15.12.2024

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La seconda via
31 Gennaio 2014

La seconda via

Chiunque, con la ragione, senza ricorrere alla fede, può sapere che Dio esiste. Ecco la seconda via, la dimostrazione che riflette sulle cause efficienti esistenti nel mondo e risale a Dio come Prima Causa Incausata del mondo.
«Beato te che hai la fede», «la fede è un dono di Dio, ammesso che Egli esista, e io non ho ricevuto questo dono».
Non è infrequente sentire queste e simili affermazioni dei non credenti per motivare la loro posizione.
In realtà, è vero che la fede è un dono di Dio, tuttavia bisogna replicare loro in due modi.
1) L’uomo deve cooperare con Dio per favorire questo dono, cioè, qualora non sia credente, deve mettersi alla ricerca di Dio, deve predisporsi per ricevere questo dono, un po’ come fa chi non è sicuro che esista un tesoro in qualche luogo, ma impegna le sue risorse e le sue energie per scoprirlo. Il rapporto tra Dio e l’uomo è una relazione tra persone, che si conoscono e che si amano. E, allora, come in un rapporto interpersonale bisogna cercare di conoscersi per potersi amare, così il non credente deve sforzarsi di conoscere chi sia Dio, nell’ipotesi che Egli esista: a quel punto è allora predisposto per il dono divino della fede.
2) Se è vero che ci sono aspetti, attributi del Dio cristiano che sono accessibili solo con la fede (come il fatto che Dio sia Trinità, che si sia incarnato, ecc.), bisogna altresì ricordare che (come dice Tommaso d’Aquino) l’esistenza di Dio può essere creduta con la fede, ma anche saputa e conosciuta mediante la sola ragione, grazie alle prove razionali dell’esistenza di Dio elaborate dai filosofi. Così, ci sono uomini che credono che Dio esista, ma anche uomini che lo sanno, perché mediante la ragione qualsiasi uomo può conseguire la conoscenza più importante per la sua esistenza, appunto quella dell’esistenza di Dio, da cui dipende il senso della vita, dell’amore, della morte, della malattia, ecc.
Il Timone ha già dedicato alla cosiddetta quinta via per dimostrare l’esistenza di Dio un dossier (cfr. n. 16, pp. 35-46) ed un Quaderno (cfr. G. Samek Lodovici, L’esistenza di Dio, Edizioni Art, 2004). Il presente dossier prende in esame un’altra delle prove classiche per dimostrare con la ragione l’esistenza di Dio, ispirandosi alla versione di Tommaso (ma non solo a lui, come si vedrà): la cosiddetta seconda via.
Oltre all’articolazione della prova, il dossier contiene una confutazione di alcune delle critiche che essa ha ricevuto, un’intervista sui rapporti tra filosofia, scienza e fede, un sostegno alla prova da parte della scienza e una critica al fideismo (che ritiene che la ragione sia nociva alla fede).
Va precisato che questa prova richiederebbe almeno un intero volume e che qui è inevitabile ripercorrerla in modo divulgativo, tralasciando alcuni aspetti. Questo articolo, insomma, non è rivolto agli specialisti.

Un fatto: nel mondo esistono delle serie di cause efficienti
La seconda via parte dalla constatazione di un fatto: nel mondo esistono delle cause efficienti concatenate e subordinate tra loro, che cioè cooperano alla produzione di una cosa. Ad es., nella costruzione di una casa entrano in gioco diverse cause, che compongono una serie di cause tra loro subordinate: l’acquirente chiede all’architetto di progettarla, l’architetto chiede all’ingegnere di costruirla, l’ingegnere dà indicazioni al capocantiere, che dà indicazioni al muratore, il quale aggiunge un mattone dopo l’altro e costruisce materialmente la casa.
Nel mondo, cioè, ci sono delle serie di cause, tra loro subordinate, che concorrono alla realizzazione di un qualche effetto, cioè delle cause che, in connessione tra loro, determinano il cominciare ad essere di una cosa, il suo inizio: una casa, un animale, io stesso, non c’eravamo, non siamo sempre stati ed ora ci siamo.

Una cosa non può essere causa di se stessa
In tutti gli esempi che abbiamo fatto, le cose cominciano ad esistere ad opera di cause che sono diverse da esse.
Ma ciò che comincia ad esistere deve esistere sempre ad opera di altri, o può esistere qualcosa che sia causa di se stessa? Niente può essere causa di se stesso, niente può cominciare da sé, poiché per poterlo fare dovrebbe già esistere, e ciò comporterebbe un’impossibile contraddizione. Infatti, se una cosa potesse essere causa del proprio cominciare ad esistere, essa dovrebbe esistere e non esistere nello stesso momento:
1) dovrebbe esistere per poter causare il proprio cominciare ad esistere, in quanto solo ciò che esiste può far cominciare ad esistere qualcosa d’altro;
2) dovrebbe non esistere per poter cominciare ad esistere, in quanto ciò che già esiste non ha bisogno di cominciare ad esistere, visto che esiste già.
Dunque, ciò che comincia ad esistere deve ricevere il proprio essere da un altro (formuliamo così, con una qualche semplificazione, il principio di causalità, rimandando all’articolo di G. M. Carbone in questo dossier per le precisazioni su di esso), che è la sua causa efficiente.

