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12.12.2024

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Mariti & mogli: a ciascuno il suo
31 Gennaio 2014

Mariti & mogli: a ciascuno il suo




Il dogma della parità assoluta fa vivere tutti peggio. Perché la famiglia è come il corpo. Ogni membro ha un compito: un piede non è la testa, un braccio non è un occhio


Una volta, quando avevo due gemelle di pochi mesi e altri due bambini piccoli, ho commesso un gesto di grande crudeltà. Lo ammetto.
In un momento di difficoltà – forse un ginocchio sbucciato da medicare, forse una sorellina da allattare – ho appioppato in braccio a mio padre, di cui ero ospite, un fagottino di nipotina minuscola. Non sapendo come interagire con quella specie di essere di pochi chili, con il fermo obiettivo di non farle del male, mio padre è rimasto immobile, rigidissimo, le braccia pietrificate nella posizione in cui avevano accolto Lavinia. Non ricordo di averlo mai visto tanto affaticato fisicamente, sudato (era pieno agosto) e ansimante, pur immobile. Eppure, da magistrato ha affrontato emergenze ben peggiori, ha diretto una procura, condotto indagini molto importanti, coordinato colleghi e forze dell’ordine. È tuttora un infaticabile cacciatore capace di percorrere chilometri di bosco, sgominare beccacce e cinghiali e procacciare legna, funghi, asparagi. Ma tenere una bambina di tre chili e due è un’impresa decisamente superiore alle sue forze.
Gli uomini di quella generazione, e credo di molte, forse tutte le altre precedenti, erano completamente esentati dalla cura dei bambini: noi eravamo tre fratelli, ma mio padre non solo di certo non ha mai cambiato, ma forse non ha mai neanche visto come era fatto un pannolino.
Non voglio difendere acriticamente un’epoca in cui forse i padri potevano avere una distanza eccessiva, a vantaggio di una molto maggiore autorevolezza, ma non posso fare a meno di notare con preoccupazione che adesso, invece, alle riunioni dell’asilo le maestre sgridano i padri che non si occupano con sufficiente frequenza della zona fasciatoio. Lo stesso dogma che oggi impone ai padri compiti di accudimento, li induce poi ad accollarsi anche mansioni casalinghe: pulire, stirare, cucinare, gestire la casa in ogni necessità. E tutto questo ha un prezzo.
Non posso sapere come vadano le cose in ogni casa, e credo che ogni famiglia trovi un suo equilibrio originale, che sappia tenere conto delle attitudini e delle inclinazioni di tutti. Quello però che non mi convince è che la condivisione assolutamente e millimetricamente paritaria di tutti i compiti venga non scelta in base alla vera gioia di fare ognuno la propria parte, con amore e nella libertà, ma imposta dal nuovo dogma della parità assoluta, perché questo finisce per fornire infinite occasioni di scontro, in casa. Insomma, avete mai visto un uomo e una donna essere d’accordo sulla disposizione di una padella nel cestello della lavatoviglie? Si può concordare su tutto, essendo creature sideralmente diverse? Avete mai conosciuto un uomo che sappia localizzare un vaso per i fiori in casa senza l’aiuto di un navigatore e, sinceramente, lo avete mai osservato disporvi dentro peonie e ranuncoli con pochi, sapienti gesti? Avete mai incontrato un uomo in carne ed ossa che ammiri con piacere una tenda ben stirata, immacolata e ben distesa? (Mio marito, interrogato a sorpresa sull’argomento, non saprebbe neanche dire quali finestre della casa siano dotate di tenda).
Uno dei corollari dell’assunto dell’ideologia gender (la teoria che vuole che uomo e donna siano categorie principalmente culturali e non naturali) è che uomini e donne sarebbero fondamentalmente uguali e perciò dovrebbero fare le stesse cose. Per tentare di dimostrarlo, sono stati scritti negli ultimi anni fior di libri (io mi sono molto divertita leggendo Maschi uguale femmine, di una tal Cordelia Fine, per dirne uno fra tanti). C’è bisogno di darsi parecchio da fare per far sembrare vera e normale la follia: per dimostrare che i sessi possibili sono cinque (sic!) c’è parecchio da argomentare, e parecchio da chiudere gli occhi sulla realtà. A mio parere, su questo terreno