I significati della libertà, il suo fine, il suo rapporto con la verità ed il bene.
«Uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini» (Don Chisciotte).
Il tema della libertà (filo conduttore del Meeting di Rimini di quest’anno) è così affascinante e complesso che potrebbe impegnare interi volumi. Nel breve spazio a disposizione mi limiterò solo a fornire alcune idee su che cos’è la libertà, sul suo rapporto con la verità e con il bene e sul suo fine-scopo. Il seguito di questo dossier fornirà delle focalizzazioni su alcuni aspetti specifici della questione.
Si può forse dire che la libertà consiste in una triplice assenza di determinazione. Cioè: io sono libero in tanto in quanto non sono predeterminato, non sono necessitato-ostacolato: 1) a fare un’azione; 2) a scegliere quale azione fare; 3) a voler scegliere di fare un’azione.
Spieghiamo questi tre livelli.
1) Libertà di esecuzione: assenza di costrizione rispetto al fare o non fare un’azione.
In un primo significato la libertà è assenza di costrizione ad agire o non agire, da parte della mia natura (o dello stato fisico in cui mi trovo) o da parte di altri. Ciò significa che sono libero se niente mi impone o mi impedisce di agire in un certo modo: sono libero di camminare se la mia natura non mi impedisce di camminare, se la mia condizione fisica non me lo impedisce, se nessuno (un’altra persona o lo Stato) mi impone/impedisce di intraprendere delle attività, come riflettere, esprimere il mio pensiero, professare una religione, lavorare. In ambito politico, questo è il campo delle libertà civili (libertà di iniziativa, di espressione, libertà religiosa).
2) Libertà di scelta: assenza di costrizione interiore rispetto alla scelta di un’azione.
In un secondo significato, la libertà è assenza di coazione interiore, da parte della mia stessa natura, nello scegliere quale azione eseguire: la mia natura non mi impone di volere o di non volere realizzare un’azione. Questa è la libertà di scelta, la capacità di volere/non volere un’azione piuttosto che un’altra. Mentre la libertà di esecuzione è il potere di eseguire l’azione che voglio: voglio mangiare un frutto, voglio riflettere e nessuno mi impedisce di farlo; la libertà di scelta è, invece, il potere di scegliere di eseguire un’azione e non un’altra: voglio mangiare una pesca e non una mela, voglio riflettere e non cantare, e non sono costretto dalla mia natura a scegliere ciò. La libertà di scelta è il fondamento della libertà di esecuzione, la condizione previa che la rende possibile: poiché posso volere/non volere (libertà di scelta) mangiare una pesca, posso eseguire/non eseguire (libertà di esecuzione) l’azione di mangiare una pesca se nessuno me lo impedisce. La libertà di esecuzione è l’assenza di costrizione-impedimento ad agire, la libertà di scelta è l’assenza di costrizione-impedimento a voler agire.
3) Libertà di automotivazione: assenza di costrizione interiore rispetto al voler scegliere un’azione.
C’è infine un terzo significato di libertà, il suo nucleo più profondo (su cui rinvio ad un illuminante saggio di F. Botturi, in bibliografia), vale a dire la capacità di automotivazione della volontà, l’assenza di costrizione interiore nel voler scegliere, il potere di essere l’autore delle mie volizioni. È la libertà che concerne la volizione stessa: non è la libertà di scegliere quale azione eseguire (libertà di scelta), bensì il “potere di voler scegliere”, senza essere costretto a scegliere dalla propria natura. La volontà, insomma, non soltanto ha la capacità di scegliere un’azione al posto di un’altra (libertà di scelta, che i medievali chiamavano “libertà di specificazione”), ma possiede anche la capacità di disporre del proprio esercizio (che i medievali chiamavano “libertà di esercizio”) di scelta. Essa non è costretta a volere esercitare se stessa nella scelta, bensì possiede una sorta di autopossesso, cioè la capacità di voler scegliere: io scelgo di mangiare la pesca perché sono previamente in grado di voler scegliere di mangiare la pesca. Così, la mia volizione possiede e governa se stessa, è dotata di automotivazione: io sono in grado, almeno in parte, di padroneggiare le mie stesse motivazioni.
