Cinque anni fa, papa Benedetto XVI pubblicava la sua seconda enciclica, Spe salvi. Per il Papa, l’uomo e il mondo hanno bisogno di salvezza. E solo Dio salva
Sette anni di pontificato, cinque dalla Spe salvi, la seconda enciclica, straordinariamente importante perché aiuta a riflettere sul tema della speranza, quella virtù che sembra così assente dall’uomo contemporaneo, soprattutto dai giovani, e sembra essere la causa della generale insoddisfazione attuale, che spesso diventa disperazione.
«Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?». Il Papa si poneva questa domanda a Lisbona, nel viaggio apostolico per il decimo anniversario della beatificazione dei due pastorelli di Fatima, Giacinta e Francesco, l’11 maggio 2010. Capita spesso di ascoltare conversazioni disarmanti fra cattolici, spesso fra sacerdoti. Sembra che la soluzione dei problemi più gravi per la fede e per l’evangelizzazione consista nello spostare qualche data, per esempio anticipando o posticipando l’accesso ai sacramenti dei bambini, oppure la salvezza starebbe in qualche specifico piano pastorale. Oppure, ancora, capita di ascoltare molti che vedono la soluzione dei massimi problemi nel ritornare indietro nella vita della Chiesa oppure introducendo nuove riforme.
Predicare la Resurrezione
Il Papa parla diversamente. Sempre a Lisbona, ha commentato: «Affinché ciò non accada, bisogna annunziare di nuovo con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza via qualsiasi paura e indecisione, qualsiasi dubbio e calcolo umano. La risurrezione di Cristo ci assicura che nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Quindi la nostra fede ha fondamento, ma c’é bisogno che questa fede diventi vita in ognuno di noi. C’è dunque un vasto sforzo capillare da compiere affinché ogni cristiano si trasformi in un testimone in grado di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (cfr 1Pt 3,15): soltanto Cristo può soddisfare pienamente i profondi aneliti di ogni cuore umano e dare risposte ai suoi interrogativi più inquietanti circa la sofferenza, l’ingiustizia e il male, sulla morte e la vita nell’Aldilà».
Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede, dice san Paolo (cfr 1 Cor 15,17). Quindi bisogna ritornare a parlare della Resurrezione, mettendo questo mistero glorioso al centro della predicazione. Quest’ultima, poi, deve ricordare che non basta credere, ma ciò che professiamo deve diventare visibile, affinché le persone che ci guardano si possano convincere della verità della fede cristiana. Solo allora quest’ultima può diventare una vita e anche da un punto di vista sociale può incidere e cambiare le strutture della società.
La lezione della Spe salvi
Il 30 novembre 2007, nel terzo anno di pontificato, Benedetto XVI promulgava la sua seconda enciclica, Spe salvi, un inno alla speranza cristiana come unico autentico antidoto ai mostri ideologici generati dalla modernità e al deserto dell’attuale mondo post-moderno.
1. La fede in un certo senso è “interscambiabile” con la speranza. In questo senso, la fede cambia veramente la vita perché non consiste in una adesione intellettuale soltanto, ma nella certezza (la speranza appunto) che l’uomo è atteso da Colui che è in grado di dare la felicità e che ha “comprato” ogni uomo a prezzo del suo sangue. Papa Ratzinger porta l’esempio di santa Giuseppina Bakhita (1869-1947), la giovane schiava diventata suora canossiana e canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2000, che appunto ricorda che cosa per lei abbia significato incontrare un Padrone come Dio, dopo tanti che le avevano procurato sofferenze. La fede è speranza di una vita eterna e buona, cioè nella pienezza della felicità.
2. Soltanto Dio può darci questo. Il Papa spiega come, nel rito del Battesimo, i genitori chiedano per i loro bambini che stanno per essere battezzati non soltanto di entrare nella comunità cristiana, ma qualcosa di molto più grande: «“Che cosa chiedi alla Chiesa?” Risposta: “La fede”. “E che cosa ti dona la fede?” “La vita eterna” » (Spe salvi, 10).
