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22.12.2024

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L’uomo viene alla luce in un altro uomo
31 Gennaio 2014

L’uomo viene alla luce in un altro uomo

 

 

Ogni uomo ha bisogno della relazione interpersonale come e più del cibo. L'attivazione, la maturazione e l'equilibrio della nostra identità psicologica sono strettamente connesse al riconoscimento-amore dell'altro (e dell'Altro).

La formazione dell'identità psicologica di ognuno di noi è strettamente dipendente dall'affetto degli altri. L'espressione «l'uomo viene alla luce in un altro uomo» ha evidentemente un primo significato biologico: l'essere umano si forma nel grembo materno. Ma, come spiega Francesco Botturi, possiede anche un altro significato: indica che l'uomo esige il riconoscimento del proprio valore come condizione di possibilità per «attivare pienamente le proprie capacità affettive ed intellettuali e per raggiungere il senso della propria identità: chi non si sente affettuosamente accolto, non riesce ad accogliersi [ossia: chi non è amato non riesce ad amare se stesso]; chi non sa accogliersi non ha la carica affettiva sufficiente per esplicare le sue capacità fondamentali». Fin dal momento della nascita, l'uomo ha un bisogno cruciale di uno sguardo accogliente che, attraverso l'affetto, gli conferisca un riconoscimento del proprio valore: ha bisogno in particolare dello sguardo di una madre, o di chi svolge le funzioni materne.
Per confermarlo, possiamo citare il celebre esperimento condotto dall'imperatore Federico Il. Federico pensava che ogni uomo fosse capace naturalmente di parlare un linguaggio comune; ma riteneva che ogni uomo parlasse la propria lingua particolare imparando quella delle figure parentali della prima infanzia. Per riuscire a scoprire la lingua naturale degli uomini, Federico affidò dei neonati alle cure di alcune nutrici, che avevano il compito di accudirli e nutrirli, ma senza rivolgere loro nessuna parola e nessun segno di affetto; in questo modo egli sperava di verificare quale lingua avrebbero spontaneamente parlato i neonati. In realtà, l'unico risultato dell'esperimento fu che, ben presto, i neonati morirono. Di simili casi ha parlato in seguito la letteratura psicologica. Ma qual è il loro significato?

 

Spiegazione metafisica: l'amore «attiva» l'amato, che percepisce il proprio valore
È possibile rinvenire una spiegazione metafisica al dato di fatto espresso dalla metafora di Botturi facendo ricorso al principio di causalità, per il quale «tutto ciò che diviene, diviene ad opera di un altro»: è inevitabile, cioè, che l'attivazione di un ente dipenda da un'operazione di un altro. Applicando questo discorso all'uomo, si può allora dire, come faceva Fichte, che «l'uomo diventa uomo solo fra uomini; […] se ci debbono essere uomini è necessario che ci siano più uomini», cioè la relazione interpersonale è antropogena, vale a dire generatrice di uomini. Precisiamo: l'uomo è tale dal concepimento, ma l'attivazione delle sue capacità dipende dal riconoscimento altrui.
Anche san Tommaso spiega che i genitori devono fornire ai figli non solo un «grembo fisico», ma anche un «grembo spirituale», ossia un ambiente affettivo, psicologico e spirituale idoneo. L'amore ha, cioè, una funzione che (l'espressione è di G. Chalmeta), potremmo chiamare di «procreazione spirituale». Come mostra chiaramente l'esperimento di Federico Il, fin dalla più tenera infanzia l'uomo ha bisogno di quella confermazione nell'essere che viene veicolata nell'affetto altrui; l'uomo ha bisogno di sentirsi «giustificato di esistere» (l'espressione è di Sartre), ha bisogno dell'affetto altrui ancora più che del nutrimento. Il piccolo d'uomo muore se non viene amato; poi, quando cresce, l'amore altrui non è più necessario per mantenerlo in vita, ma, se l'amore viene mancare, un bambino fatica ad attivare le sue capacità (come si vede nei bambini di strada), o regredisce psicologicamente (lo si è visto in quei bambini che si erano persi nella giungla e, ritrovati dopo anni, risultavano psicologicamente più indietro di prima, sebbene fossero anagraficamente cresciuti); e anche per un adulto l'affetto-riconoscimento altrui resta cruciale, pena patire diversi problemi della personalità. Infine, man mano che cresce, l'uomo può fare a meno dell'affetto altrui e alimentarsi di quello divino.
Ora, come dice Aristotele, l'uomo desidera essere amato perché desidera essere onorato, in quanto essere onorato significa ricevere il riconoscimento che lui è prezioso. Amare quindi equivale ad onorare, cioè significa affermare che l'amato è un bene, che l'amato ha un suo pregio ed un suo valore. A questo proposito il filosofo Robert Spaemann spiega il significato di quelle targhette, poste su alcune automobili, con la scritta «non correre, pensa a tua moglie»: l'amore dell'altro fa sì che noi non possiamo più ignorare il nostro valore e disinteressarci di noi stessi; l'amore dell'altro ci fa ridestare al nostro valore. In conclusione, quindi, per mezzo dell'amore (come osserva T. Melendo Granados) non solo l'amante si desta al valore dell'amato, ma anche l'amato stesso percepisce il proprio valore.