Riassumendo, la libertà come automotivazione rende possibile la libertà di scelta e la libertà di scelta rende possibile la libertà di esecuzione.
Inutile dire che in tutti questi tre significati la libertà umana non è totale, perché a tutti e tre i livelli esistono degli impedimenti.
Libertà e verità: la verità rende liberi
Giunti a questo punto possiamo cercare di comprendere qual è il rapporto tra libertà e verità. Orbene, dobbiamo rilevare che la verità
rende liberi (Gv 8, 32), per almeno due motivi:
1) Solo chi guadagna la verità attraverso l’intelligenza può scegliere con cognizione di causa e agire liberamente senza farsi condizionare o influenzare; solo chi conosce le alternative e la verità sulle alternative che gli si parano di fronte può selezionarle liberamente, altrimenti si farà manipolare dagli altri. Crederà di essere libero quando invece è manovrato da singole persone, oppure dai media, dalle lobbies, dai gruppi di pressione.
2) Solo chi conosce qual è il vero bene può essere libero, come dobbiamo subito spiegare.
Libertà e bene: la libertà non è fare ciò che si vuole
Spesso si pensa che sia libero colui che vive trasgressivamente, colui che fa tutto quello che vuole. Invece, solo la scelta del vero bene rende liberi, mentre la scelta del falso bene, cioè la scelta del male, diminuisce la libertà.
Infatti (Aristotele), la scelta del male, all’inizio è un atto libero, però diminuisce la libertà: perciò diventa, gradualmente, un atto sempre meno libero, fino a diventare, alla fine, in certi casi, un atto non più libero. Ciò dipende dal fatto che la ripetizione di atti malvagi ingenera nell’uomo dei vizi, cioè delle disposizioni, delle propensioni a compiere determinati atti malvagi, e queste disposizioni indeboliscono la nostra libertà, in quanto:
1) compiendo atti di viltà diventiamo sempre meno capaci di essere coraggiosi; agendo da avari diventiamo sempre meno capaci di essere generosi; se ripetiamo atti di pigrizia diventiamo sempre meno capaci di essere laboriosi, ecc. Chi asseconda tutti i suoi istinti e i suoi impulsi finisce in loro balia, diventa loro schiavo (cfr. già Socrate, Platone e Aristotele).
2) la ripetizione di atti malvagi indebolisce il nostro desiderio di compiere atti buoni, affievolisce il proposito di compiere atti giusti, forti, temperanti, ecc.: un uomo lussurioso è raramente (o mai) desideroso di essere temperante, un uomo goloso è raramente (o mai) desideroso di essere parco, ecc.
3) le disposizioni viziose alterano la comprensione del bene e del male in una situazione concreta, perché la nostra sfera volitiva e affettiva viene alterata e ci condiziona nella valutazione intellettuale sul bene e sul male: è un po’ come quando uno è malato e giudica erroneamente i sapori, proprio perché le sue disposizioni fisiche sono alterate e perciò il gusto è falsato (Aristotele). Per es., chi è lussurioso fatica a percepire che la temperanza è un bene e chi è temerario fatica a percepire che la prudenza è una virtù. Così, chi compie il male non solo non riesce più o quasi a compiere il bene, ma altresì non riesce quasi più (o per niente) a cogliere la verità
sul bene e sul male e dunque (come abbiamo visto nel paragrafo precedente) la scelta del male ci impedisce di scegliere con cognizione di causa, impedendoci di cogliere la verità limita o annulla la nostra libertà. Insomma, la scelta del male è un atto libero solo all’inizio, ma gradualmente ci toglie la libertà, perché ci rende schiavi delle passioni e degli istinti, cosicché non siamo quasi più (o per nulla) in grado di compiere gli atti buoni. È un po’ come chiudersi liberamente a chiave dentro ad una stanza, buttare la chiave dalla finestra e perciò rendersi prigionieri dentro la stanza. In certi casi (non in tutti) si può usare l’immagine di Aristotele, che dice che compiere il male è un po’ come lanciare un sasso: inizialmente siamo liberi di scagliarlo o non scagliarlo, ma una volta scagliato non possiamo più riprenderlo. Alla fine, una libertà che si svincola dal bene finisce per suicidarsi (cfr. di nuovo F. Botturi, nell’articolo in questo dossier).
