Ecco i “trascendentali”, cioè le caratteristiche oggettive comuni a tutti gli enti. Ogni ente esistente è uno, vero, buono e bello
Nel dossier del mese scorso su Tommaso d’Aquino ho menzionato, senza poterli spiegare, i trascendentali: l’unità, la verità, la bontà e la bellezza. Rimedio ora.
I trascendentali si chiamano così perché trascendono le categorie (cioè, per esempio, la sostanza, la qualità, la quantità, relazione, azione, ecc). Infatti, le categorie sono divisioni supreme dell’essere, cioè suddividono l’essere, vale dire includono un’enti- Ecco i “trascendentali”, cioè le caratteristiche oggettive comuni a tutti gli enti. Ogni ente esistente è uno, vero, buono e bello tà X in un dato insieme (se X è una pietra, allora è una sostanza, dunque appartiene all’insieme delle sostanze; se X è la pesantezza di una pietra, allora è una qualità, dunque appartiene all’insieme delle qualità, ecc.) e con ciò la escludono da altri insiemi (se X è una sostanza non è una qualità, se X è una quantità non è un’azione, ecc.); viceversa i trascendentali trascendono le categorie: sono proprietà di ogni entità e non solo di alcune. Infatti, come adesso spiegheremo, per Tommaso ogni ente è uno, vero, buono e bello.
Uno
L’unità è la coesione degli elementi, delle parti che compongono un ente (per esempio, la coesione tra le parti di un’automobile come la carrozzeria, le ruote, il motore, ecc.) Come già diceva Plotino, se viene meno l’unità viene meno anche quell’ente e ne possono risultare altri, ma non più quello di prima (se viene meno la coesione tra carrozzeria, ruote e motore dell’auto non c’è più l’ente auto, bensì gli enti carrozzeria, ruote e motore).
Gli enti che ne risultano, d’altra parte, sono costituiti da parti che sono coese, che hanno unità (il motore è costituito da pistoni, cilindri, bulloni, ecc.). Insomma, omne ens est unum, ogni ente ha un’unità interna delle sue parti.
Ovviamente, ci sono diversi gradi di unità, diverse intensità (una cosa è l’unità molto forte che sussiste tra le parti del corpo umano, un’altra quella debole che sussiste in un mucchio di sassi).
Vero
La verità ha due significati, due accezioni.
● In senso logico, la verità è “adaequatio intellectus ad rem”, che letteralmente vuol dire “adeguazione dell’intelletto alla cosa”. Ad esempio, diciamo che Tizio pensa e dice la verità/falsità se e perché quello che Tizio dice e pensa è adeguato/non adeguato alla realtà, cioè la rispecchia/non la rispecchia, le corrisponde/non le corrisponde.
Ora, omne ens est verum in questa prima accezione di verità in quanto ogni ente è potenzialmente conoscibile (anche se talvolta solo parzialmente) dalla mente umana ed è attualmente conosciuto dalla mente di Dio.
● In senso ontologico, la verità è “adaequatio rei ad intellectus (Dei)”, adeguazione di una cosa all’intelletto divino. Infatti, ogni ente rispecchia, realizza un’idea che si trova nella mente di Dio. Come abbiamo visto il mese scorso, nella mente di Dio si trovano delle idee relative ad ogni ente possibile, dopodichè Dio alcuni di questi enti possibili li crea (e perciò essi esistono nel mondo) ed altri no.
Allora omne ens est verum anche in senso ontologico, giacché ogni ente esistente è l’attuazione-rispecchiamento di una qualche idea divina.
Dopodichè, gli enti dotati di libertà (l’uomo e i puri spiriti) possono ulteriormente corrispondere o contraddire l’ulteriore idea-progetto che Dio ha su di loro, sullo scopo della loro vita, ecc.
Buono
La bontà-bene è un trascendentale complesso. Ne ho parlato diffusamente nel mio Che cos’è il bene, “il Timone”, 92, [2010], a cui rimando. Qui posso solo dire sinteticamente (talvolta esplicitando ciò che in Tommaso è soltanto implicito) che il bene ha diverse accezioni.
1. Il bene è ciò che è prezioso, è ciò che pertanto dovrebbe essere oggetto di compiacimento-gioia-amore disinteressato, è ciò che meriterebbe di essere amato di tale amore disinteressato, ciò che sarebbe naturale che provocasse gioia per il suo stesso esserci (anche se non di rado questa ammirazione non si verifica). Per esempio, sperimentiamo questo aspetto del bene al cospetto di un neonato, che ci provoca gioia e commozione-stupore. Dunque un bene è un’entità amabile.