si combatte una delle battaglie principali di questi e dei prossimi anni, e la Chiesa è rimasta l’unica voce pubblica a difendere l’evidenza dell’uomo, maschio o femmina (lucidissima la lettera ai vescovi scritta sul tema dell’ex Sant’Uffizio, presieduto dall’allora cardinale Ratzinger nel 2004). Ma mentre noi combattiamo sul piano teorico, intanto la teoria del gender ha ricadute pratiche e immediate sulla vita quotidiana delle persone: gli uomini sono stati costretti a imparare il servizio in casa, pena terribili accuse di egoismo, e questo è successo a scapito della loro autorevolezza, perché come insegna la fisica a ogni azione corrisponde una reazione. Non si può acquistare su un piano senza perdere su un altro. Dal canto loro le donne hanno conquistato quello che chiamano il diritto di lavorare; lo chiamano diritto ma in molti casi, accecate dall’ideologia, non vedono più, e non hanno il coraggio di ammettere che preferirebbero avere più tempo da dedicare a ciò che hanno di più caro, la famiglia.
Mi sembra chiaro che in questo modo uomini e donne interpretino la parità in modo banale: quando le donne hanno rivendicato maggiori diritti, attenzioni, possibilità, hanno sicuramente intrapreso una battaglia sacrosanta. Ma se la parità viene così banalizzata – maschi e femmine devono fare le stesse cose – è peggio per tutti, tutti si vive peggio. L’umanità, dopo la caduta, continua a dimenticare la sua chiamata alla comunità di amore più perfetta, la famiglia, come dice Edith Stein. Inquinati dalla sete del dominio reciproco, uomini e donne dimenticano che la famiglia è figura del grande corpo mistico che è la Chiesa. Nella famiglia, come nella Chiesa, ogni membro svolge la sua funzione peculiare e insostituibile: un piede non è la testa, un braccio non è un occhio. L’uomo è fatto per la lotta e la conquista, per fecondare il mondo fuori della casa, mentre la donna è fatta per curare, proteggere, custodire e la sua azione quindi ha il suo ambito specifico all’interno della casa. Questi due stili diversi nell’amare vanno continuamente messi a servizio l’uno dell’altro, bene attenti che l’attitudine dell’uomo non diventi dominio violento ed egoista, e quello della donna desiderio di controllare e soffocare. Se invece si cerca di armonizzare talenti e capacità, verrà naturale mettere insieme ciascuno le proprie capacità.
Non sarà più scandaloso, dunque, ammettere l’evidenza: che, sebbene gli uomini oggi abbiano giustamente imparato a ninnare i bambini all’occorrenza, questo alle donne continua a venire più naturale; che le donne sanno tenere in ordine la casa, e possono anche trovarlo piacevole, rimirare con soddisfazione un lavoro ben fatto, mentre un uomo tenderebbe per sua natura a risparmiare le energie mantenendo l’abitazione a un livello di minima decenza; che un uomo può cucinare, certo, e può farlo anche molto bene, ma troverà matematicamente impossibile farlo mentre corregge compiti, ascolta capricci e telefona all’amica in crisi, perché un uomo farà sempre solo una cosa per volta.
Un lato positivo questa massiccia campagna a favore della parità, però, ce l’ha: oggi al servizio in casa noi donne non siamo più costrette per insindacabile convenzione sociale, ma possiamo abbracciarlo con gioia e con inedita libertà. Non perché costrette, ma per amore, perché lo sappiamo fare e, anche se questa cosa non si può dire ad alta voce, perché forse ci piace anche un po’.

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«Considerata a suo tempo come una opzione secondaria, la maternità sta ora gradualmente guadagnando consensi. Negli anni ’60 e ’70 le donne venivano invitate a disfarsi delle catene di un faticoso lavoro casalingo per cercare realizzazione nel lavoro. Ma mentre un numero crescente di donne convinte del loro ruolo lavorativo rimandavano o evitavano il momento di avere figli, molte si sono rese conto che il successo nel lavoro le dava solo una soddisfazione di breve termine».
(Zenit, Le femministe riscoprono la maternità, www.zenit.org/article-4252?l=italian )


IL TIMONE N. 113 – ANNO XIV – Maggio 2012 – pag. 14 – 15

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