Dietro ogni bambino-non nato c’è una donna ferita a morte dal male commesso. Ma anche per lei c’è una parola di speranza. Come raccontano le esperienze di due “pro life in prima linea”: Giuseppe Garrone e Cinzia Baccaglini.
Secondo l’Elliot institute for social sciences research il 90% delle donne che hanno abortito soffre di danni psichici nella stima di sé; il 50% inizia o aumenta il consumo di bevande alcoliche e/o quello di droga; il 60% è soggetto a idee di suicidio; il 28% ammette di aver persino provato fisicamente a suicidarsi; il 20% soffre gravemente di sintomi del tipo stress post-traumatico; il 50% soffre dello stesso in modo meno grave; il 52% soffre di risentimento e persino di odio verso quelle persone che le hanno spinte a compiere l’aborto.
L’aborto, insieme alla fecondazione artificiale, sono le uniche azioni che uccidono più del 100%.
Nonostante questa sofferenza sia spesso senza voce, cioè oscurata dai media che tendono a minimizzare la drammatica portata dell’aborto, esistono percorsi per superarla.
Un primo percorso è quello offerto da Giuseppe Garrone, responsabile del numero verde “SOS vita” (800813000).
Secondo il professor Garrone con l’aborto muoiono due persone: il bimbo e la mamma; le donne, infatti, non superano mai completamente questo trauma, ma possono ritrovare la gioia di vivere e un nuovo significato per la propria esistenza attraverso un percorso di ricupero spirituale e la confessione sacramentale nei modi richiesti dalla Chiesa. Inoltre, lavorando a favore della vita, ridanno senso anche alla vita del bambino. Giuseppe Garrone ricorda di aver fornito aiuto ad una donna che si era rivolta a lui all’età di 87 anni, per un aborto compiuto a 18.
Il percorso di accompagnamento personale e spirituale proposto da “SOS vita” si articola in tre momenti.
1)
In una prima fase, la donna che ha abortito è accompagnata a riconoscere che il suo bambino vive tra le braccia del Padre, l’ha perdonata e desidera la sua felicità. In questa fase queste donne sono invitate a dare un nome al proprio figlio. Il dottor Garrone riferisce come tutti i nomi assegnati in questa fase siano sempre nomi bellissimi, con una prevalenza per Emanuele ed Emmanuele; in particolare ricorda una donna che gli ha confidato «Io non sono credente, ma ho chiamato il mio bambino Emmanuele = Dio con noi, perché mi prenda per mano e mi porti a Dio».
2)
La seconda fase conduce all’incontro con la misericordia divina, con un Padre che ha mandato suo figlio a morire per noi, in espiazione dei nostri peccati. Il lavoro di questa fase si basa sulla parabola “del figliol prodigo” (Lc 15,11-24) o il brano evangelico “dei gigli del campo” (Mt 6,25-34); secondo l’esperienza del dottor Garrone, in genere quasi tutte le donne accettano l’impostazione spirituale di questa fase. Ecco una testimonianza di una donna che ha attraversato questa fase: «Quando mi sento giù, invoco il mio bambino, e sento la sua manina nella mia».
3)
Dopo aver sperimentato il perdono del proprio bambino ed il perdono di Dio, il passo successivo consiste nel perdono di sé. Si tratta del passo più difficile da compiere, poiché – spiega Giuseppe Garrone – spesso la nostra arroganza è l’ostacolo più difficile per una vera riconciliazione.
Giuseppe Garrone, che si è ispirato per questa attività al Progetto Rachele attivo negli Stati Uniti (cfr. Aborto, Il “dopo” taciuto, in Il Timone, n. 52, aprile 2006, pp. 16-17), sottolinea come sia fondamentale la disponibilità della persona a percorrere questo cammino di resurrezione. Un secondo percorso di sostegno alle donne che hanno abortito è offerto dalla dottoressa Cinzia Baccaglini, psicologa e psicoterapeuta familiare, presidente del Movimento per la Vita di Ravenna (telefono 054435075).
L’aborto volontario è fortemente connotato dalla solitudine della donna e dall’assenza del partner, fisica ma soprattutto psicologica. La donna si trova ad affrontare da sola un evento che non ha ripercussioni solo sul proprio stato fisico ma soprattutto su tutta la sua vita psichica; infatti l’aborto rimette in gioco dinamiche collegate all’intero sviluppo psicologico (riguardanti la propria femminilità, la sessualità, il rapporto futuro con il partner, l’eventualità o meno di avere altri figli, ecc…) e pone la donna di fronte ai problemi della perdita e del lutto. Anche secondo la dottoressa Baccaglini il trauma abortivo è così forte per cui ogni terapia sarà essenzialmente riparativa, e potrà esserlo solo in parte.
Il lavoro terapeutico con le persone coinvolte in un aborto è duro, molto duro. Esse devono superare la negazione di un fatto culturalmente accettato, la rabbia per il fatto di dover affrontare il problema, il mercanteggiamento con la propria coscienza per tentare di liberarsene, la depressione, il senso di colpa e di vergogna, il perdono, la riconciliazione. Secondo la dottoressa Baccaglini, arrivare alle due ultime tappe senza aiuto esterno è impossibile; ma, se le donne che hanno abortito non trovano un sostegno che permetta loro di superare la depressione e procedere verso le tappe successive, il rischio in agguato è quello del suicidio o di condotte suicidarie (alcol, droga, sesso teso a sostituire il figlio abortito, ecc.). L’aborto è un dramma terribile, un’offesa a Dio creatore, a Gesù appena concepito, immagine e somiglianza di tutti i bimbi concepiti, tanto che i bambini uccisi con questa pratica sono stati chiamati martiri; è ben più grave dell’omicidio che, a differenza dell’aborto, non comporta automaticamente la scomunica.
Eppure, anche in questo caso, sono possibili la riconciliazione, il perdono e la riparazione, anche se non a buon mercato. Un accompagnamento serio, spirituale e psicologico, può fornire quell’aiuto che è necessario per incontrare la misericordia e la Vita.
Ricorda
«Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all’aborto. La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che in molti casi s’è trattato d’una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel vostro animo non s’è ancora rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua verità. Se ancora non l’avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. A questo stesso Padre ed alla sua misericordia voi potete affidare con speranza il vostro bambino. Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita. Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed esercitato con l’accoglienza e l’attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di un nuovo modo di guardare alla vita dell'uomo».
(Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 99).
Bibliografia
Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, 25 marzo 1995.
Giuseppe Garrone, Ma questo è un figlio: testimonianze di donne vittime dell'aborto, Gribaudi, Milano 1999.
Giuseppe Garrone, Oltre la morte… la vita. La vita di resurrezione dall'aborto, Gribaudi, Milano 2006.
Francesco Agnoli, Marco Lucia, Chiesa sesso morale, Sugarco, Milano 2007.
Dossier: Fatti di vita
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 38-39