Il recentissimo film è occasione per riscoprire una splendida fiaba, arricchita di elementi eroici, mitici e morali. Emerge la ricerca di una crescita interiore, intellettuale, etica e spirituale. Tolkien, vero Omero cristiano del XX secolo, ha saputo riproporre il genere letterario epico
Lo Hobbit, settantacinque anni dopo. In occasione di questo significativo anniversario della pubblicazione di un libro che venne definito da autorevoli critici, come Winstan Auden, «la più bella fiaba del ’900», il regista Peter Jackson ha dato vita ad una trilogia cinematografica che ci accompagnerà per tre anni.
Il creativo neozelandese sembra possedere una specie di naturale propensione per il fantastico, e sembrerebbe avere un vero e proprio feeling con l’opera tolkieniana, con la quale, già nel Signore degli Anelli, era entrato in profonda sintonia. Il film, che proprio nell’imminenza della sua uscita è stato oggetto di attacchi da parte di animalisti che lamentavano presunti maltrattamenti ad animali avvenuti durante le riprese, non ha deluso le aspettative: non ci sono solo battaglie, mostri, spade ed effetti speciali, ma si intravede anche la poetica di Tolkien.
Il film tuttavia può e deve essere propedeutico alla lettura del libro e ad un approfondimento del mondo letterario e filosofico di Tolkien. The Hobbit non è un’opera “minore” del professore di Oxford, e tantomeno un “prequel” del Signore degli Anelli. Dobbiamo essere profondamente grati nei confronti di questa storia e del suo protagonista, l’Hobbit Bilbo Baggins. Senza quel buffo personaggio, lo Hobbit, probabilmente tutto l’universo fantastico che Tolkien andava elaborando da anni non avrebbe mai conosciuto la pubblicazione: il timido professore avrebbe continuato a scrivere a matita sui suoi quaderni storie di elfi, di ascese e cadute di antichi regni, storie mitiche collocate in epoche arcaiche che quasi sicuramente nessun editore avrebbe mai pubblicato. Tutto quanto abbiamo conosciuto e amato nel Signore degli Anelli non sarebbe stato possibile senza lo Hobbit.
Questa storia è molto più che un prequel del Signore degli Anelli, come molti potrebbero credere. Non è una storia – come molto spesso accade nel caso dei prequel, appunto – per spiegare a posteriori gli antecedenti, i segreti, i misteri di un’opera. Il racconto delle avventure di Bilbo Baggins e di altri personaggi ormai familiari ai lettori della saga dell’Anello, come Gandalf, Gollum, Elrond, nani ed elfi, uscì dalla fantasia di Tolkien molto tempo prima che le vicende della Guerra dell’Anello venissero immaginate. In realtà, il Signore degli Anelli fu concepito come il seguito de Lo Hobbit e, per molto tempo, nella corrispondenza che intercorreva tra Tolkien e l’editore, il libro in gestazione veniva chiamato «il nuovo Hobbit». L’elemento più originale della storia era proprio quella strana creatura, lo Hobbit, che entrò decisamente nel cuore di Tolkien. Anni dopo ebbe a dire di se stesso di essere in tutto e per tutto un Hobbit, fuorché per la statura.
A differenza di quanto avvenuto in anni passati, quando l’opera di Tolkien veniva sottoposta, in Italia, ad una ingiustificabile censura ideologica, se non addirittura a un vero e proprio ostracismo, essendo considerata “di destra”, non abbiamo assistito ad attacchi nei confronti de Lo Hobbit. Tuttavia c’è da rilevare che Tolkien è ancora oggi considerato dalla critica letteraria “ufficiale” e dall’intellighentia snob nulla di più che un autore di successo e per ragazzi. Dovrebbe invece essere reputato come un autentico classico, che ha saputo riproporre il genere letterario epico, ridando dignità letteraria all’antichissima narrativa dell’immaginario, proponendosi come l’Omero cristiano del XX.
Quelle di Tolkien erano storie dal sapore antico, in cui si avvertiva l’eco delle antiche leggende, e in più arricchite di un piacevolissimo tipo di quella gioia che qualche anno prima Gilbert Chesterton aveva lamentato essere la grande assente dalla narrativa moderna: «Nella sua sostanza, la letteratura contemporanea è quasi totalmente priva di elementi gioiosi». Tolkien possedeva uno spirito infantile, inteso non come puerilità, ma come capacità di guardare alla realtà con occhi di bambino, pieni di domande e di stupore.