 

L'amore umano come prosecuzione dell'atto creativo-conservativo di Dio
Di più, Tommaso dice che l'amore ha una funzione «conservativa». Ora, la conservatio è l'atto mediante cui Dio fa perdurare l'essere delle creature, è la continuazione dell'atto creativo con cui Dio dà loro l'essere. Infatti le creature, se non venissero conservate da Dio nell'essere, non potrebbero sussistere nemmeno un istante, e perciò ricadrebbero nel nulla. E come la creazione è un atto di amore divino, così anche la conservazione, che la prosegue, è egualmente espressione del suo amore. Anzi, l'amore di Dio è talmente grande che Egli ci sostiene nell'essere anche quando ci rivolgiamo contro di lui, ci tiene lo stesso sul palmo della sua mano, senza farci sprofondare nell'abisso del nulla.
Ma, allora, se la creazione e la conservazione sono operazioni amorose di Dio, possiamo dire che, rispetto ad esse, l'amore umano è una «pro-creazione» ed una partecipazione alla conservatio esplicate da Dio; tali attività umane, consapevolmente o meno, riproducono l'opera del Modello divino. In altri termini, Dio crea e conserva; l'uomo «pro-crea» l'altro uomo (sia in senso biologico, sia in senso psicologico-spirituale), lo conserva nell'essere, tramite l'amore che è una sorta di «confermazione nell'essere». Amando qualcuno, l'uomo si rende quindi prosecutore dell'opera iniziata da Dio: l'amore è una riproduzione e una specie di ripetizione dell'amore di Dio, che è creativo e conservativo in senso proprio. Di più, è una «prosecuzione, in un certo senso, persino un compimento di ciò che ha avuto inizio con la creazione» (J. Pieper). Infatti, per mezzo dell'amore l'amato si desta al proprio valore, matura la propria identità, si attiva, agisce. Inoltre, l'amore desidera il bene dell'amato e opera per promuoverne il perfezionamento; ora, come dice Agostino, «nulla est maior provocatio ad amandum quam praevenire amando» (niente sospinge ad amare più di quanto non lo faccia l'essere amati), cioè essere amati induce ad amare, dunque l'amato viene sospinto ad amare a sua volta e perciò a perfezionarsi; si crea cioè un circolo virtuoso.

 

L'uomo come essere sociale
Tutto questo discorso ci porta a concludere che il soggetto umano non è solipsistico (ossia autoconsistente ed autosufficiente). L'uomo è fin dai suoi primi istanti di vita in una situazione intersoggettiva, pena il suo deperimento e la sua estinzione: questo significa che l'uomo (come già aveva in buona parte compreso Aristotele) è un essere sociale; e questo avviene in un quadruplice senso:
1. in senso materiale ed economico: gli altri uomini sono necessari per il suo sostentamento;
2. in senso psicologico: senza gli altri uomini l'uomo non può maturare la propria identità psicologica;
3. in senso etico: senza gli altri non riesce ad intraprendere il cammino delle virtù: infatti gli altri a) ci educano e ci insegnano i principi del bene e del male; b) sono per noi un modello di virtù; c) ci sollecitano, ci spronano a compiere il bene; d) condividono con noi le attività virtuose e ciò le favorisce.
4. in senso ontologico (cioè per il loro modo d'essere): «anche quando gli uomini non hanno bisogno di aiuto reciproco, desiderano nondimeno […] vivere insieme» (Aristotele).

RICORDA
«L'amore è per eccellenza ciò che fa essere».
(Maurice Blondel, Exigences philosophiques du Christianisme, PUF, 1950, p. 41).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Francesco Botturi, Formazione della coscienza morale: un problema di libertà, in Glan Luigi Brena – Roberto Presilla [a cura di], Per una libertà responsabile, Edizioni Messaggero, 2000, pp. 73-95.
Idem, Il bene della relazione e i beni della persona, in Livio Melina – Juan Josè Perez-Soba (a cura di), Il bene e la persona nell'agire, Lateran University Press, 2002.
Tomas Melendo Granados, Otto lezioni sull'amore umano, Ares, 1998, specialmente, pp. 11-16.
Carmelo Vigna, Il desiderio e il suo altro, in AA.VV., L'enigma del desiderio, San Paolo, 1999, pp. 47-80.
Tommaso d'Aquino, Somma teologica, I-II, q. 26 e II-II, q. 10, a. 12.
Gabriel Chalmeta, Etica applicata. L'ordine ideale della vita umana, Le Monnier, 1997, pp. 142-143.

 

IL TIMONE – N.76 – ANNO X – Sett/Ott. 2008 – pag. 30-31
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