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22.12.2024

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Che cosa sono le azioni? Parte I
31 Gennaio 2014

Che cosa sono le azioni? Parte I

 

 

 

Gli elementi essenziali per identificare gli atti umani: un cmpito talvolta difficile ma necessario per giudicare il nostro agire

 

Come bisogna comportarsi se un aereo è stato dirottato e punta diritto sulle Twin Towers? Abbattere l'aereo (prima che colpisca il suo bersaglio) su cui viaggiano decine di persone innocenti è un assassinio e quindi è un atto malvagio, oppure non è un assassinio e quindi è moralmente giusto? E che azione compie un medico che sospende la somministrazione, ad un paziente, di terapie in sé molto dolorose, col risultato che il paziente muore? È un'azione eutanasica o un rifiuto di praticare l'accanimento terapeutico? Non risolveremo questi esempi, che hanno lo scopo di mostrare che, talvolta, una delle attività moralmente più difficili è capire qual è l'azione che si vuole giudicare; in certi casi, è ancor più difficile che non giudicare l'azione.

Ora, da alcuni decenni è in corso un dibattito serrato e molto analitico sull'azione e noi, inevitabilmente, ci limitiamo qui solo a qualche spunto su un tema che è molto complesso.

Anzitutto, che cos'è un'azione? Un'azione è:
1) un evento;
2) di cui l'uomo è il soggetto e non solo la causa;
3) di cui l'uomo è soggetto
3.1.) consapevole;
3.2.) volontario (libero).

Perciò non sono azioni i seguenti eventi:
– né la caduta di una foglia o un terremoto, perché essi non sono compiuti dall'uomo;
– né il muoversi di una palla da me colpita, perché il suo muoversi è un evento che ha sì me come causa, ma non come soggetto (piuttosto, la mia azione è «colpire»);
– né un movimento irriflesso della mia mano o il battito irriflesso di un mio ciglio, perché io ne sono la causa, ma non ne sono consapevole, almeno finché non decido volontariamente di muovere la mano e di sbattere le ciglia; e se, stracciando della carta, distruggo un assegno che si trova in mezzo alla carta a mia insaputa, la mia azione è «stracciare la carta», non «stracciare un assegno»; – né gridare per il dolore perché qualcuno mi torce il braccio e mi fa gridare, perché io sono la causa del mio urlare (insieme a colui che mi torce il braccio), ne sono consapevole, ma non ne sono l'autore volontario; né il mio battito cardiaco (di cui pur sono consapevole, quando tasto al polso le mie pulsazioni), almeno finché non decido volontariamente di aumentare il mio battito cardiaco, per esempio correndo; neppure è un'azione il mio rotolare, mio malgrado e involontariamente, lungo una pista da sci.

Un'azione può essere interiore al soggetto, nel caso degli atti intellettivi o volitivi, oppure esteriore-corporea, quando io agisco in un modo che comporta l'intervento del mio corpo. In questo secondo caso, l'evento che ha me come causa è un'azione solo se il mio fare fisico-corporeo presuppone anche un mio atto intellettivo (o più di uno) ed incorpora un mio atto volitivo (o più di uno). Abbiamo già visto che il movimento della mia mano non è una mia azione se è irriflesso: è una mia azione se è un fare consapevole e voluto {lo stesso si può dire di un battito di ciglia, che può essere, come abbiamo detto, un evento irriflesso del mio corpo, oppure una mia azione consapevole).

Sul Timone n. 49 (pp. 32-33) abbiamo già visto che la consapevolezza e la volontarietà sono le condizioni dell'imputabilità morale di un atto.

Qui dobbiamo comprendere che, a volte, è molto difficile chiarire l'identità dell'azione che si vuole giudicare, vale a dire è molto difficile «descrivere l'azione» (come dicono i filosofi). E ciò soprattutto quando l'azione coinvolge il corpo.
Infatti, in un'azione possiamo distinguere: I) l'identità-fine immediato; II) il fine ulteriore; III) le circostanze.

I) Per comprendere l'identità di un'azione che coinvolge il corpo, dobbiamo distinguere il genus naturae cioè l'aspetto fisico-corporeo di ciò che facciamo, dal genus moris dell'azione, cioè l'azione vera e propria che compiamo. Dobbiamo cioè individuare il fine immediato (chiamato da alcuni autori finis operis e «oggetto d'azione», da non confondere con quell'oggetto di un'azione, cfr. punto III, sul Timone del mese prossimo, che rientra tra le sue circostanze) voluto dalla volontà del soggetto, che è diverso dal fine ulteriore. Per esempio, quando chiedo la parola in un'assemblea, o do il segnale di partenza di una gara, o do l'ordine di uccidere qualcuno, o faccio il saluto nazista, ecc., faccio sempre lo stessa cosa dal punto di vista fisico-corporeo, ma l'identità dell'azione è molto diversa. Ancora (l'esempio è di s. Tommaso), dal punto di vista fisico-corporeo l'adulterio e l'atto coniugale sono identici, ma non lo sono le due azioni che vengono compiute.
Il che significa che siamo in grado di comprendere l'identità di un'azione solo quando la descrizione di un evento fisico-corporeo di cui un uomo è il soggetto consapevole e volontario risponde alla domanda «perché quell'uomo lo ha fatto?», cioè solo quando la descrizione incorpora lo scopo, il fine immediato della volontà, il perché.
Il fine immediato della volontà non è una cosa (un libro, una mela, ecc.), ma appunto un'azione («comprare un libro», «mangiare una mela»).
Un errore di alcuni eticisti è quello di identificare le azioni dall'esterno del soggetto agente, dal punto di vista della terza persona, in rapporto al suo aspetto fisico ed ai suoi effetti, senza tener conto del fine immediato interiore della volontà: ma l'azione non è un mero evento fisico a cui seguono certi effetti. L'evento e gli effetti sono la componente fisica dell'azione, la sua materia, ma un evento è un'azione se e perché scaturisce da un atto dell'intelligenza e da un atto della volontà. Se (l'esempio è di Rodriguez Luno e Colom, cfr. bibliografia), imprevedibilmente, Pietro muore mentre realizzo correttamente (almeno secondo le conoscenze attuali della chirurgia) un intervento chirurgico su di lui, io compio l'azione «intervento chirurgico» che ha come effetto «la morte di Pietro», ma non compio l'azione «assassinio di Pietro», perché in nessun momento, e sotto nessun aspetto, io ho pensato la morte di Pietro come un fine da perseguire, né mai, in nessun modo, ho voluto cagionarla con il mio agire. E se uccido mio padre volontariamente, ma senza sapere che è mio padre (come succede ad Edipo), compio un assassinio ma non un parricidio.
Insomma, un'azione che coinvolge il corpo è determinata, in sequenza, da:
0. un atto dell'intelligenza che individua un fine (immediato);
1. un atto della volontà che vuole quel fine (immediato);
2. un fare fisico del corpo.
Così, l'atto della volontà e il fare fisico sono i due elementi costitutivi dell'azione.
Proseguiremo il discorso fra un mese.

 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA
 
Enrique Colom – Angel Rodriguez Luno, Scelti in Cristo per essere santi, Apollinare studi, 1999, pp. 173-224.
Edmund Runggaldier, Che cosa sono le azioni? Un confronto filosofico con il naturalismo, Vita e Pensiero, 2000.
Stephen Brock, Azione e condotta. Tommaso d'Aquino e la teoria dell'azione, Edusc, 2002.

 

 

 

 

IL TIMONE  N. 82 – ANNO XI – Aprile 2009 – pag. 30 – 31

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