Se tutte la cause fossero causate si retrocederebbe all’infinito
Ora questa causa efficiente può essere:
1) una causa che è stata causata da una precedente causa: una causa, che possiamo chiamare x, che è stata causata da un’altra causa, che possiamo chiamare y;
oppure
2) una causa incausata, che cioè non ha mai cominciato ad essere ed è da sempre.
Nel primo caso, la causa y di questa causa causata x, può essere, di nuovo:
1) causata;
oppure
2) incausata.
Chiediamoci: le cose che esistono possono essere state causate solo da cause causate, oppure deve esistere una causa diversa da tutte le altre, cioè una causa incausata?
Noi vediamo cose, come edifici, uomini, animali, piante, ecc. che non esistono da sempre, bensì sono state causate da qualcosa, da delle cause efficienti che le hanno poste. E tutte le cause di queste cose (cioè altri uomini, altri animali e altre piante) a loro volta non esistevano da sempre, bensì hanno avuto delle cause efficienti previe (ulteriori e previ uomini, animali e piante), che non esistevano da sempre, bensì sono state a loro volta causate e così via. Tutte queste cause sono delle cause causate, cioè causano il cominciare ad esistere di qualcosa, e sono, a loro volta, causate da altre cause.
Tuttavia, nella ricerca della causa efficiente che spiega l’esistere delle altre cause efficienti non è possibile trovare sempre delle cause che siano state causate da cause precedenti, perché in tal caso si retrocederebbe all’infinito e ciò è impossibile.

Il regresso all’infinito è assurdo

Infatti, per usare un’immagine, l’esistenza di una serie infinita di cause causate è assurda quanto l’esistenza di una lampada tenuta sollevata in aria da una catena composta di infiniti anelli: una lampada può stare sollevata se gli anelli che la sorreggono non sono infiniti, bensì sono in numero finito ed all’inizio c’è qualcosa che non è un anello, bensì è il soffitto.
Fuor di metafora, come dice S. Bonaventura (su questo punto ci discostiamo, in qualche misura, dal pensiero di S. Tommaso), se le cose che esistono e che noi vediamo ora fossero state causate da infinite cause efficienti precedenti, sarebbe dovuto trascorrere un tempo infinito prima dell’esistenza delle cose che noi adesso vediamo. Infatti, ogni causa avrebbe dovuto impiegare una certa quantità di tempo (piccola o grande) per causare i suoi effetti e, nell’ipotesi che le cause siano state infinite, il tempo trascorso prima dell’esistenza delle cose che esistono adesso e che noi vediamo sarebbe stato infinito.
In realtà, però, non può essere trascorso un tempo infinito prima delle cose che vediamo e prima di noi, perché non può esistere un tempo infinito. Aristotele diceva qualcosa di simile per confutare uno dei paradossi di Zenone. Infatti, tralasciando il significato del concetto di infinito in matematica, che qui non ci interessa, dobbiamo notare che, in termini rigorosi, «infinito» non significa «enorme» o «gigantesco», bensì indica «ciò che non è suscettibile di alcun incremento, ciò che non è aumentabile». Perciò, una quantità di tempo può essere grandissima, enorme, ma non può essere infinita. Qualsiasi quantità di tempo che possiamo pensare non è infinita, perché è possibile pensare una quantità di tempo più grande della prima (magari incrementata anche di un solo secondo), la quale non è a sua volta infinita, perché è possibile pensare un’altra più lunga di essa. Una quantità di tempo «t» non può essere infinita, perché possiamo pensare una quantità di tempo «t + 1 secondo» che è più grande della prima e nemmeno questa quantità di tempo può essere infinita, perché possiamo pensare una nuova quantità di tempo «t + 1 secondo + 1 secondo » che è più grande, ma che non è sua volta infinita, perché possiamo pensare la quantità di tempo «t + 1 secondo + 1 secondo + 1 secondo», ecc.

Esiste da sempre una Prima Causa Incausata: Dio
Insomma, da quanto si è visto si comprende che le cose che adesso esistono non possono essere state causate da infinite cause causate, il che significa che non tutte le cause sono a loro volta causate. Perciò deve esistere una causa incausata, che è la prima causa di tutto ciò che ha poi cominciato ad esistere ed è la causa prima di tutte le cause causate.
Se tale causa non è causata, vuol dire che non ha avuto un inizio, non ha cominciato ad essere e, dunque, esiste da sempre.
Come si vede, in tutti i precedenti ragionamenti non abbiamo mai fatto ricorso alla fede, non abbiamo mai citato né la Bibbia, né documenti del Magistero della Chiesa. Ebbene, sempre con la sola ragione possiamo adesso concludere: esiste una Prima Causa Incausata, che esiste da sempre ed è causa dell’essere di tutte le cause e dunque di ogni cosa, ed essa è ciò che comunemente chiamiamo Dio.

DIO E LA RAGIONE
«L’intelletto umano che tende naturalmente alla verità come al suo bene proprio, è spinto presto o tardi a porsi il problema di Dio, a cercare quindi la dimostrazione della sua esistenza: perchè il significato e il valore ultimo di ogni verità viene da Dio ed ha in Dio la verità suprema in cui riposare.
L’esistenza di Dio è perciò il problema dei problemi: esso costituisce la conclusione di tutta la filosofia e della conoscenza umana […] perchè da esso dipende l’orientamento definito che l’uomo deve dare alla sua condotta e alla vita intera».
(Cornelio Fabrio, L’uomo e il rischio di Dio, Studium, 1967, p. 135).

BIBLIOGRAFIA

Tommaso d’Aquino, Somma teologica, I, q. 2, a. 3.
Idem, Somma contro i Gentili, L. 1, cap. 13.
Per un esame divulgativo della seconda via:
Guido Sommavilla, Dio: una sfida logica, Rizzoli, Milano 1995, pp. 60-64.
Per un approfondimento filosofico:
Sofia Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, vol. II, La Scuola, 1964, pp. 89-122, specialmente pp. 105-106.
Cornelio Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Studium, 1967, pp. 135-154.
Angel Luis Gonzales, Filosofia di Dio, Le Monnier, 1988, pp. 124-126.

Dossier: A Dio con la ragione
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 36 – 38
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