Promulgato un documento per applicare la decisione del Papa di liberalizzare la celebrazione della Messa secondo l’antico messale. Che dovrà essere rispettata da tutti. Vescovi e sacerdoti in primis. Offriamo qualche spunto
La Pontificia Commissione Ecclesia Dei, l’istituzione della Santa Sede preposta alla salvaguardia e alla promozione del rito romano antico, per mandato del Papa ha promulgato la “Universae Ecclesiae”, la prima Istruzione applicativa del Motu Proprio Summorum Pontificum con il quale Benedetto XVI, nel 2007, ha liberalizzato l’uso di celebrare la s. Messa secondo l’antico messale.
Il documento riveste una importanza straordinaria. Intanto, riafferma che la Liturgia Romana consta di due forme: “ordinaria” e “extraordinaria”, entrambe espressione della stessa lex orandi della Chiesa, poi ribadisce (art. 6) che: «per il suo uso venerabile ed antico la forma extraordinaria deve essere conservata con il debito onore» e dunque ricorda che non esiste contraddizione alcuna tra il Messale di san Pio V, nella edizione del 1962 voluta dal beato Giovanni XXIII (forma extraordinaria), e quello promulgato da Paolo VI nel 1970 (forma ordinaria). La “Messa antica” è una ricchezza che viene messa a disposizione di tutti i fedeli della Chiesa universale, non soltanto di alcuni gruppi.
L’Istruzione Universae Ecclesiae conferisce alla Commissione Ecclesia Dei la potestà vicaria per i ricorsi, i decreti e la edizione dei libri liturgici per la celebrazione della Messa, dei Sacramenti e delle Ore secondo la forma extraordinaria. Non solo: l’art. 14 invita gli Ordinari, cioè i Vescovi e i superiori religiosi, a garantirne la celebrazione, favorendo il rispetto dei gruppi di fedeli che la richiedono, che sono sempre più numerosi in tutto il mondo, favorendo in tal modo anche la riconciliazione in seno alla Chiesa. In caso di contenziosi tra Vescovo e fedeli, ci si deve rivolgere alla stessa Commissione.
Viene anche confermato il diritto dei fedeli di poter partecipare al rito romano antico. Non c’è limite di numero. Quanto ai sacerdoti, si richiede la loro idoneità a pronunziare in modo corretto il latino, a capirne il significato, ma non è necessario che siano esperti nel latino liturgico. In definitiva, l’intento del Santo Padre è di rendere accessibile a tutti i cattolici la ricchezza della Liturgia Romana antica, sia della Messa che dei Sacramenti e del Breviario.
Ritengo notevole il fatto che l’art. 21 inviti i Vescovi a favorire la conoscenza della forma extraordinaria da parte dei sacerdoti mediante corsi di aggiornamento; come pure a formare i seminaristi al fine di comprenderla e saperla celebrare, quindi a studiare il latino e il gregoriano, come già era stato auspicato nell’Esortazione apostolica Sacramentum Caritatis dopo il Sinodo sull’Eucaristia del 2005. I Vescovi hanno quindi la responsabilità di far attuare quanto prescritto, attenendosi alla “mens” del Santo Padre, in modo che non vi siano discriminazioni tra i fedeli che partecipano alla Messa nell’una e nell’altra forma. È loro responsabilità pastorale l’obbedienza al Papa, al fine di edificare clero e fedeli, come è richiesto ad ogni Vescovo cattolico. Benedetto XVI inoltre, nella sua Lettera ai Vescovi di tutto il mondo che accompagnava il Motu Proprio, esprime l’auspicio del «mutuo arricchimento» tra le due forme: cosa però non affidata all’iniziativa del singolo sacerdote o Vescovo, ma regolata dalla Santa Sede.
La Costituzione liturgica del concilio Vaticano II afferma che «La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella Liturgia, una rigida uniformità» (Sacrosanctum concilium, n. 37). Non sfugge a molti che oggi sia in questione la fede, per cui è necessario che le varietà legittime di forme rituali debbano ritrovare l’unità essenziale del culto cattolico.
