Alcune sentenze della Corte Europea dei diritti umani spiegano come ormai la libertà religiosa non sia più un valore assoluto e la discriminazione viene punita solo se le vittime non sono i cristiani. E gli episodi di intolleranza e violenza crescono
Può sembrare paradossale, ma oggi il più grosso limite alla libertà religiosa in Europa è il principio di “non discriminazione”. Può sembrare paradossale perché in realtà è proprio la libertà religiosa, ovvero «la libertà di cercare, riconoscere e scegliere la verità» secondo la definizione di papa Benedetto XVI, che dovrebbe garantire ciascuna persona da coercizioni e discriminazioni, in quanto il valore della persona non dipende più dall’appartenenza a un sesso, a un popolo o a una casta o quel che sia ma per ciò che accomuna tutti e ciascuno: il desiderio ultimo di verità, di libertà e di giustizia. Come chiarisce San Paolo: «Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna». Ma al riconoscimento della realtà, in Europa – ma si dovrebbe dire in tutto il mondo occidentale – si è già sostituita l’ideologia: ideologie nuove che rappresentano una vera e propria rivoluzione antropologica, come ha più volte ripetuto recentemente Benedetto XVI, tendente a cancellare l’uomo e perciò Dio.
Quello della “non discriminazione”, in realtà, non sarebbe un principio nuovo, ma fino a pochi anni fa era citato nella sua versione positiva, ovvero il principio di eguaglianza, come troviamo ad esempio anche nell’articolo 3 della nostra Costituzione, secondo il quale «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Analogo è l’articolo 14 della Convenzione Europea dei diritti umani. Tale principio di eguaglianza ci dice che non si possono trattare in modo differente le persone davanti a situazioni simili. Ma da alcuni anni, sulla spinta delle solite lobby, si è affermata una interpretazione negativa del principio per cui non si possono trattare diversamente le persone anche davanti a situazioni oggettivamente differenti. Questa lunga e – spero non troppo tediosa – introduzione spiega la sentenza dello scorso 15 gennaio della Corte Europea dei diritti umani (organo legato al Consiglio d’Europa e non all’Unione Europea) su quattro diversi casi occorsi in Gran Bretagna. Sui media i titoli si sono soffermati soprattutto sulla prima sentenza, quella che riguardava una hostess della compagnia aerea britannica British Airways, che era stata licenziata nel 2006 perché si rifiutava di togliersi una piccola croce che portava appesa alla sua catenina. In questo caso, la Corte Europea ha dato ragione alla donna perché la sua libertà religiosa prevale sui regolamenti interni della British Airways, che peraltro nel frattempo sono stati modificati per le proteste internazionali che le sono piovute addosso.
Ma in realtà, la questione più interessante per il nostro discorso riguarda le ultime due sentenze: nella prima, una impiegata municipale a Londra addetta ai matrimoni civili era stata licenziata perché, come cristiana, si rifiutava di celebrare le unioni civili tra omosessuali, introdotte per legge in Gran Bretagna nel 2007. Nel secondo caso, uno psicologo specializzato nella terapia di coppia con problemi sessuali era stato licenziato perché si era rifiutato di prestare la sua assistenza a coppie omosessuali che chiedevano di migliorare la qualità dei loro rapporti sessuali. Ebbene, in entrambi i casi la Corte Europea ha dato torto ai due dipendenti e dichiarato legittimo il loro licenziamento in quanto ha posto sullo stesso piano due diritti, che discendono l’uno dalla libertà religiosa e l’altro dal principio di “non discriminazione”. Spetta quindi ai tribunali nazionali – dice sempre la Corte Europea – a quale dare la preminenza.
In altre parole, la Corte Europea non ritiene la libertà religiosa – e quindi l’obiezione di coscienza – un valore assoluto, ma qualcosa che può essere concessa o negata a seconda delle circostanze.
È evidente la gravità della sentenza e la deriva verso uno Stato etico, magari sovranazionale come può esserlo ad esempio l’Unione Europea. Il paradosso è che in nome del principio di “non discriminazione” si legittima la discriminazione verso i cristiani – e in particolare i cattolici – a partire dal posto di lavoro. E questo peraltro si situa già in un quadro di crescente intolleranza e discriminazione verso i cristiani in tutti i Paesi europei, al punto che è nato un apposito Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa, che ora raccoglie anno per anno i vari episodi che vedono vessati i cristiani. L’ultimo rapporto, che riguarda il 2011 (quello sul 2012 è previsto per marzo), ha registrato ben 180 casi in cui la libertà dei cristiani è stata limitata e questo riguarda un po’ tutti i Paesi europei. Ma a scorrere l’elenco non si può non notare come i problemi per i cristiani nascano spesso intorno ai cosiddetti princìpi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione. Si va dall’arresto di genitori in Germania che rifiutano di far partecipare i figli a lezioni scolastiche di educazione sessuale (che in realtà sono un’introduzione alla promiscuità), al divieto di operare in diversi Paesi europei per psicologi che offrono terapie per persone che provano un’attrazione non voluta verso persone dello stesso sesso; dall’interruzione violenta in Francia di manifestazioni per la vita all’obbligo per un medico in Spagna – sancito da un tribunale – di informare le donne su dove abortire; fino al licenziamento di un insegnante in Croazia per aver parlato di omosessualità secondo il catechismo della Chiesa cattolica durante l’ora di religione.
Al contrario, c’è ampia tolleranza per manifestazioni di odio contro i cristiani e per gli atti di vandalismo: non solo si ricorda ciò che è successo a Roma in occasione della manifestazione degli “indignati” in cui è stata profanata una chiesa e distrutta una statua della Madonna, ma fatti simili sono molto più frequenti di quel che si possa pensare: anche in Francia, una statua della Madonna è stata decapitata a La-Rochesur- Yon, e atti vandalici contro le chiese si sono registrati anche in Germania, in Spagna e in Inghilterra. All’Università di Barcellona è stata interrotta violentemente una messa e ulteriori celebrazioni sospese per mancanza di sicurezza, e altrettanto è accaduto a Valladolid, sempre in Spagna.
Il tutto, va sottolineato, senza che né le autorità né l’opinione pubblica abbiano affatto reagito. E in questo clima, c’è da stupirsi se sono in aumento in diversi Paesi anche le minacce e le intimidazioni dei musulmani verso i cristiani?
IL TIMONE N. 120 – ANNO XV – Febbraio 2013 – pag. 18 – 19
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