Questa fede-speranza, come la definisce Benedetto XVI, non riguarda soltanto la singola persona, ma investe tutta la comunità. Il Papa spende parole molto belle per ricordare che l’uomo non è un singolo individuo slegato dal resto della comunità e la sua salvezza avviene attraverso le relazioni che instaura con gli altri. Lo spiega utilizzando la teologia dei Padri della Chiesa e cercando di condurre per mano il fedele come nella profondità della Verità definitiva, oggetto della nostra speranza: «Così lo esprime Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia” (16,22). Dobbiamo pensare in questa direzione, se vogliamo capire a che cosa mira la speranza cristiana, che cosa aspettiamo dalla fede, dal nostro essere con Cristo» (Spe salvi, 12).
La modernità e i suoi disastri
La fede-speranza cristiana, dunque, spiega il Papa, non è individualistica ma si realizza nella comunità cristiana, e il cristianesimo moderno dovrebbe fare un’autocritica proprio per avere dimenticato questo aspetto. Il Papa ricorda come già nel Medioevo san Bernardo si lamentava con coloro che ritenevano come se l’ingresso in monastero fosse una fuga dal mondo, e non invece il luogo dove si contribuisce alla salvezza degli uomini che vivono nel mondo. Ma accanto all’analisi e all’autocritica del cristianesimo moderno, Benedetto XVI affronta anche il tema rappresentato dalla svolta epocale della modernità, quando si è cominciato a credere che la redenzione dell’uomo non passasse più attraverso la grazia di Gesù Cristo, ma per mezzo della scienza.
A partire dal pensiero di Francesco Bacone (1561-1626), la speranza cristiana viene progressivamente sostituita dall’ideologia del progresso, nel senso che l’uomo comincia a ritenersi capace di darsi la felicità e la salvezza, senza dover ricorrere a nessun Dio: «Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l’attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso » (Spe salvi, 17).
Questa ideologia si fonda su due categorie, o meglio utilizza, stravolgendole, l’idea di ragione e quella di libertà e poi prende corpo nella storia attraverso due rivoluzioni che segnano tutto il corso del XIX secolo: la Rivoluzione francese, che inizia alla fine del secolo dei lumi, nel 1789, e quella comunista, che raccoglie nel 1917 in Russia quanto aveva seminato nel secolo precedente, soprattutto in Europa, a partire dal Manifesto del partito comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, nel 1848.
Benedetto XVI accompagna questo itinerario, che culmina con il dramma e la violenza del comunismo realizzato, il cui errore è antropologico, nasce cioè da una errata concezione dell’uomo che mette a repentaglio tutto l’impianto dell’ideologia e sfocia nell’oppressione dei popoli: «Il suo errore [di Marx] sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno creando condizioni economiche favorevoli » (Spe salvi, 21).
Una seconda evangelizzazione
Conclusa l’epoca della modernità, terminata l’illusione delle ideologie, l’uomo contemporaneo non ha ritrovato la via della speranza ma piuttosto la «dittatura del relativismo». E a quest’uomo la Chiesa continua a offrire la via della salvezza, attraverso una nuova evangelizzazione, così come l’ha ancora una volta auspicata Benedetto XVI sull’aereo che lo portava in Messico, il 23 marzo scorso: «Il periodo della nuova evangelizzazione è cominciato con il Concilio; questa era fondamentalmente l’intenzione di Papa Giovanni XXIII; è stata molto sottolineata da Papa Giovanni Paolo II e la sua necessità, in un mondo che è in grande cambiamento, diventa sempre più evidente. Necessità nel senso che il Vangelo deve esprimersi in modi nuovi; necessità anche nell’altro senso, che il mondo ha bisogno di una parola nella confusione, nella difficoltà di orientarsi oggi. C’è una situazione comune del mondo, c’è la secolarizzazione, l’assenza di Dio, la difficoltà di trovare accesso, di vederlo come una realtà che concerne la mia vita».
IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 58 – 59
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl