15.12.2024

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L’ira: vizio o virtù?
31 Gennaio 2014

L’ira: vizio o virtù?

 

 


Reagisce a un’ingiustizia, è un’emozione in parte gestibile che può essere talvolta indice e causa di viziosità, ma a volte di virtuosità. Perché esprime una dimensione della totalità umana e rende più energici ed efficaci i nostri atti

 

 
Che cos’è l’ira? Essa comporta spesso agitazione motoria, accelerazione del battito cardiaco, tensione delle corde del collo, dilatazione delle pupille, ecc., ma questi sono sintomi corporei che non la definiscono, bensì sono fattori concomitanti. Inoltre: l’ira è sempre un vizio capitale oppure ci sono dei casi in cui può essere buona e virtuosa? Cominciamo a dire che essa è diversa dall’odio, perché quest’ultimo è normalmente “freddo”, calcolato e di lunga durata, mentre l’ira ci accalora, è improvvisa ed è più breve, quantunque abbia una logica cumulativa: spesso non si infiamma solo per la causa del momento, ma per un’accumulazione di episodi.

1.    L’ira come emozione
Seguiremo qui di seguito la trattazione dell’ira di Tommaso d’Aquino, che la considera un’emozione che sorge quando qualcuno pensa (a torto o a ragione) che sia avvenuta un’ingiustizia; se invece pensiamo di essere stati giustamente danneggiati non ci adiriamo, semmai proviamo odio e/o tristezza. L’ira reagisce ad un’ingiustizia desiderando una riparazione della situazione e una qualche punizione del colpevole. Ci sono due casi.
1. A volte l’ira «mira principalmente al male del colpevole, per trovarvi la propria soddisfazione».
2. Altre volte, invece, tramite la punizione dei colpevoli «tende principalmente a un bene» che può essere il loro pentimento e/o la repressione del male e/o «la tutela della giustizia e […] l’onore di Dio».
Possiamo allora aggiungere altre differenze tra l’odio e l’ira. Entrambe mirano ad un certo danno di qualcuno, «ma l’odio vuole il male del nemico in quanto male; invece l’ira vuole il male di chi l’ha provocata non in quanto male, ma sotto l’aspetto di bene», cioè pensando che infliggergli questo danno coincida con un atto di giustizia. Inoltre, l’odio, a volte, è insaziabile, mentre l’ira si placa quando ha ottenuto soddisfazione.
Ciò non toglie che a volte l’ira diventi progressivamente odio. Qui di seguito, scriverò che l’ira mira alla “vendetta” quando vuole il male altrui in quanto tale, mentre scriverò che mira alla “rpd” quando essa desidera la retribuzione- riparazione dell’ingiustizia e/o il pentimento della persona con cui ci si adira e/o la deterrenza rispetto al male.

2.    Il rapporto tra l’ira e la ragione

Tommaso espone i rapporti tra l’ira e la ragione. Ci limitiamo solo a due casi possibili.
1.    In certi casi il giudizio della ragione precede l’ira: chi si adira lo fa perché previamente ritiene-giudica che sia avvenuta un’ingiustizia e perché ritiene che sia possibile ottenere vendetta/rpd; quando ciò avviene:
–    talvolta, dopo che la ragione ha formulato il suo giudizio, l’ira eccessiva prorompe e ne ascolta imperfettamente il comando e perciò eccede-erra nell’esecuzione di ciò che la ragione ha giudicato-deciso per reagire all’ingiustizia;
–    talvolta, dopo che la ragione ha formulato il suo giudizio, l’ira interrompe o sbiadisce temporaneamente il giudizio, ma non ne compromette la correttezza, non fuorvia la ragione;
2. In certi casi è l’ira che precede il giudizio della ragione; quando ciò avviene:
–     talvolta l’ira fa errare la ragione;
–     talvolta la ragione interviene dopo l’ira e la smorza riflettendo sulla situazione: per esempio, posso ragionare sul fatto che forse mi sto adirando per una cosa che non è poi così importante o non lo è per nulla, oppure posso pensare al fatto che la persona che mi ha fatto adirare non era del tutto consapevole di ciò che faceva, oppure al fatto che anche io ho qualche colpa per come l’altro si comporta, posso pensare al fatto che ha trascorso una vita infelice, ecc. E quanto più presto si discutono le proprie credenze, tanto più tale disamina può risultare efficace. Sempre per disinnescare la collera, può essere utile raffreddarsi fisiologicamente, aspettando che l’ondata di adrenalina si estingua, spostandosi in un posto dove ci siano scarse probabilità di imbattersi in fattori che scatenano l’ira. Ci sono poi attività fisiche e tecniche di rilassamento e respirazione. In effetti (cfr. il mio articolo del 2009 ed il mio libro del 2010 citati in bibliografia per un’argomentazione di questa tesi), la ragione, in sinergia con la volontà, possiede la capacità di intervenire (in qualche misura) sulle emozioni. E «poiché essi [i moti emozionali] sono in qualche modo sottomessi all’uomo», e nella misura in cui lo sono, essi incidono sulla nostra bontà/malvagità.

