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22.12.2024

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La laicità dello Stato, parte II
31 Gennaio 2014

La laicità dello Stato, parte II

 

 

Continuiamo la disamina di un concetto chiave del nostro tempo. Utilizzato spesso con intenti anti-cristiani. Per emarginare la religione e renderla ininfluente nella sfera pubblica

 

Il mese scorso avevamo concluso il discorso dicendo che in una corretta concezione della laicità dello Stato le norme religiose non devono tradursi in leggi dello Stato. Da qui dobbiamo ripartire.

Norme morali, norme religiose e leggi dello Stato
Precisiamo adesso il discorso sul rapporto tra le norme morali, le norme religiose e le leggi dello Stato. A tale riguardo possiamo distinguere (almeno) sei tipi di norme morali, correlate a sei tipi di azioni.
1) Norme valide solo per i credenti, perché accessibili solo a chi ha la fede, che vietano le azioni moralmente negative solo per i credenti («non trascurare la preghiera», «non saltare la messa domenicale», «non saltare il digiuno l’ultimo venerdì di quaresima», ecc.).
2) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative con cui il soggetto agente non danneggia il prossimo («non compiere atti di gola», «non essere pigro»,«non suicidarti»), almeno non in modo diretto (in realtà in modo indiretto qualsiasi azione incide sugli altri e quindi danneggia/favorisce il loro bene, cfr. il Timone, 36 [2004], pp. 32-33).
3) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative con cui il soggetto danneggia il prossimo in modo lieve («non essere avaro, quantunque tu possieda legittimamente i tuoi beni», «non dire menzogne, nemmeno quelle che danneggiano poco o per nulla gli altri», ecc.).
4) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che vietano le azioni moralmente negative che danneggiano il prossimo in modo significativo («non dire menzogne che danneggiano significativamente gli altri», «non rubare», «non torturare», «non uccidere», ecc). Queste ultime norme coincidono con le norme primarie della legge naturale.
5) Norme valide solo per i credenti, perché accessibili solo a chi ha la fede, che incentivano le azioni moralmente positive (non obbligatorie) per il credente («prega spesso», «vai spesso a messa», «fai spesso il digiuno», ecc).
6) Norme valide per chiunque, perché accessibili con il ragionamento, che incentivano alcune azioni moralmente positive (non obbligatorie) per chiunque («fai volontariato», «consola chi è afflitto», «vai a trovare i malati», ecc.).

Ebbene, in un regime di «sana laicità» lo Stato:
– deve vietare solo le azioni del quarto tipo, perciò devono essere reati solo le azioni che ricadono sotto le norme corrispondenti (cfr. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 96, a. 2).
È vero che tali norme del quarto tipo che lo Stato deve emanare sono anche norme morali cristiane. Ma tale coincidenza non è la conseguenza di una mera traduzione delle norme religiose in leggi dello Stato. Piuttosto, queste norme devono essere recepite dallo Stato non già perché sono cristiane, bensì solo perché sono accessibili a chiunque con il ragionamento (infatti sono norme della legge morale naturale) e perché le azioni da esse vietate danneggiano significativamente il prossimo.
Invece, lo Stato non deve vietare con la legge le azioni che ricadono sotto le norme del primo tipo, sotto le norme del secondo tipo (su questo punto la controversia è attualissima, cfr. dibattito sull’eutanasia di chi la richiede; personalmente ritengo giusto sia vietare la collaborazione ad un suicidio, sia – tranne in un caso – impedire ad un uomo di suicidarsi, ma non il divieto legale del suicidio, che pur è un atto gravemente e sempre malvagio; la questione richiederebbe molte spiegazioni, prevedo che qualche lettore potrà essere in disaccordo, e la mia opinione è ovviamente opinabile: l’ho motivata almeno parzialmente nell’articolo citato in bibliografia) e del terzo tipo. Queste azioni, pur essendo moralmente sbagliate, devono essere tollerate, per almeno due motivi:
1. Le azioni che ricadono sotto le norme del primo, secondo e terzo tipo non devono essere vietate perché la libertà è un grandissimo bene da tutelare, anche a costo di tollerare (che non vuol dire approvare) che l’uomo ne faccia, talvolta, anche un uso moralmente sbagliato.
2. Le azioni che ricadono sotto le norme del primo tipo non devono essere vietate perché l’accettazione di queste norme richiede una previa adesione alla fede;

