Quando si inventò il «nemico oggettivo»
Prendiamo ad esempio l'uso, assolutamente antigiuridico, di allargare arbitrariamente la responsabilità penale anche ai membri della famiglia dei «nemici del popolo»: questa idea, che Stalin userà su vasta scala, è presente sin dall'inizio del regime sovietico, dai tempi della guerra civile. Si cominciò con il fenomeno degli «ostaggi» che venivano presi tra i membri delle famiglie di specialisti del vecchio mondo (militari, tecnici, ecc.), come strumento di pressione per cercare di ottenere i loro servigio Accanto a questa funzione puramente ricattatoria appare poi molto presto anche la figura dell'ostaggio preso a caso, o della persona perseguita semplicemente in base all'idea che il nemico va definito non per quello che fa, ma per a quello che è (nobile, prete, ecc.), o che potrebbe fare a causa della sua origine sociale. È in questo senso che durante la guerra civile viene inventata una categoria assolutamente nuova, quella dei lisency, coloro che vengono «privati dei diritti civili»; di questa categoria fanno parte diversi nemici e, si precisa, naturalmente «tutti i loro familiari».
Durante il Grande Terrore, fra le tante tragedie di quegli anni, ci sarà quella delle donne che finivano in lager per la sola colpa di essere sposate con un «traditore della patria»; ma prima di arrivare a questa pratica e al culmine del terrore staliniano si dovette compiere un altro passo decisivo, e fu Lenin a compierlo.
Con una formulazione puntigliosamente rifinita in una lettera del 17 maggio 1922 al Commissario del popolo per la giustizia Dmitrij Kurskij, proprio Lenin propose di inserire nel codice penale sovietico un articolo che prevedeva pene pesantissime per chi «aiuta oggettivamente o può aiutare» la borghesia mondiale. A questo punto, era concettualmente e giuridicamente pronta l'idea di «nemico oggettivo»: colui che è nemico del popolo non negli atti, ma per la sola possibilità di poter essere considerato tale; questo concetto sarebbe andato poi ampliandosi fino a poter comprendere tutto il popolo, così che, per la prima volta nella storia, un popolo divenne nemico di se stesso.
In questa idea del «nemico oggettivo», che caratterizza tutto il sistema comunista, c'è già la formulazione completa del terrore staliniano con i suoi stermini di massa; è una concezione del diritto nella quale è già contenuto in nuce l'intero sistema repressivo e concentrazionario. In fondo, rispetto alla linea leninista, lo stalinismo non sarà altro che «una pura, immensa prassi esecutiva», come dice Kaminski nel suo libro sui lager. E il principio cardine del sistema ideologico leniniano era stato affermato esplicitamente: c'è un'idea che conta più della realtà dell'uomo concreto. Questo principio cardine, che si manifesta nella dedizione fanatica all'idea (all'ideologia), aveva dettato ogni azione di Lenin sin dall'inizio, e avrebbe informato totalmente anche la politica di Stalin. All'origine di tutto c'è il programma di lotta per realizzare l'idea di un mondo perfetto, e contestualmente a questa c'è la convinzione che per realizzarlo è giustificato l'uso di qualsiasi mezzo, compreso l'inganno e la violenza.
Grigorij Pomeranc, un intellettuale russo veterano dei lager, ricordava recentemente che con la Rivoluzione si era imposta la falsa concezione che un'idea giusta ammetta l'uso di qualsiasi forma di violenza in nome della felicità futura. Ed effettivamente, per amore di quest'idea, in URSS si è arrivati a giustificare ogni forma di violenza, sino alla più sfrenata. Su questa scia in seguito sono comparsi i sadici, quelli cui l'uso della violenza dava anche piacere.
A Lenin l'uso della violenza non dava piacere, lui era un «asceta dell'idea» e all'inizio era semplicemente convinto che la violenza fosse necessaria per la felicità futura. Lui vedeva la violenza senza limiti semplicemente come uno strumento per distruggere tutti gli ostacoli che impedivano all'umanità di arrivare alla felicità universale. Ma poi era iniziata l'ebbrezza, era venuto alla ribalta, per così dire, l'«artista» della violenza. Stai in probabilmente era anche un sadico, cui davano piacere le forme più raffinate per annientare le persone; ma questo è inevitabile: quando si arriva a pensare che una certa idea dia la facoltà di violare ogni legge morale, e che si possa dividere l'umanità in veri uomini e nonuomini da schiacciare come scarafaggi, è gioco forza che vengano alla ribalta figure come Hitler o Stalin. Tuttavia l'idea degli scarafaggi, dei non-uomini (i lisency, appunto) da espellere dalla storia, come si è detto, l'aveva introdotta Lenin all'inizio. Il suo feroce moralismo laico lo fa sentire in diritto di giudicare e di colpire.
