La fede non è un dono di Dio? Una grazia specialissima e formidabile, di cui dobbiamo andare fieri? Non è il fondamento di tutta quanta la vita cristiana? Certamente. Eppure, c’è un versetto della lettera di san Giacomo che ci mette in difficoltà. Le difficoltà che nascono dal confronto tra i versetti della Bibbia apparentemente contraddittori sono preziose. Ci spingono ad approfondire, ci salvano da una interpretazione piatta e banale che è indegna della grandezza della Parola di Dio. È il versetto diciannove del capitolo secondo, in cui si parla di una “fede dei demòni”.
Il contesto è polemico, in cui san Giacomo sembra addirittura contraddire apertamente san Paolo: mentre san Paolo dice che è soltanto la fede e non le opere che ci salvano (cfr. Gal 1,16), san Giacomo dice che la fede senza le opere è morta, e assomiglia alla fede dei demòni che «credono e tremano!».
A uno sguardo più attento si coglie che i due autori biblici non si contraddicono: l’uno parla della fede viva «che si rende operosa per mezzo della carità» (Gal 5,6), l’altro della fede che – pur essendo un dono di Dio e, dunque, una grazia – non è sufficiente se l’uomo la lascia «vana» (cfr. 1Cor 15,10). L’accenno alla fede dei demòni ci aiuta a capire più a fondo il pensiero di Giacomo. Anche i demòni credono, perché sono angeli – decaduti – ma pur sempre angeli. Dunque intelligenze finissime ed acutissime. I segni da loro visti: i miracoli, soprattutto quello della resurrezione, le profezie da loro interpretate, le parole straordinariamente profonde e “autorevoli” di Gesù da loro ascoltate sono stati come i tasselli di un puzzle che ha svelato ai loro “occhi” esterrefatti quanto non potevano neppure immaginare.
Ci sono molti passi dei Vangeli in cui sembra che gli angeli decaduti abbiano riconosciuto il Figlio di Dio, quindi abbiano avuto una qualche conoscenza del mistero soprannaturale dell’Incarnazione. Ma devono essere letti con molta attenzione! Le loro affermazioni sono in fondo dubbiose, sempre accompagnate da un punto interrogativo. La certezza del fatto lo avranno solo dopo l’evento della Resurrezione e soprattutto in conseguenza della predicazione della Chiesa: «quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo» (1Pt 1,12). Se l’avessero saputo con certezza, mai e poi mai «avrebbero crocifisso il Signore della gloria » (1Cor 2,8).
Ma il loro comportamento cieco davanti al mistero di Gesù, per cui, dando sfogo alla loro rabbia nei confronti del Giusto, hanno affossato definitivamente il loro dominio sul mondo, ci aiuta a capire di che tipo è la loro “fede”. Essa è solo il frutto di un “calcolo” intellettuale, che per quanto preciso nei suoi passaggi è insufficiente a “vedere” qualcosa del mistero di Dio. Davanti alla rivelazione della fede i demoni “tremano”, sono sconvolti, hanno paura. La loro “fede” è in definitiva una non-fede.
A loro manca l’accettazione amorosa del mistero di Dio che li sovrasta.
In fondo alla fede, quando essa è vera, c’è sempre un qualcosa di “mistico”.
Attenzione, perché può mancare anche a noi. Credere vuol dire accettare con adesione di cuore e quindi – in fondo – con amore, che la Verità di Dio è sempre oltre le nostre verità umane. Anche quando questa Verità contraddice le nostre vedute, i nostri progetti, le nostre aspettative. Per il credente vero è sempre meglio essere condannato dalla Verità di Dio, che essere “giustificato” dalla propria menzogna. La Verità di Dio – in Cristo Gesù – è infatti perdono e salvezza.
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 60
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