Il silenzio interiore è via indispensabile per giungere alla contemplazione del Mistero divino. Decisivo è l’atteggiamento del cuore. Che deve ricercare Dio e non se stesso. Allora la nostra orazione sarà spontaneamente un “tacere”, per ascoltare Lui.
Dicevamo la volta scorsa dell’importanza di scoprire il valore del silenzio anche per accedere al rapporto con Dio. Se il frastuono esterno, nelle sue mille forme, è troppo forte, il nostro animo è facilmente dissipato e distratto. Ora, però, vorremmo aggiungere a tutto questo un successivo passaggio parlando di un grado di silenzio ancor più profondo che ci porta a scoprire sempre meglio chi siamo e quale è il nostro vero rapporto con Colui che ci ha donato la vita.
Si tratta di un silenzio diverso da quello a cui normalmente pensiamo. Un silenzio che non è solo il tacere della parola esterna, ma anche di quella interiore. Un silenzio che abbraccia tutto il nostro essere. Un silenzio che è calma totale, fiducioso e pieno abbandono di una creatura davanti al suo Signore. Un silenzio che non è, dunque, solo rinuncia temporanea a parlare con gli uomini per poter parlare con Dio. Ma che si fa in qualche modo anche rinuncia a parlare con Dio stesso perché Egli, se noi impariamo a tacere, possa davvero parlare sempre più profondamente al nostro cuore e trasformarlo come solo Lui sa fare. Ogni contemplativo, che si sia trattato di un monaco oppure di un laico, ha sempre fatto esperienza di questo silenzio profondo, di questa relazione intensa e profonda con Dio. La storia della spiritualità cristiana ne contiene ricchissime testimonianze. Lo Spirito ha sempre soffiato in ogni tempo, colmando le anime di ricchezze impensabili a uno sguardo superficiale. Il mondo d’oggi, però, sembra riscoprire con maggiore urgenza il bisogno di questa spiritualità profonda che raggiunge le radici dell’essere. Lo dimostrano, da una parte, il successo delle sapienze e spiritualità non cristiane con le loro numerose forme di meditazione, ma anche la riscoperta – spesso indotta dalle prime – della tradizione contemplativa cristiana sia ortodossa che cattolica.
Non vi è dubbio che tutte queste filosofie e spiritualità soprattutto orientali siano interessanti anche per la ricchezza delle tecniche che hanno saputo elaborare nei secoli. Esse sono nate e si sono sviluppate in ambienti in cui non esisteva una Rivelazione intesa nel senso specifico che assume nella nostra tradizione ebraico cristiana. Pertanto, in esse, non è il Cielo che scende verso l’uomo per svelargli chi è, ma è quest’ultimo che, per tappe successive e sempre più complesse, cerca di conoscere se stesso. E che, proprio al fine di ottenere questo scopo, si sforza di penetrare il più possibile nelle profondità del proprio essere. Profondità nelle quali egli incontra livelli di esperienza e di conoscenza nuovi, capaci di arricchirlo e di trasformarlo.
Così, seppure con presupposti e tecniche diverse, c’è qualcosa che accomuna tutti questi percorsi spirituali diversi dalla tradizione giudaico-cristiana. Pur non conoscendo il concetto di peccato originale – con le conseguenze che noi sappiamo sulla natura umana – tuttavia anch’essi partono dalla intuizione che la struttura dell’essere è come prigioniera di una ragione spesso appannata e di una psiche esposta a mille fragilità.
Una situazione sulla quale, tuttavia, è possibile lavorare perché l’uomo, nonostante questi suoi limiti, in realtà è ricco di risorse nascoste nelle pieghe del proprio essere. Risorse che possono venire scoperte e utilizzate per evolvere verso livelli di esperienza e di vita più equilibrati e profondi.
Ebbene, una delle chiavi comuni, il punto di partenza simile, pur nella diversità dei presupposti e dei metodi, è proprio la ricerca di quel silenzio interiore di cui prima parlavamo. Così, per iniziare e proseguire in questa sua presa di coscienza evolutiva, l’uomo deve anzitutto apprendere quell’atteggiamento interiore che lo pone tranquillo in tutto il proprio essere, che lo rende capace di restare silenzioso verso il mondo esteriore, ma anche nei confronti dei turbinii continui di quello interiore. Deve cioè imparare a trovare quel silenzio che, avvolgendolo fuori e dentro, lo pone nella condizione di andare oltre le barriere che lo ostacolano. Quel silenzio che lo rende capace di ascoltare ciò che proviene dalle profondità del proprio essere e di vedere quella luce nascosta che può illuminare la sua vita.
