Ha attraversato tutto il Novecento testimoniando la presenza di Dio con la vita, gli scritti e la predicazione. Ha lasciato in eredità una comunità, tanti figli spirituali e 160 libri per imparare a pregare
Quando morì, il 15 febbraio 2006, don Divo Barsotti fu immediatamente definito «uno dei più grandi mistici del secolo». Parola rara, questa, e ardita da attribuire ad un uomo. Eppure questa acclamazione è vera: don Divo Barsotti amò il Signore più di se stesso e Lo affermò con la propria esistenza sprofondata alla presenza di Dio.
Nato a Palaia in provincia di Pisa il 25 aprile 1914, don Divo entrò nel Seminario della Diocesi di San Miniato terminate le scuole elementari. Era dotato di eccezionale memoria, ma soprattutto era animato da un non comune desiderio di conoscere: all’età di 12 anni aveva già letto tutti i grandi romanzi di Dostoevskij, a 13 le opere di Leopardi e di Omero, a 14 il teatro di Shakespeare. Era preso dal problema dell’uomo, dal dramma dell’esistenza e della lotta tra bene e male. Verso i 19 anni ebbe una imperiosa esperienza interiore di Dio, che lo segnò a fuoco in modo indelebile. «Vissi anni come un ubriaco – dirà in seguito ricordando quei tempi – senza altro pensiero che Lui, tanto era travolgente la forza di Dio». Aveva capito che la risposta al problema del male e il senso della vita nei suoi risvolti drammatici aveva la soluzione nell’Amore crocifisso di Dio, davanti al quale l’unica virtù possibile per l’uomo era l’umiltà. Di qui il suo desiderio irrefrenabile di “scomparire” a se stesso e divenire – parole sue – «pura condizione» ad un’Altra presenza.
Preghiera e purificazione
Negli anni che precedettero il sacerdozio don Divo visse una preghiera intensissima, continua, appassionata, bruciante. Una volta ordinato prete non riuscì ad adattarsi alla vita ordinaria delle parrocchie, e chiese di andare in missione in Oriente. Ma si era nell’imminenza della seconda guerra mondiale e non fu possibile, anche perché don Divo voleva andare là da solo, senza entrare in un Istituto, seguendo piuttosto il modello di san Giuseppe Benedetto Labre (1748-1783), vagabondo e mendicante.
Non trovando come impegnarlo, il vescovo lo mandò a casa in famiglia, dove rimase quasi cinque anni senza far niente. Fu una grande purificazione perché il giovane sacerdote si sentì messo da parte, quasi un peso per la Diocesi. In quel deserto lesse moltissimo e conobbe il monachesimo russo (quasi del tutto sconosciuto allora in Occidente), l’idea tipicamente orientale della pietà universale, dell’amore che abbraccia tutto per portare tutti a Dio con il sacrificio e la preghiera. Nel dopo-guerra si trasferì a Firenze per interessamento dell’amico Giorgio La Pira e assunse un piccolo incarico diocesano. Qui entrò in contatto con il mondo culturale e religioso della Firenze del tempo: La Pira, David Maria Turoldo, Giovanni Papini, Enrico Bartoletti, e tanti altri, ma rimanendo con il suo taglio: tutto deve essere portato a Dio e salvato in Cristo: ogni cultura, ogni opera dell’uomo, ogni pensiero, e persino la creazione: «Se non sento l’intera creazione come mio corpo – sosteneva – non sono un cristiano».
La Comunità dei figli di Dio
Dopo una breve esperienza eremitica, nel 1956 si trasferì con il permesso del Vescovo in una casa nei colli fiorentini, Casa San Sergio a Settignano, dove rimarrà fino alla morte. Casa San Sergio diventerà il luogo di incontro di tante anime che cominciarono a riferirsi a lui e che egli organizzò in Comunità di cui divenne quasi suo malgrado fondatore: la Comunità dei figli di Dio. Egli chiedeva a chi voleva seguirlo di consacrarsi totalmente al Signore, in qualunque stato di vita si trovasse (nella vita laicale e matrimoniale, nel lavoro, come sacerdoti o come fratelli e sorelle che condividessero la vita comune) per vivere un monachesimo interiorizzato in una vita di preghiera, di umiltà, di luce, di piccolezza, di offerta di sé. Propose come mezzi di santificazione la lettura costante della Sacra Scrittura, la formazione spirituale continua, la preghiera della liturgia delle Ore quotidiana (al tempo era raro che i laici pregassero con il Breviario), il bisogno di portare tutto a Cristo con una supplica continua, la preghiera del cuore, la vita liturgica e sacramentale. Chiedeva di vivere “alla divina Presenza” ogni atto della giornata, per santificare il mondo; una vita, dunque, che non fosse diretta testimonianza attraverso le opere, ma di luce attraverso la presenza, l’esserci. Ma esserci come santi, come uomini che vogliono vivere il primato di Dio in tutto.
