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21.12.2024

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Che cos’è il bene?
31 Gennaio 2014

Che cos’è il bene?

 

 

 


Una disamina di un concetto centrale, delle realtà che lo incarnano, delle loro caratteristiche e delle loro forme


 

La nozione di bene è un concetto centrale non solo della filosofia, specialmente della filosofia morale, ma anche degli altri saperi umani (lo utilizziamo in giurisprudenza, in economia, in psicologia, ecc). Tuttavia, nonostante questo nostro uso linguistico molto frequente, e pur facendo spesso esperienza di diversi beni, non ci è per nulla facile definire il bene. Cerchiamo di seguito di sceverarne il concetto seguendo molto da vicino Tommaso d’Aquino.
Premessa: faremo riferimento alla nozione di amore e qui non è certo possibile fare la rassegna degli atti e delle forme dell’amore. Ci basta dire che, in una delle sue forme, amare qualcuno significa gioire disinteressatamente per il suo esserci, essere disinteressatamente compiaciuti della sua esistenza, significa pensare e/o dire «è bene che tu sia», «è meraviglioso che tu esista», «gioisco perché tu sei».

Un bene è un’entità amabile e/o ammirabile e/o desiderabile
Fatto questa premessa, si può dire che il bene ha tre caratteristiche, cioè l’amabilità e/o l’ammirabilità e/o la desiderabilità.

1. Il bene è ciò che è prezioso e perciò è oggetto di gioia-amore disinteressato, o, perlomeno, esso è ciò che meriterebbe di essere amato di tale amore disinteressato e che sarebbe normale che provocasse gioia per il suo stesso esserci (anche se magari ciò non accade). Per esempio, sperimentiamo questo aspetto del bene al cospetto di un neonato, che, solitamente, ci provoca gioia e commozione-stupore (ovviamente ogni essere umano di per sé è amabile, meriterebbe di essere amato, anche il malvagio, non solo il neonato).
Dunque un bene è una entità amabile.

2. Il bene è ciò che è pregevole e perciò è oggetto di ammirazione o, perlomeno, esso è ciò che meriterebbe di essere ammirato (anche se magari ciò non accade). Pensiamo, per esempio, alle abilità, destrezze, perizie, bravure, ecc., che sono appunto beni di una persona e sono ammirabili (prima ancora che desiderabili). Pensiamo all’abilità-bravura di un atleta, di un musicista, di uno scrittore, di un politico, di un matematico, di un filosofo, ecc.
Dunque un bene è una entità ammirabile (in senso quasi estetico, dunque per questo suo aspetto il bene è vicino al bello).

3. Il bene è ciò che soddisfa-appaga-corrisponde ad un’inclinazione-desiderio-tendenza, in particolare dell’uomo (ma non solo: il cibo è un bene per l’animale, corrisponde alla sua tendenza a nutrirsi), ed è perciò oggetto di desiderio o, perlomeno, è ciò che meriterebbe di essere desiderato (anche se magari ciò non accade).
Dunque un bene è una entità desiderabile.

Un bene può possedere una di queste caratteristiche, oppure due, oppure anche tutte e tre.

Ora, un’entità può essere amabile e/o ammirabile e/o desiderabile in senso ontologico e/o in senso morale (l’ontologia, lo diciamo con qualche semplificazione, è quella parte della filosofia che si interroga sull’essere/non essere di qualcosa, sulla sua natura – cioè cerca di rispondere alla domanda «che cos’è questa cosa?» – si interroga sul modo d’essere di qualcosa, sulla sua possibilità/impossibilità di esistere, ecc.).

Bene ontologico

Esaminiamo dapprima il bene ontologico e confrontiamolo con il male ontologico.

Bene ontologico: è una cosa/situazione del mondo/azione/ carattere/persona che è amabile e/o ammirabile e/o desiderabile.
Ora, dal punto di vista ontologico, alcuni enti sono insieme amabili, ammirabili e desiderabili, altri invece non hanno tutte e tre queste caratteristiche.