Non vi è dunque da stupirsi che ad un uomo esposto come quello occidentale a mille angosce, sempre più allontanato da se stesso e da Dio da una cultura razionalista e materialista, tutto questo bagaglio di sapienze e di tecniche ad esse collegate appaia affascinante. Si tratta spesso di quei “semi del Verbo” che la Chiesa stessa ci invita a scoprire perché ci aiutano a capire, attraverso vie diverse, la grandezza del nostro essere e dei doni che Dio ci ha dato. Anche utili, dunque.
Fino a quando, tuttavia, non abbiano come conseguenza un distacco dalle proprie origini e un rinnegamento della Tradizione cristiana spesso mal conosciuta quando non del tutto ignorata.
È proprio per evitare questo pericolo che, in questi ultimi decenni, non solo si sono tentate esperienze di mediazione tra oriente e occidente, ma sono anche state riproposte con vigore esperienze contemplative più propriamente cristiane come quelle provenienti dall’esicasmo ortodosso o proprie della tradizione monastica occidentale, come la lectio divina.
Tutto queste permette oggi, per chi lo voglia, di fare esperienza di ciò in quei centri ormai numerosi dove si praticano queste forme di preghiera che guidano verso la scoperta della dimensione contemplativa. Sono forme nuove di “esercizi spirituali”, che mirano a facilitare un apprendimento di quel silenzio profondo di cui parlavamo. Che cercano di raggiungere tutto intero l’essere – corpo, psiche, spirito – per consentirgli di provare questo imparare a “tacere”. Con però un chiaro punto d’arrivo, una impronta cristiana precisa che è quella di aprire tutto il proprio essere non al nulla o a qualcosa di indistinto ma al Tutto, cioè a Dio. Colui che ha conosciuto, attraverso la Rivelazione, che Dio è Amore sa già, infatti, qual è il percorso e quale la meta. Deve solo imparare a porsi nella condizione di maggiore recettività possibile, imparando ad aprirsi al massimo grado, capendo che il silenzio interiore è la via privilegiata per giungervi.
Una occasione, dunque. Un aiuto in più, quando è possibile, per acquisire una maggiore maturità interiore. Ma anche, talvolta, un rischio di far apparire complicato ciò che in realtà è semplice perché, in verità, appartiene da sempre alla spiritualità tradizionale.
La quale ha sempre indicato come decisivo, per vivere appieno la fede, un passaggio fondamentale. Un punto di svolta che da solo è capace di ribaltare tutto il nostro modo di essere, spianando così la strada alla contemplazione. Esso è la presa di coscienza che la via per crescere e raggiungere un rapporto più intenso e profondo con Dio è quella di un ridimensionamento progressivo del nostro io più superficiale per raggiungere il nostro vero io, quello che coincide con il progetto che Dio ha su di noi. È il capire che è quest’ultimo che dobbiamo volere e cercare se vogliamo davvero esprimere il nostro essere in tutte le sue potenzialità.
Così, alla fine, non sono le tecniche, per quanto raffinate, ad essere decisive, ma l’atteggiamento del cuore. E se quest’ultimo è teso a ricercare Dio e non noi stessi, la contemplazione ne deriverà come una conseguenza pressoché inevitabile perché la nostra orazione sarà spontaneamente un “tacere”, per ascoltare lui.
E, a questo punto, ogni preghiera andrà bene proprio come scrive sant’Escrivà de Balaguer: «Dapprima una giaculatoria, poi un’altra, e un’altra ancora… Finché questo fervore appare insufficiente e allora subentra l’intimità divina, lo sguardo fisso in Dio, senza soste e senza mai stancarsi… Le parole vengono meno, la lingua non riesce ad esprimersi; anche l’intelletto si acquieta. Non si discorre, si ammira. E l’anima erompe ancora una volta in un cantico nuovo, perché si sente e si sa ricambiata dallo sguardo amoroso di Dio, in ogni istante della giornata. Non alludo a situazioni straordinarie. Sono, possono benissimo essere fenomeni ordinari della nostra anima: come una pazzia di amore che, senza spettacolo, senza stravaganze, ci insegna a soffrire e a vivere, perché Dio ci concede la Sapienza. Incamminati sullo stretto sentiero che conduce alla vita, quanta serenità allora e quanta pace».
RICORDA
«Nel silenzio è possibile percepire più nitidamente la forza arcana della verità, l’attrattiva di ciò che è giusto e buono, il fascino della bellezza che esalta senza turbarci o contaminarci: è possibile cioè assimilare tutto ciò che intimamente ci nutre, ci fa crescere, ci consente di vivere in modo degno».
(Emanuela Ghini [a cura di], Giacomo Biffi. Una sorte bellissima. Piccolo dizionario del Cristianesimo, Piemme, 2004, p. 204).
IL TIMONE – N. 77 – Anno X – Novembre 2008 – pag. 56-57