– deve incentivare, beninteso non coercitivamente, alcune delle azioni positive del primo e del quinto tipo, cioè quelle che promuovono, mantengono o consolidano la religiosità del credente.
Ciò può sembrare in contraddizione con la laicità, ma non lo è, per due motivi:
1. La libertà è un diritto umano innato che dunque lo Stato deve non già istituire, bensì riconoscere, che esso deve non già tollerare, bensì promuovere come valore in sé, come fa per altre espressioni di libertà (culturale, di associazione politica, ecc.).
2. Lo Stato ricava un notevolissimo beneficio sociale (cfr. il Timone, 70 [2008], pp. 14-15) dalle iniziative morali, caritative, solidaristiche che i credenti intraprendono sulla scorta di motivazioni religiose.
Dunque, se è vero che uno Stato sanamente laico non deve assumere alcuna connotazione religiosa, «non per questo è motivato all’indifferenza nei confronti delle realtà religiose, bensì è tenuto al riconoscimento da dare all’esercizio concreto della libertà religiosa e alle sue espressioni storiche, anche nella forma del sostegno alle opere che le tradizioni religiose compiono con vantaggio del bene comune» (Francesco Botturi, Secolarizzazione e laicità, in Donati 2008, p. 319, cfr. la bibliografia citata il mese scorso).

– deve incentivare, ma non coercitivamente, alcune azioni del sesto tipo, per il loro beneficio sociale.

Gli interventi pubblici della Chiesa
Pertanto la Chiesa deve intervenire nel dibattito pubblico:
– per approvare-promuovere le leggi coercitive che rispettano le norme morali del quarto tipo (per esempio la legge che vieta il furto e quella che vieta l’omicidio);

– per disapprovare le leggi che consentono la trasgressione delle norme del quarto tipo (per esempio la legge che consente l’aborto);

– per disapprovare le leggi che comandano azioni del primo tipo (per esempio una legge che comandi di non andare a messa), azioni del secondo tipo (una legge che comandi di suicidarsi), azioni del terzo tipo (una legge che comandi di non fare beneficenza) ed azioni del quarto tipo (una legge che comandi di uccidere certe persone, per esempio gli ebrei e i non comunisti);

– per approvare leggi-provvedimenti non coercitivi incentivanti le azioni positive del primo e del quinto tipo;
– per approvare leggi-provvedimenti non coercitivi incentivanti le azioni del sesto tipo.

 
 
 
 
 
RICORDA

«La “sana laicità” […] implica l’effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall’ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica. Non può essere pertanto la Chiesa a indicare quale ordinamento politico e sociale sia da preferirsi, ma è il popolo che deve decidere liberamente i modi migliori e più adatti di organizzare la vita politica. Ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un’indebita ingerenza.
D’altra parte, la “sana laicità” comporta che lo Stato non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica».
(Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno nazionale promosso dall’Unione giuristi cattolici italiani, 9 dicembre 2006, www.vatican.va )

 

 
 

BIBLIOGRAFIA

 

Oltre ai titoli già citati il mese scorso, cfr. Giacomo Samek Lodovici, Non c’è un’autodeterminazione di Stato, in Avvenire, 9 ottobre 2008, www.scienzaevita.org/rassegne/rassegna1447.pdf

 

 


IL TIMONE  N. 95 – ANNO XII – Luglio/Agosto 2010 – pag. 30 – 31

 

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