La Sacra Scrittura ci rappresenta con immagini la terza Persona della Santissima Trinità. Che, a differenza del Padre e del Figlio, non ha un nome esclusivo. Vediamole…
I. Alcune certezze
Chi si accinge a riflettere (e poi a parlare e scrivere) sullo Spirito Santo non deve mai perdere di vista alcune principali certezze che su questo argomento ci sono offerte dalla Rivelazione divina.
Lo Spirito – il “Pneuma” – non è un’idea, una categoria astratta, una soggettiva etichetta speculativa (come nei “sistemi” dei filosofi idealisti, quali Hegel, Gentile, Croce).
1. Per il cristianesimo lo Spirito è una Persona divina, che sussiste nell’ambito della vita trinitaria. Nella Sacra Scrittura non è mai presentato come qualcosa di creato, perciò la sua origine deve necessariamente trovarsi entro la realtà eterna e assoluta dell’unico Dio.
2. Gesù dice: «Lo Spirito di verità che procede dal Padre» (Gv 15,26). Il Padre, che è la sorgente di tutta la vita divina, è anche il principio dello Spirito Santo.
3. Con la stessa chiarezza è detto che Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, lo manda a noi nella perenne effusione pentecostale che trasforma il cuore dell’uomo e suscita il prodigio della Chiesa. Lo Spirito è dunque “di Cristo” non solo perché è implorato e ottenuto dal Redentore immolato e trasfigurato, ma anche e soprattutto perché è (per così dire) il “respiro del Risorto”, che egli alita sulla sua Chiesa (cf Gv 20,22).
II. Una particolare difficoltà
Senza un nome esclusivo
La difficoltà di capire la Terza Persona e di parlarne è data anche dal fatto che la parola di Dio non lo chiama con un nome che davvero gli appartenga in modo esclusivo: «Spirito» – in quanto dice negazione di ogni materialità – è qualifica che per sé conviene a tutte e tre le Persone divine. E così mentre il Padre e il Figlio sono indicati, e in qualche modo descritti, da una analogia – una somiglianza, sia pur lontanissima – desunta dai fondamentali rapporti umani (di “paternità” e di “filiazione”), per la Terza Persona non abbiamo nemmeno questo flebile ausilio terminologico.
L’aiuto di alcune immagini
Ma, quasi a incoraggiarci a proseguire nonostante tutto nella nostra meditazione e a non accontentarci dell’ossequio di un totale silenzio, la parola di Dio ci offre il sussidio di alcune figurazioni. Proprio dall’esame di queste immagini – che di loro natura sono un po’ eterogenee e concettualmente non rigorose – cercheremo di raccogliere con tutte le cautele del caso ogni possibile favilla di luce.
III. Le immagini
Le immagini del Paràclito che prendiamo in considerazione sono tre: il fuoco, l’acqua e la colomba.
L’immagine del fuoco
Lo Spirito Santo è prima di tutto paragonato al fuoco. Come ogni descrizione simbolica, anche questa va interpretata.
«Battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16), aveva detto del Messia il suo Precursore. E questa citazione ci dà la prima e più semplice chiave di lettura. Lo Spirito investe l’uomo come concretamente esiste; cioè l’uomo che è contaminato dal male. Non si limita a evidenziarne la miseria con la sua luce, ma la cancella con la più tormentosa e radicale delle purificazioni: una purificazione assoluta che bruci ogni scoria. «Ognuno sarà salato con il fuoco» (Mc 9,49), ha detto Gesù duplicando il paragone. Lo Spirito non è un “tranquillante”: la sua immancabile azione è quella di affinare penosamente l’essere su cui Egli è disceso. Non c’è presenza vera dello Spirito che lasci l’uomo quieto e compiaciuto della sua connaturata mediocrità. Tutta la ruggine dell’anima – orgoglio, indolenza, sensualità, ripiegamento su di sé, avidità, viltà, acredine, volubilità – è assalita da questo fuoco.
Se c’è in noi peccato accolto e addirittura giustificato dalle mirabili acrobazie dialettiche delle quali talvolta ci scopriamo capaci, allora è certo che non domina in noi lo Spirito di Dio.
Un fuoco incontenibile
A Pentecoste un gruppo di uomini riceve il battesimo infocato dello Spirito (cf At 2,3- 4). Subito essi abbandonano ogni pavidità, ogni esitazione, ogni riserbo e si mettono irresistibilmente a gridare a tutti «le grandi opere di Dio» (cf At 2,11).
Chi è afferrato dallo Spirito non può accontentarsi di essere un contemplatore solitario e segreto della verità, ma – lo voglia o no – se ne fa annunciatore per gli altri. Come racconta di sé il profeta Geremia: «Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo» (Ger 20,9).
