo, l’anima è unita ad esso attraverso l’azione che esercita per vivificarlo, reggerlo e vegliare su di lui. Essa è presente a tutto ciò che accade, nulla le sfugge; i sensi subiscono l’azione dei corpi esterni, l’anima non lascia passare inavvertita la modificazione del corpo e con prontezza istantanea trae dalla sua sostanza un’immagine simile all’oggetto. Il prodotto di quest’azione è la sensazione. Le sensazioni sono dunque azioni che l’anima compie, non passioni che essa subisce.
Il corpo dell’uomo non è stato creato come prigione dell’anima, lo è diventato in conseguenza del peccato originale. Il dominio del corpo sull’anima è conseguenza del ripiegamento dell’anima sui beni materiali: l’anima arriva a credere che esista solo la materia. In questo stato di decadenza l’uomo non può salvarsi con le sue sole forze. La grazia è dunque necessaria per rimuovere ignoranza e debolezza, ostacoli che occorre superare per riacquistare la libertà.

Dio e uomo
Nei Soliloqui Agostino dichiara lo scopo della sua ricerca: «Io desidero conoscere Dio e l’anima». Questo binomio verrà approfondito costantemente riflettendo sull’uomo alla luce di Dio e su Dio a partire dall’uomo che ne è l’immagine.
Nella profondità del cuore umano è presente Dio, perciò conoscere se stessi è sia conoscersi come immagine di Dio, che conoscere Dio. Agostino esorta a cercare la verità nell’interiorità dello spirito: «Non uscire fuori, rientra in te stesso: la verità abita nell’intimo dell’uomo. E se poi scopri che la tua natura è mutevole, pensa a ciò che ti trascende» (De vera religione 1,2,3). La presenza di Dio nell’uomo è profonda e misteriosa: «Io vagavo lontano da te, tu, invece, eri più dentro in me della mia parte più profonda», dice nelle Confessioni. E aggiunge «eri con me, e io non ero con te», «io mi ero allontanato da me e non mi ritrovavo. Tanto meno ritrovavo te». Chi non trova se stesso non trova neppure Dio, perché tra Dio e l’uomo c’è un rapporto essenziale e indistruttibile. L’uomo, partendo dall’autoconoscenza, conoscendo di essere, di conoscere e di amare, può pervenire a Dio che è l’Essere stesso, l’eterna Verità e l’eterno Amore e, rientrando nella propria interiorità, può incontrare Dio come «la causa dell’universo creato, la luce della verità che percepiamo, la fonte della felicità che assaporiamo».
Tra i molti insegnamenti di s. Agostino che hanno conservato una straordinaria attualità ha una rilevanza particolare l’idea espressa nella prima lettera redatta dopo la conversione: «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità». A chi cerca la verità, poi, insegna a indagare con «umiltà, disinteresse, diligenza», a superare lo scetticismo rientrando in se stessi, dove la verità abita.



IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 32 – 33

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