Sempre Pomeranc ha descritto con precisione il momento impalpabile in cui il pathos legittimo della ricerca del bene diventa demoniaco: «Il diavolo incomincia dalla bava alla bocca dell'angelo che scende in battaglia per una causa giusta e santa. Di lì si arriva al fuoco della Geenna e alla Kolyma». Qualsiasi idea, quando si cerca di applicarla senza alcuna limitazione, senza il riferimento a un valore superiore e senza tenere conto della globalità dell'uomo, finisce inevitabilmente per portare a questi risultati. Si può presupporre che alcuni despoti fossero dei paranoici e si può ritenere che anche Stalin lo fosse, specialmente negli ultimi anni. Di sicuro, però, in lui non è incominciato tutto dalla pazzia, ma dalla perversione di un desiderio, dalla volontà ormai demoniaca di eliminare chiunque fosse di ostacolo alla realizzazione dell'Idea; esattamente come Lenin.
Il terrorismo in Russia all'inizio del XX secolo
Il successo folgorante del colpo di mano bolscevico, d'altra parte, non si spiega soltanto con le brillanti doti strategiche di Lenin, né con la sua ferrea volontà, ma è stato piuttosto l'esito di un'evoluzione culturale. Dovrebbe farci riflettere in questo senso la vicenda del terrorismo russo dell'inizio del XX secolo che, nato attorno al 1870, nel 1900 aveva subito un'evoluzione in senso quantitativo e qualitativo, passando dal centinaio di vittime del trentennio 1870-1899, alle 11.000 dei diciassette anni successivi (1900-1917). La cosa più sorprendente è che questa deriva nichilista, con i kamikaze, le carrozze-bomba, le stragi, la pulsione autodistruttiva si era guadagnata le simpatie e l'appoggio della società civile, tormentata, evidentemente, da un intollerabile senso di colpa. Tutto questo, fra l'altro, ha tanti punti di contatto con l'attuale terrorismo fondamentalista, e anche con le giustificazioni che gli andavano trovando, allora come oggi, le sue stesse vittime; fu proprio quel terrorismo che preparò il successivo scoppio rivoluzionario.
La mentalità generale russa dell'epoca aveva rinnegato i valori tradizionali assieme al vecchio regime, perché era ormai incapace di distinguere il valore eterno dalle forme politiche obsolete, e questo a causa dell'ideologia radicale che da alcuni decenni era andata penetrando nel tessuto civile fino a contagiare tutti gli ambienti. Questa cultura devastante aveva svuotato di qualsiasi contenuto positivo la società russa, preparando in questo modo il terreno ideale per la vittoria del leninismo.
La prima vincitrice dell'Ottobre fu dunque questa ideologia demolitrice dell'intelligencija; prima dell'assalto al Palazzo d'Inverno aveva avuto luogo un'altra «rivoluzione a decorso lento» costruita nel tempo dalla mentalità e dalla cultura radicali.
Solzenicyn la chiama «vittoria del Campo», dove il «Campo» di cui parla è – come per il campo magnetico – la sfera d'azione di una forza, in questo caso l'ideologia liberal-radicale.
È per questo motivo che la rivoluzione d'Ottobre continua a riguardarci, e a costituire una pietra di paragone che va ben al di là della sola Russia e del XX secolo.
Ricorda
«Usando le vie indirette di cui dispone la statistica, Il professor Kurganov ha calcolato che tra il 1917 e il 1959, solamente a seguito della guerra condotta dal potere sovietico contro il proprio popolo, cioè a seguito dello sterminio di questo popolo con la fame, la micidiale deportazione dei contadini, le prigioni, i lager e semplicemente con le fucilazioni, solo a seguito di tutto questo e comprese le vittime della guerra civile, noi abbiamo perduto 66 milioni di persone. È una cifra difficile da Immaginare. Non si riesce a crederci». (Aleksandr Solienicyn, Dialogo con il futuro. Discorsi e interviste, La Casa di Matriona, 1976, p. 87).
Bibliografia
Aleksandr I. SoIiet1lcyn, Razmysolenija nad fevral'skoi revoljuciej (Riflessioni sulla rivoluzione di febbraio), «Rossijskaja gazeta», Mosca 2007.
F. Rossi, Mistici della morte: nasce il terrorismo moderno, in La Nuova Europa, n. 5, 2007. Andrzej J. Kaminsid (1921-1985), I campi di concentramento dal 1896 a oggi. Storia, funzioni, tipologia, Bollati Boringhieri, Torino 1998.
IL TIMONE – N. 67 – ANNO IX – Novembre 2007 pag. 22-24