Si potrebbe obiettare che anche la scelta del bene, l’esercizio degli atti buoni determina delle disposizioni (le virtù) e dunque toglie la libertà di scegliere gli atti malvagi. Ma, mentre il malvagio percepisce con difficoltà il bene (o non lo percepisce più), l’uomo virtuoso ha un acuto senso del male, ha una sensibilità morale molto affinata che gli fa avvertire il male molto acutamente. Quindi, mentre il malvagio non è libero perché non conosce (o conosce poco) la verità sul bene e sul male e ciò che è male gli appare quasi (o totalmente) bene, dunque non può scegliere con cognizione di causa perché non sa (o sa poco) che il bene è bene e il male è male, viceversa il virtuoso conosce benissimo ciò che gli si para di fronte.
Inoltre, mentre l’atto malvagio insidia la libertà perché consiste in un’abdicazione della volontà agli istinti e alle passioni, viceversa la virtù, per sua natura, è precisamente il governo della ragione e della volontà su di essi, anzi consiste in un potenziamento della volontà, che riesce più facilmente a compiere il bene, mantenendo anche la capacità di compiere il male.
Il fine della libertà: l’amore di Dio
Da ultimo, possiamo chiederci perché Dio dona all’uomo la libertà? Infatti, con la libertà l’uomo può compiere atti estremamente feroci e crudeli. Non sarebbe allora meglio se l’uomo non fosse libero?
Si può rispondere se, al modo di Kierkegaard, si pensa che Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, cioè Dio chiede all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente […]: mi vuoi tu, sì o no?». Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti.
Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?», cioè l’uomo è libero al fine di poter amare Dio liberamente, perché amare per costrizione sarebbe una contraddizione in termini.
Pur dovendo limitarci a questi pochi spunti su un tema che potrebbe impegnare interi volumi, possiamo convenire con Don Chisciotte: «la libertà è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini».
Ricorda
«[…] la libertà si dà solo al “plurale”, cioè come organismo dialettico di molteplici significati: “organismo”, in quanto ogni significato richiama ed esige un altro significato e “dialettico”, in quanto il passaggio da un significato all’altro è mediato […] dall’insufficienza di ogni significato a dire l’esistenza intera della libertà».
(Francesco Botturi, L’ontologia dialettica della libertà, p. 126).
Bibliografia
Francesco Botturi, L’ontologia dialettica della libertà, in Idem (a cura di), Soggetto e libertà nella condizione postmoderna, Vita e Pensiero 2004, pp. 125-147.
Joseph Ratzinger, Libertà e verità, in La via della fede. Le ragioni dell’etica nell’epoca presente, Ares 20052, pp. 13-36.
Paolo Pagani, Tommaso: la libertà della differenza, in Carmelo Vigna (a cura di), La libertà del bene, Vita e Pensiero 1998, pp. 147-187.
Martin Rhonheimer, L’immagine dell’uomo nel liberalismo e il concetto di autonomia: al di là del dibattito tra liberali e comunitari, in Ignacio Yarza (a cura di), Immagini dell’uomo, Armando 1996, pp. 95-133.
Ariberto Acerbi, La libertà in Cornelio Fabro, EDUSC 2005.
Dossier: La libertà: dono inestimabile
IL TIMONE – N. 45 – ANNO VII – Luglio-Agosto 2005 – pag. 36-38