The Interpreter

Regia di Sydney Pollack.

2005 – 128 minuti – colore

Un buon film

Negli anni, il racconto cinematografico ha subito una considerevole mutazione. Sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista narrativo c’è stata una notevole evoluzione, forse non tutte le volte positiva, che ha portato ad avere sempre più spesso racconti forzatamente mirabolanti ed eccessivamente frenetici. In poche parole, si fa prevalere sempre di più l’azione sull’introspezione. Non dico di essere a favore di un cinema con “tempi lunghi” o dilatati, con dialoghi ridotti ai minimi termini e scene fisse che non finiscono mai. Ma, senza togliere niente all’azione, trovare film che riescano a tratteggiare in modo compiuto i personaggi e pongano attenzione ai dialoghi (rendendoli comprensivi), è sempre più una rarità. Così, pur non essendo un capolavoro, “The interpreter” è un buon prodotto che si lascia vedere con una certa dose di interesse.
Una interprete che lavora alle Nazioni Unite ascolta per caso una conversazione che preannuncia un imminente attentato a un dittatore di un paese africano. I servizi segreti americani iniziano a indagare facendo riaffiorare il recente passato della ragazza, svelando possibili implicazioni e mettendo in dubbio la sincerità delle sue dichiarazioni.
Il film, senza avere ritmi concitati, riesce a coinvolgere grazie all’attenzione con cui vengono tratteggiati i personaggi. La buona regia di Sydney Pollack fa apprezzare un prodotto che, seppure con qualche caduta nel populismo del politicamente corretto, riesce a coinvolgere senza dover spingere l’azione ai massimi livelli. Più che convincente l’interpretazione di Sean Penn, che riesce a comunicare in modo piuttosto veritiero i vari tormenti interiori che lo contraddistinguono. Stranamente, meno in parte la Kidman. Vedibile.