3.    Ira bona-mala, come virtù-vizio

Da alcuni autori antecedenti a Tommaso l’ira era stata valutata in termini solo negativi, soprattutto perché veniva da loro ritenuta sempre irrazionale ed equiparata al desiderio di vendetta. Ma Tommaso – anche alla luce dei passi biblici sull’ira di Dio e sull’ira di Gesù contro i mercanti del Tempio – non è d’accordo.
Egli ribatte che la bontà/malvagità dell’ira dipende da vari elementi (propriamente parlando, il male non sta tanto nel provare l’emozione, ma nell’avallarla con la volontà, nell’acconsentire).
1. In primo luogo dipende da che cosa essa desidera, cioè l’ira:
1.1. è mala, malvagia, se mira principalmente al male dell’offensore «poiché rallegrarsi del male altrui […] è incompatibile con la carità […]. E uno non è scusato per il fatto che desidera del male a una persona colpevole di averne procurato ingiustamente a lui: come non si è autorizzati a odiare chi ci odia»;
1.2. è bona, moralmente buona, se mira a quel bene che è la “rdp”, purché siano rispettate le altre condizioni (2.2.1., 2.2.2. e 3.2.). Infatti, fare un male ad una persona non equivale per forza a commettere un male morale: se un padre punisce giustamente un figlio gli fa male, ma non fa del male morale, anzi fa del bene morale e fa il bene del figlio.
2. In secondo luogo dipende dalla sua modalità, cioè l’ira:
2.1. è mala se uno si adira in modo sproporzionato e sregolato;
2.2. è bona se uno si adira in modo proporzionato e regolato, il che vuol dire:
2.2.1. se la sua intensità è proporzionata (il che potrebbe a volte richiedere una forte intensità) all’ingiustizia avvenuta;
2.2.2. se uno desidera che sia punito chi lo merita, e che venga punito quanto si merita, in modo conforme a ciò che prevede una legge giusta, lasciando il compito a chi ne ha autorità.
3. In terzo luogo dipende dall’esecuzione degli atti ne conseguono, cioè l’ira:
3.1. è mala se uno esegue male il pur giusto giudizio della ragione (su come reagire-fare giustizia) e si comporta come fanno quei servi che si affrettano ad eseguire un ordine prima di averlo ascoltato interamente;
3.2. è bona se l’ira esegue correttamente il giudizio (su come reagire) della retta ragione, facilitando così, grazie alla sua energia, l’esecuzione dell’atto (la reazione al male avvenuto) che la ragione stessa ha deciso. Se l’ira rispetta insieme i criteri 1.2., 2.2.1., 2.2.2. e 3.2. è lodevole ed aggiunge bontà ad un atto umano:
– sia perché dispiega una componente dell’uomo, quella emotiva (e Tommaso giustamente dice che un’azione perfettamente umana deve esprimere tutte le dimensioni dell’uomo: cfr., di nuovo, i miei lavori a cui ho già rinviato);
–    sia perché rende più energico, più sollecito e più efficace (capace di conseguire lo scopo) l’atto che da essa è irrorato. Se invece non li rispetta tutti è riprovevole. Se l’ira bona/mala si consolida perché viene avallata dalla volontà, diventa una virtù/vizio. E, poiché (cfr., di nuovo, ibidem) l’uomo ha (in una certa misura) il potere sia di voler volere sia di voler produrre (in qualche misura) delle emozioni e di poterle coltivare, ne deriva quanto segue: per Tommaso, non soltanto l’ira bona è appunto buona, ma la sua mancanza, cioè l’indifferenza nei riguardi di un’ingiustizia, può essere moralmente malvagia. Infatti, se è avvenuta una vera ingiustizia di cui sono a conoscenza devo a volte (a volte, non sempre: per esempio, non quando si verifica un’ingiustizia in un luogo che dista da me migliaia di chilometri, a qualcuno che non ha con me nessun rapporto) provare l’emozione dell’ira, cosicché, se resto indifferente, manifesto indirettamente un mio vizio, quello della debolezza della volontà, la quale:
–     o non ha voluto intensamente la giustizia (se la volontà la volesse, la sua energia ridonderebbe nella sfera emotiva generando in me l’emozione dell’ira);
–     oppure non ha voluto coltivare l’emozione dell’ira bona, anche alimentandola (come le è invece possibile), cosicché io non provo ira in una certa situazione in cui sarebbe appropriata. Quando l’ira si consolida e diventa una propensione stabile del soggetto – e lo diventa mediante la ripetizione di consensi da parte della ragione e della volontà – diviene un vizio capitale. Quest’ultimo è quello da cui derivano altri vizi e vari atti malvagi, che noi compiamo per dargli soddisfazione: nel caso dell’ira mala per vendicarci.

 
 
 
 
 
 
Per saperne di più…

Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I-II, qq. 46-48, II-II, q. 108 e q. 158, De Malo, q. 12.
Giacomo Samek Lodovici, L’ira secondo Tommaso d’Aquino, in Rivista Teologica di Lugano, in corso di pubblicazione (primavera 2011). Id., L’emozione del bene. Alcune idee sulla virtù, Vita e Pensiero, 2010, pp. 23-83. Id., È possibile governare le emozioni? in il Timone, 87 (2009), pp. 54-55.
Elena Sansonetti, L’ira nel De Malo di Tommaso d’Aquino, in Rivista di Filosofia Neo-scolastica, in corso di pubblicazione.

 

 

 
 
 
 
 
 

 

IL TIMONE  N. 102 – ANNO XIII – Aprile 2011 – pag. 30 – 31

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