Giovanni Paolo II ammoniva che «la sacra liturgia esprime e celebra l’unica fede professata da tutti ed essendo eredità di tutta la Chiesa non può essere determinata dalle Chiese locali isolate dalla Chiesa universale » (Ecclesia de Eucharistia, n. 51) e che «La liturgia non è mai proprietà privata di qualcuno, né del celebrante, né della comunità nella quale si celebrano i Misteri» (ivi, n 52). La Costituzione liturgica afferma che chi agisce al contrario intacca l’unità del rito romano che va tenacemente salvaguardata (cfr Sacrosanctum concilium, n. 4), non svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità a cui hanno diritto. Da tali atti arbitrari derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre (cfr Istruzione Redemptionis Sacramentum, n. 11). Dinanzi a tale situazione, tutti i pastori della Chiesa devono promuovere la conoscenza e l’osservanza dei “diritti” di Dio nel culto che, proprio per questo, è divino. L’Istruzione, in linea col Motu Proprio, non riguarda solo quanti desiderano continuare a celebrare la fede nello stesso modo con cui la Chiesa l’ha fatto sostanzialmente da secoli; il Papa vuole aiutare tutti i cattolici a vivere la verità della liturgia affinché, conoscendo e partecipando all’antica forma romana di celebrazione, comprendano che la Costituzione Sacrosanctum Concilium voleva riformare la liturgia in continuità con la tradizione. Questo porta a vivere pure la forma ordinaria in comunione con la Chiesa degli Apostoli, dei Padri e dei Santi, da Leone Magno a Gregorio Magno, da Tommaso d’Aquino a Pio V, da Carlo Borromeo a Pio da Pietrelcina e Giovanni XXIII. Se non si concepisse in tal modo la liturgia, il cuore e la mente dei fedeli non sarebbero modellati in modo da vivere bene la fede, la morale e la spiritualità.
Per far capire lo scopo del Motu Proprio, l’Istruzione ricorda ancora all’art. 8 che esso intende «offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare» – a tutti i fedeli, non solo a un gruppo particolare, affezionato alla tradizione – e «garantire e assicurare realmente a quanti lo domandano, l’uso della forma extraordinaria, nel presupposto che l’uso della Liturgia Romana in vigore nel 1962 sia una facoltà elargita per il bene dei fedeli e pertanto vada interpretata in un senso favorevole ai fedeli che ne sono i principali destinatari». Sottolineiamo i verbi “garantire” e “assicurare”, ripetuti nell’Istruzione. I Vescovi e i fedeli devono esserne consapevoli.
Ai Vescovi incombe l’episcopein, osservare, esaminare, considerare, incontrare e visitare (anche i siti internet), ma soprattutto le realtà di fedeli che richiedono la forma extraordinaria: si è fatto di tutto per rinnovare la liturgia e adesso proprio molti giovani sono attratti dalla Messa in forma extraordinaria, perché la liturgia serve per dare al Signore la lode e la giusta adorazione. Una liturgia che non mette al primo posto il Signore è una fiction, e i giovani se ne accorgono. Non saremo attenti a cogliere questo segno dei tempi che sta preparando il futuro della fede?
Accanto ai diritti e doveri dei Pastori della Chiesa, vi sono quelli dei fedeli laici. Non è importante il numero di persone che richiedono la forma extraordinaria. Non si celebra, specialmente nei giorni feriali, la Messa ordinaria anche per pochi fedeli? La celebrazione infatti è valida non per il numero delle persone che vi partecipano, ma per il fatto che il Signore è presente là dove “due o tre sono riuniti” nel Suo nome.
«Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa», è impresso sul dorso del volume XI Teologia della liturgia dell’Opera omnia del Santo Padre. Riflettiamoci bene. Se la liturgia necessita della fede come presupposto, ci avvicineremo ad essa con pace e serenità, come ha chiesto il Santo Padre ai vescovi francesi, cioè con la pazienza dell’amore a cui inneggia san Paolo nell’inno alla carità.
Dunque, l’Istruzione, in linea col Motu Proprio, guarda al futuro della Chiesa, al cui centro sta la croce di Cristo, come sta al centro dell’altare: Lui, Sommo Sacerdote cui la Chiesa rivolge il suo sguardo oggi, come ieri e sempre.
IL TIMONE N. 105 – ANNO XIII – Luglio/Agosto 2011 – pag. 16 – 17
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