Le tre Persone divine vivono nella gloria. Non solo la gloria che scaturisce dalla natura trinitaria, ma anche quella riflessa dalle creature. Scrive l’apostolo Giovanni nell’Apocalisse: «Ogni volta che quei viventi rendono gloria, onore e ringraziamento a Colui che siede sul trono, e che vive nei secoli dei secoli, i ventiquattro vegliardi si prostrano dinanzi a Colui che siede sul trono per adorare Colui che vive nei secoli dei secoli; lanciano le loro coro-ne dinanzi al trono dicendo: “Tu sei degno, Signore nostro e nostro Dio, di ricevere la gloria, l’onore e la potenza, perché sei tu che hai creato l’universo, ed è per tuo volere che l’universo, che non esisteva, fu creato”» (Ap 4,9-11).
A noi umani non è facile comprendere correttamente il termine “gloria”, perché sulla Terra questa parola s’intreccia con la superbia, con la brama di potere, con la stessa “vanagloria”. La gloria terrena è qualcosa di vuoto, un’illusione; di essa l’antico Qoelet direbbe: «Tutto è vanità» (Qo 1,2). Ma in Cielo questa logica è completamente capovolta dall’ineffabile amore di Dio che pervade tutto ed irradia ogni creatura. Dio è certamente il Kyrios, il Signore assoluto di tutto, ma la sua signoria è una signoria d’amore: Egli regna amando ed il suo regno è l’amore stesso in cui sono immersi i viventi, la sua luce di grazia che penetra sottilmente ogni essere conferendogli la somiglianza celeste, quella trasparenza e limpidezza che orienta ogni moto dello spirito unicamente al bene ed al puro servizio. È sì una sottomissione, ma una sottomissione angelica, in cui il riconoscimento di Dio come l’unico Signore è gioia piena, intima comprensione del senso di tutto alla luce della giustizia divina, che è pienamente compartecipata, consostanziale al proprio sentire. La gloria di Dio è per noi paradiso. Se la s’intuisse un solo istante, milioni di comportamenti abituali sarebbero stravolti; l’intera vita sbalzerebbe verso l’alto, e la nostra esistenza terrena verrebbe vissuta in modo totalmente diverso, perché diverrebbe irresistibile il desiderio di assomigliare a tutto questo, di attuare già quaggiù, nella misura del possibile, questa signoria celeste, che i vangeli ci hanno annunciato come in mezzo a noi, col nome di «Regno di Dio» (Lc 17,21).
Cosa intende dunque il Simbolo del Credo con glorificare? Che significa rendere gloria? Se Dio è già nella gloria, come possono le creature, nella loro povertà, dare gloria a Dio? Significa rendere a Dio ciò che è di Dio, restituirgli quella somiglianza che ci ha donato. E c’è un solo modo per restituirla: viverla. Il mondo rende continuamente gloria ai suoi idoli, rende gloria al suo Cesare che impera ancora oggi. Ma Gesù, col noto esempio della moneta, ci indica che, pur rispettando i compiti che il mondo ci assegna, dobbiamo nella nostra vita voltarci verso Dio e rendere gloria solo a lui (Mt 22,21); perché noi assomigliamo a ciò verso cui rivolgiamo la gloria. Ecco perché ci è assai conveniente rendere gloria a Dio. Quella domanda che Gesù rivolge al popolo, «Di chi è questa immagine?», non viene fatta, in realtà, indicando la moneta del tributo, ma la nostra anima. È puntando il dito alla nostra anima che Gesù ci chiede: «Di chi è questa immagine?». Di chi portiamo l’impronta? Di chi siamo «immagine e somiglianza» (Gn 1,26)? Dobbiamo quindi restituire a Dio ciò che è di Dio. Tutto nel creato rende gloria a Dio. Anche un fiore che sboccia. Anche una stella che brilla rende gloria a Dio.
E l’uomo? Come può rendere gloria a Dio? Cosa ha da dare a Dio se non ciò che da Dio riceve? L’uomo rende gloria a Dio quando gli restituisce la sua stessa luce. In fondo è come se tutti custodissimo dentro uno specchio. Spesso questo specchio è coperto di polvere, è sporco, non riflette alcuna luce, tanto che a volte non lo vediamo nemmeno. Ma se viene restituito alla sua funzione, se viene lucidato e ripulito, se viene di nuovo “orientato verso il sole”, verso Dio, ecco che anche noi rendiamo gloria a Dio. Restituendogli la sua luce. Diventando altri soli. Diventando anche noi stelle che brillano. E portando così la sua immagine. Rendendo gloria siamo in realtà glorificati noi. Allora la moneta della nostra vita è restituita a lui. Ed anche le nostre corone sono lanciate ai suoi piedi. Perché se è amando che si regna, regnando si dona.
IL TIMONE – N.64 – ANNO IX – Giugno 2007 pag. 61