«La carità più grande che possiamo vivere verso il prossimo – diceva – è dare Dio alle anime», e per questo il lavoro da compiere è più su se stessi che sulle strutture sociali ed esterne. Per questo visse gli anni del post-Concilio a tratti con sofferenza, laddove avvertiva che si spostava l’asse della vita cristiana su interventi esteriori piuttosto che sul continuo esercizio di morte di sé per fare emergere nel nostro intimo le energie pasquali del Risorto.
Oltre a seguire la sua Comunità, don Divo predicò in continuazione in Italia e all’estero, scrisse più di 160 libri, molti dei quali tradotti in varie lingue straniere, ma non si impose mai all’attenzione della ribalta, perché non gli interessava affatto la vetrina. Gli interessava Dio. La sua parola era appassionata, lineare, trafiggente, commossa; pur nella sua cultura immensa (più di 12.000 libri nella sua biblioteca, e li lesse tutti) mantenne sempre un tono semplice e diretto. La sua celebrazione dell’Eucaristia poi era indimenticabile: totalmente preso dal Mistero, offriva il Sacrificio con intensità commossa e una partecipazione che valeva più di ogni parola. «Nella Messa c’è tutto», ripeteva spesso.
Ricercato da teologi e Vescovi, da gente semplice del popolo e da persone di cultura, don Barsotti fu fedele a se stesso fino alla fine: nascosto con Cristo in Dio. Dava la sensazione di vivere immerso nel Mistero, con un raccoglimento strepitoso: chi lo conobbe ne rimase affascinato perché, appunto, il mistico non rivela se stesso ma la Presenza di Dio. Assolutamente dominante in don Divo Barsotti fu il riferimento a Cristo e, quindi, alla Chiesa. Toccare o mettere in ombra questo richiamo significava semplicemente distruggere tutto e perdere Dio stesso. Per questo motivo, era capace anche di esibire un cristiano furore se si relativizzava la centralità di Cristo trasformando il cristianesimo in una vaga ideologia di valori, come se i valori non fossero agganciati al “Valore” unico e sovrano: il Figlio Gesù che ci porta al Padre nello Spirito Santo.
L’eredità di don Divo oggi si traduce non solo nei suoi ammirabili scritti, ma anche nella sua Comunità, presente in tutta Italia e in diverse parti del mondo: uomini e donne che, rimanendo nel posto in cui sono, nello stato di vita in cui Dio li ha posti, si consacrano a Dio per vivere nella preghiera continua, nell’offerta di sé e nell’umiltà. «Oggi il cristianesimo ha una sola possibilità di sopravvivere – scrisse Barsotti nel 1970 – ed è quella di fare realmente presente Dio. E Dio si fa presente perché vera è la sua Incarnazione. Ma Dio non si può far presente che nella santità di coloro che sono trasfigurati dalla grazia. È la loro trasfigurazione che rivela la presenza reale di Dio. Ci vogliono i santi».
Coerente con tutto il suo vissuto, morì con le parole più belle che si possono immaginare, mormorando lentamente e dolcemente «Gesù… Gesù… Gesù».
Per saperne di più…
Don Divo Barsotti ha scritto più di 160 libri, molti dei quali reperibili presso le librerie. Il Mistero cristiano nell’anno liturgico è considerato il suo capolavoro, ma anche testi come La via del ritorno, La mia giornata con Cristo, Gesù e la samaritana, La mistica della riparazione sono adatti per una proficua lettura barsottiana. Della vasta produzione dei Diari ne sono stati ripubblicati recentemente due: La fuga immobile e La lotta con l’angelo che ne tratteggiano la dimensione spirituale. Dei commenti della Sacra Scrittura segnaliamo Meditazioni sull’Apocalisse, Meditazione sul Cantico dei Cantici e Meditazioni sull’Esodo, il testo che lo rese famoso negli anni ’50.
Ultimamente sono stati prodotti diversi CD con le omelie di don Divo Barsotti, documento di grande valore per ascoltare i suoi insegnamenti dalla sua viva voce (Vocepiù, Milano). L’elenco completo dei libri reperibili si trova sul sito internet della Comunità: www.figlididio.it . Padre Serafino Tognetti ha scritto una ricca biografia, intitolata Divo Barsotti. Il sacerdote, il mistico, il padre, San Paolo, 2012.
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 52 – 53
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