La storia de Lo Hobbit era nata certamente, nelle intenzioni dello scrittore, come una fiaba per bambini, narrata con un tono colloquiale in cui il narratore si rivolge ai piccoli lettori invitandoli ad avventurarsi loro stessi nella storia. Nel corso dei diversi anni di preparazione del libro, tuttavia, il racconto si arricchì di elementi mitici, attinti dal bagaglio culturale dell’autore che era docente di filologia ad Oxford.
Le fonti di ispirazione principali erano quelle delle antiche epiche del Nord Europa: dall’antico poema anglosassone Beowulf, dove domina il tema dello scontro con il drago, all’antica Edda Poetica della mitologia scandinava, alla quale Tolkien attinse soprattutto per i nomi, in particolare quelli dei nani, per arrivare infine a quel mondo inventato che Tolkien stava elaborando e che affiora più volte nel corso del racconto, come il ruolo degli elfi, o la presenza di un grande male (la misteriosa figura del Negromante) che fa trapelare la presenza del Nemico, dell’Oscuro Signore. Nella fiaba fanno capolino alcune delle grandi questioni e dei temi che Tolkien affronterà poi nel suo opus magnus: il tema del potere, la seduzione del male, il viaggio e la Cerca, l’eroismo nascosto.
La visione cristiana di Tolkien è radicata nelle sue storie e nel loro simbolismo. La sua stessa passione per il narrare nasce dal desiderio di comunicare la Verità, attraverso simboli e visioni.
La grande fiaba dello Hobbit dunque ci trasmette tutto questo. Non è solo una storia con ambientazione simil-medievale, uno scontro tra il Bene e il Male, ma anche il racconto della nostalgia di un’età dell’oro, di un Eden che l’uomo ha perduto, e dalla riproposizione del senso religioso, visto come necessario per frenare la caduta di valori e la rovina dell’umanità. Costituisce un’offerta di valori, la ricerca di una crescita interiore, intellettuale, morale e spirituale. L’immaginazione, infatti, non è una fuga dalla realtà, ma una straordinaria risorsa dell’animo umano. Come scriveva il beato John Henry Newman, che era stato all’origine della conversione della madre di Tolkien, «Il nostro cuore, il nostro nucleo più intimo, non è raggiunto primariamente dai ragionamenti ma dall’immaginazione».
In questa intensità epica e spirituale dell’opera di Tolkien sta il segreto della straordinaria attualità di questo autore di narrativa fantastica che si fa veicolo di valori immutabili, profondamente connaturati col cuore dell’uomo, i suoi sogni, le sue speranze.
Tolkien sceglie il linguaggio del simbolo e della fiaba per comunicare e suscitare nel lettore la nostalgia per cose grandi e belle, come aveva detto il grande Gilbert Keith Chesterton: «Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti».
DA NON PERDERE
Paolo Gulisano – Elena Vanin, La Mappa de Lo Hobbit, Ancora, 2012, € 12,50. A 75 anni dalla prima pubblicazione, esce opportunamente una guida per comprendere meglio il mondo letterario di Tolkien. Paolo Gulisano, medico e scrittore, grande conoscitore della cultura britannica, autore di saggi su Tolkien, Chesterton, Lewis, Belloc, Wilde, guida il lettore alla scoperta della simbologia tolkeniana attraverso la rilettura de Lo Hobbit. La geografia, la natura, le creature fantastiche, gli enigmi, l’uomo: disvela i simboli, le citazioni storiche, i richiami a saghe nordiche disseminati da Tolkien nelle sue opere. Bussola indispensabile di questo viaggio è la grande mappa su cui seguire il percorso di Bilbo e della sua Compagnia, che Elena Vanin, come un’esperta cartografa medievale, ha disegnato richiamando il paesaggio e l’atmosfera della storia. Nel suo saggio avvincente Gulisano ripercorre la storia dello Hobbit: la sua nascita, i suoi personaggi, i temi letterari, i segreti di un libro e di un mondo affascinante in cui inoltrarsi proprio con l’aiuto di una buona guida, e con il suggerimento di guardare alla realtà con gli occhi creativi dell’immaginazione, per allargare i confini della ragione nel desiderio di un mondo migliore.
Per saperne di più…
John Ronald Reuel Tolkien, Lo Hobbit, Bompiani (ultima edizione 2012).
John Ronald Reuel Tolkien, Albero e foglia, Bompiani, 2002.
Stratford Caldecott, Il fuoco segreto, Lindau, 2009.
Paolo Gulisano, Tolkien: il mito e la grazia, Ancora, 2001.
Giacomo Samek Lodovici, Hobbit, piccolo uomo dalle immense virtù, in Avvenire, 14-
12-2012.
IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 26 – 27
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