L’immagine dell’acqua
«Gesù ritto in piedi esclamò ad alta voce: “Se qualcuno ha sete venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo grembo”. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui» (Gv 7,37-39).
L’uomo è sempre un assetato, anche quando non se ne rende conto. Si sente incompleto e perciò è tormentato dal desiderio di qualcosa che possa placare le sue fondamentali aspirazioni. I valori che sono oggettivamente “dissetanti” sono la conoscenza, l’amore, la gioia: non ce ne sono altri, che non siano o riflessi di questi o illusori. E sono appunto i doni con cui lo Spirito risponde alla nostra sete.
La sua è un’acqua sovrabbondante e inesauribile: come l’acqua offerta alla samaritana, che fino allora era andata portando la sua arsura da una cisterna all’altra (cf Gv 4,7-26). Sono addirittura «fiumi» – ci dice il Signore – che fanno perdere ogni attrattiva alle pozzanghere degli appagamenti terreni. È un’acqua che, pur avendo un’origine celeste, scaturisce dal mondo interiore dell’uomo («dal suo grembo»). Questo è sempre lo stile dello Spirito, che agisce sì su di noi, ma come se fossimo noi a essere quasi i comprincìpi delle sue stesse donazioni. È un’acqua «viva»: è sempre fresca e nuova, e regala la vita più piena e più vera. È una fonte che non inaridisce mai, ma dentro di noi «zampilla per la vita eterna » (Gv 4,14); cioè fino a quando saremo finalmente sommersi nel mare di luce e di felicità che è proprio di Dio.
L’immagine della colomba
La figura più consueta all’arte cristiana per rappresentare lo Spirito di Dio è senza dubbio la colomba. Compare nell’episodio del battesimo di Gesù nel Giordano, ed è ricordata da tutte e quattro le narrazioni evangeliche. La comunità primitiva dunque è stata unanime nel giudicarla importante per la sua catechesi.
La scena del Nazareno che esce dall’acqua – simbolo e compendio del mondo nuovo – richiama da un lato la prima pagina della Genesi (Gen 1,2), dove lo Spirito di Dio è presentato appunto come un uccello che si libra sulle acque primordiali, aspettando il mondo che sta per affiorare e iniziare così la sua storia; dall’altro la conclusione del diluvio, con la colomba che annuncia la rinascita di una terra purificata e pronta a ricominciare la vita.
Nel battesimo di Gesù lo Spirito «come una colomba» (Mc 1,10) segna e proclama dunque l’emergere dalle acque mortifere di un universo redento, riconsacrato, nuovo. In questa sembianza, come si vede, lo Spirito è denotato come il principio di ciò che è giovane e sopravveniente: dove si effonde lo Spirito, si avvia qualcosa di inedito, di inaudito, di imprevedibile.
Le “novità” mondane sono per forza effimere: dopo un giorno sfioriscono. Le “novità” dello Spirito permangono e permangono nuove, perché nello Spirito è giovane non chi ha corte radici nel tempo, ma chi ha radici forti e profonde nella realtà eterna. Per questo le opere ai cui inizi presiede lo Spirito – come l’incarnazione del Figlio di Dio, la sua azione messianica, la Chiesa, l’esistenza battesimale – non sono soltanto una “sorpresa” per la mentalità puramente naturale, ma possiedono anche la prerogativa di una freschezza senza data.
I «cieli squarciati»
Per lasciar discendere la misteriosa «colomba » i cieli si aprirono, raccontano Matteo e Luca (cf Mt 3,16; Lc 3,21). Marco usa un linguaggio più espressivo e dice che i cieli furono «squarciati» (Mc 1,10). Non è stato un pertugio sottile quello per cui lo Spirito è passato verso la sua avventura terrestre; o un rapido schiudersi di un’imposta, subito gelosamente rinserrata: è stato uno scardinamento totale e definitivo.
Con la manifestazione dello Spirito sul Cristo – servo obbediente votato al dolore, figlio unico e amato dal Padre, uomo nel quale tutte le nostre sorti sono anticipate e raccolte – il muro dell’antica prigione è caduto ed è nata la nostra libertà: la libertà di essere quello che dobbiamo essere e di entrare nel Regno. Perciò san Paolo dice: «Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà » (2 Cor 3,17).
Per coloro che emergono rinnovati dalle acque battesimali, la terra è diventata il vestibolo della casa paterna: in virtù dello Spirito, ci si prepara a entrare anche visibilmente nella dimora della divina famiglia.
IL TIMONE N. 111 – ANNO XIV – Mrzo 2012 – pag. 48 – 49
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