Male ontologico: non esiste. Consideriamo al riguardo, per esempio, alcune cose negative come la malattia, la morte e la sofferenza: la malattia è privazione-assenza di salute, la morte è privazione-assenza di vita, la sofferenza è privazione-assenza della serenità dell’animo. Così, alla domanda «che cos’è il male?», già Agostino e Dionigi l’Areopagita (sulla scorta di Plotino) rispondevano che il male è assenza di un bene, è privazione; anche se può sembrare paradossale ed assurdo, ciò vuol dire che il male non è una cosa, non è una sostanza, non è un essere, cioè non esiste: infatti, il male non è il processo di privazione di un bene, bensì il risultato della privazione, dunque il male non è, non esiste, non è un’entità, pertanto tutto ciò che esiste è un bene ontologico.
Obiezione: non potrebbe il bene essere assenza di male, invece che il male assenza di bene? No, perché il bene può esistere senza il male, mentre il processo di privazione non può esistere senza il bene: qualora una creatura perdesse tutto il suo bene non esisterebbe (Agostino, De civ., XIV, 11,1; Conf., VII, 12): la vita esiste di per sé senza morte, la morte toglie la vita e non potrebbe subentrare alla vita se prima non ci fosse stata appunto la vita; la vista esiste senza la cecità e quest’ultima non può esistere senza la vista.

Bene-bontà morale
Procediamo adesso con la disamina del bene-bontà morale confrontandolo con il male morale.

Bene-bontà morale: è una proprietà-qualità non già delle cose, bensì degli atti umani, specialmente degli atti della volontà, e delle propensioni-disposizioni del carattere di un uomo: è la proprietà-qualità di un’azione, di una propensione, di un carattere che li rende amabili, ammirabili e desiderabili.
Di riflesso, la bontà morale è anche una proprietà degli stati del mondo. Per esempio, diciamo che una situazione sociale di equità è moralmente buona se è causata dalle azioni umane; però, propriamente parlando, essa è positiva e non propriamente buona e sono moralmente buone solo le azioni, non le situazioni.
Dal punto di vista morale un’azione/propensione buona è insieme amabile, ammirabile e desiderabile, ha sempre tutte e tre queste caratteristiche: infatti, meriterebbe sia una qualche gioia per il suo esserci, sia una qualche ammirazione per la sua natura, sia un qualche desiderio di essere compiuta ed emulata.

Male-malvagità morale: è una proprietà-qualità non già delle cose, bensì degli atti umani, specialmente degli atti della volontà, e delle propensioni del carattere umano: è la proprietà che rende odiabili-detestabili, disgustosi ed indesiderabili il compimento di un’azione, il possesso di una propensione ed il possesso di un certo carattere.
Di riflesso, la malvagità morale è anche una proprietà degli stati di cose. Per esempio, diciamo che una situazione sociale di povertà è malvagia se è causata dalle azioni/omissioni dell’uomo; però, propriamente, essa è negativa e non malvagia e sono moralmente malvagie le azioni/omissioni, non la situazione.

Ora, ogni azione/propensione (ed ogni carattere, che è costituito dall’insieme delle propensioni di un uomo) è un bene ontologico in quanto esiste (abbiamo già detto che tutto ciò che esiste è un bene ontologico), e può poi essere moralmente buona/malvagia. È in rapporto alla loro bontà/malvagità morale che le azioni sono beni/mali morali.
Infine, le propensioni moralmente buone si chiamano virtù, quelle moralmente cattive si chiamano vizi.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I, qq. 5-6.
Tommaso d’Aquino, Commento all’Etica Nicomachea di Aristotele, proemio.
Giuseppe Abbà, Costituzione epistemica della filosofia morale. Ricerche di filosofia morale – 2, LAS, Roma 2009, pp. 194-197.
Francesco Botturi, La generazione del bene. Gratuità ed esperienza morale, Vita e Pensiero, 2009, pp. 285-307.
Giacomo Samek Lodovici, La felicità del bene. Una rilettura di Tommaso d’Aquino, Vita e Pensiero, 2002, pp. 50-56.

 

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 92 – ANNO XII – Aprile 2010 – pag. 30 – 31

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