Ora, omne ens est bonum in quanto è creato da Dio, cosicché tutto ciò che esiste è positivo (questa affermazione di primo acchito suona assurda, ma non lo è nonostante il male; per una disamina divulgativa rimando al mio articolo Se a soffrire è un innocente, “il Timone”, 57 [2006], pp. 36-38, cfr. www.iltimone.org), dunque può potenzialmente essere oggetto di compiacimento- ammirazione da parte dell’uomo ed è attualmente oggetto di compiacimento da parte di Dio che l’ha voluto creare (anche il libro della Genesi al termine di ogni momento della creazione dice: «e vide che era cosa buona»)
2. Il bene è ciò che è pregiato e perciò è oggetto di ammirazione o, perlomeno, esso è ciò che meriterebbe di essere ammirato (ma a volte ciò non accade). Pensiamo, per esempio, alle abilità, bravure, ecc., che sono appunto beni di una persona e sono ammirabili. Dunque un bene è un’entità ammirabile (in senso simil estetico, dunque per questo suo aspetto il bene è vicino al bello).
Anche in questo senso del concetto di bene si può dire che omne ens est bonum: in ogni ente vivente avvengono dei processi mirabili perché ordinati, regolari, finalizzati all’autoconservazione, ecc. E anche negli enti inorganici c’è una struttura interessante (anche nel sasso, anche nell’atomo), una sua natura-costituzione che Dio ha realizzato.
3. Il bene è ciò che soddisfa-appaga-corrisponde ad un’inclinazione-desiderio-tendenza, ed è perciò oggetto di desiderio o, perlomeno, è ciò che meriterebbe di essere desiderato (anche se magari ciò non accade). Dunque un bene è un’entità desiderabile.
Di nuovo, omne ens est bonum: qui in quanto ogni ente ha una tendenza all’autoconservazione (anche la materia, che di per sé non si crea ma nemmeno si distrugge), tende a persistere, in un certo senso “si desidera”.
Bello
Il bello, infine, è ciò che è oggetto di ammirazione, di stupore, di compiacimento, è ciò che merita di essere apprezzato non per la sua utilità, bensì per il suo pregio (come si vede il bello è, in un certo senso, una forma di bene, è il bene che si disvela).
I requisiti del bello, il pulchrum, per Tommaso sono tre.
La claritas, cioè una qualche identità e determinatezza di una cosa, una qualche sua conoscibilità (cfr. anche Schopenhauer), perché una cosa in sé inconoscibile non la capiamo, e se non la possiamo capire per nulla non ci può piacere.
L’integritas, vale a dire la completezza, l’integrità delle parti di una cosa. Se il David di Michelangelo fosse privo di testa e di braccia sarebbe meno bello. Ovviamente, le parti che in una cosa sono necessarie a determinare la sua integritas variano da ente ad ente (in una statua la mancanza della testa non le toglie per forza la bellezza, cfr. per esempio la Nike di Samotracia; mentre una persona decapitata è molto meno bella o per nulla); d’altra parte bisogna che ogni parte abbia una certa integritas.
La debita proportio, cioè la proporzione tra le parti di una cosa (anche qui cfr. Schopenhauer). Se il David di Michelangelo avesse la testa grande come una noce non sarebbe più bello come prima (e sarebbe forse un po’ ridicolo).
Ovviamente questi sono i requisiti del bello, non del sublime o del misterioso-fascinoso, nei quali si trova l’in-forme (e forse talvolta anche il deforme, nel caso del misterioso), l’infinitezza.
Ora, omne ens est pulchrum per la sua (magari minima) claritas, per la sua (magari minima) integritas e per la sua (magari minima) debita proportio.
E queste caratteristiche degli enti sono oggettive, sono aspetti delle cose in se stesse, indipendentemente da noi. Dunque il bello è oggettivo e non soggettivo. Ciò che è soggettivo è la nostra percezione del bello, che determina la differenza dei nostri giudizi estetici (che però, forse, non è mai totale: c’è qualcuno che, al cospetto di certi paesaggi meravigliosi e stupendi, non li trova belli?).
Per saperne di più…
Antonio Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Leonardo da Vinci, 2005.
Francesco Botturi, La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale, Vita e Pensiero, 2009, pp. 285-307.
Giacomo Samek Lodovici, La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, 2002, pp. 50-56.
Jacques Maritain, Arte e scolastica, Morcelliana, 1980.
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