Verso la fine del IV secolo, l’imperatore Giuliano, avverso ai cristiani, tentò di Gerusalemme, distrutto dai romani nel 70 d.C. Ma fatti strepitosi lo impedirono.
Del tentativo, peraltro fallito dell'imperatore Giuliano ricostruire nel 363 il Tempio di Gerusalemme, parlano in epoca molto vicina ai fatti, il pagano Ammiano Marcellino, l'ultimo grande storico di lingua latina e il cristiano Ambrogio; più tardi, nel V secolo, Teodoreto, il continuatore di Eusebio (H.E. III, 20), ed altri storici cristiani.
Ambrogio ed Ammiano, che sembra aver scritto questa parte (11, I-XXV), della sua opera prima del 390, pur non dipendendo l'uno dall'altro, si confermano a vicenda: secondo lo storico pagano dei terribili globi di fuoco scaturirono in prossimità delle fondamenta (metuendi globi fIammarum prope fundamenta erumpentes) e bruciarono gli operai; secondo Ambrogio, coloro che stavano sgombrando le macerie furono bruciati da un fuoco divino (ep. 40,12: divino… igne fIagrarunt); la versione di Teodoreto è invece molto più ricca di particolari, in gran parte fantasiosi: anch'egli conosce il fuoco scaturito dalle fondamenta, che bruciò molti operai (ib. 20,5), ma non si accontenta di questo, e parla anche di terra smossa di giorno che tornava di notte, da sola, nello scavo, di venti violenti e di un grande terremoto che precedettero lo scaturire del fuoco dal terra, del crollo di un portico nel quale i lavoratori dormivano e della comparsa nel cielo di una croce luminosa e croci nere sulle vesti dei Giudei. Se i venti e il terremoto possono bene accordarsi con l'eruzione dalla terra di globi di fuoco, l'apparizione delle croci, ignota ad Ambrogio come ad Ammiano, è certamente leggenda.
Non c'è dubbio però che furono dei fenomeni catastrofici (Ammiano, ib. dice: elemento destinatius repellente) a indurre l'imperatore ad abbandonare il suo progetto, nel quale – dice ancora Ammiano – si era impegnato a fondo, coinvolgendo l'antiocheno Alipio, già vice prefetto della Britannia, e il governatore della provincia (di cui Gerusalemme faceva parte) e a cui aveva destinato un enorme finanziamento (sumptibus… immodicis). Su queste spese e su questo impegno, cui avrebbero contribuito gli Ebrei di tutta l'ecumene, insiste anche Teodoreto (111, 20,2/3). Può essere interessante domandarsi quale interesse Giuliano attribuisse ad un piano così dispendioso alla vigilia della guerra contro i Persiani che, agli inizi del 363, egli stava già preparando: Ammiano, che disapprova chiaramente il progetto, come rivela il suo accenno agli immodicis sumptibus, ritiene che esso fosse dettato dal desiderio di lasciare per secoli il suo ricordo per la grandezza delle sue opere e delle sue costruzioni (magnitudine operum); Teodoreto (ib. 20,1) ritiene invece che Giuliano volesse contestare la profezia di Gesù (Mt 24,2; Mc 13,2; Lc 19,44; 21,24) secondo la quale, del Tempio, non sarebbe rimasta pietra sui pietra.
Fra i moderni, P. Athanassiadi Fowden, che rifiuta giustamente l'opinione, avanzata da altri, che Giuliano fosse filogiudaico, ma ammette, in base al Contra Galileos, che Giuliano, pur attaccando gli Ebrei e considerandoli assolutamente inferiori ai greci e alla paideia di questi ultimi, li preferiva ai Cristiani per la fedeltà mantenuta per secoli alla loro identità culturale e religiosa, avanza l'ipotesi che il generoso progetto non fosse giustificato esclusivamente da motivazioni filosofiche, ma anche e soprattutto da speculazione politica, in vista della lotta contro i Sassanidi: il grande numero di Ebrei presenti nei territori controllati dai Persiani rende certamente plausibile questa spiegazione di un progetto che sembra in contrasto con lo sprezzante antisemitismo di questo imperatore. Ammiano, infatti, parla apertamente del taedium che egli aveva manifestato, di passaggio dalla Palestina, nei riguardi Judaeorum faetentium et tumultuantium e ne riferisce una battuta (XXII, 5, 5 O Marcomanni, o Quadi o Sarmatas, tandem alios vobis inquietiores invem).
lo credo tuttavia che alla "generosità" di Giuliano verso gli Ebrei, di cui parla la Athanassiadi, non sia del tutto estranea la sua contemporanea politica anticristiana: Ammiano, che pure era un grande ammiratore di Giuliano, ricorda un altro gesto apparentemente generoso dell'imperatore, che introdusse in palatium i vescovi dissidenti (era in atto l'aspra controversia tra cattolici e ariani) esortando tutti a lasciar perdere le discordie e a servire ciascuno senza timore la propria religione, ora che nessuno lo vietava, ed aggiunge: "Faceva questo, e con ostinazione, per non dover temere grazie all'aumento dei dissensi a causa della licenza", l'unanimità del popolo cristiano (ut dissentiones agente licentia, non timeret unanimitatem postea plebem). E Ammiano conclude ricordando l'esperienza che Giuliano aveva avuto della litigiosità dei Cristiani fra loro.
La ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, combinata con la chiusura di chiese cristiane, come era avvenuto poco prima ad Antiochia, a causa del sospetto, pare infondato, della responsabilità dei Cristiani nell'incendio del santuario di Apollo Dafneo (Amm. XXIII, 13, 1 sgg), poteva contribuire a rinfocolare nelle intenzioni di Giuliano la tensione esistente fra Cristiani ed Ebrei.
Che questo fu l'esito della iniziativa dell'imperatore lo rivela, forse, proprio il secondo passo di Ambrogio nella lettera del 388 (ep. 40,21): come è noto, alcuni monaci cristiani avevano incendiato una sinagoga nella regione di Callinico e Teodosio aveva ordinato al vescovo locale di ricostruirla a sue spese. Ambrogio protesta e dopo aver ricordato ciò che era successo a Giuliano che aveva tentato di ricostruire il Tempio di Gerusalemme ed aver accennato alla violazione delle leggi di Roma da parte di elementi giudaici, che avevano incendiato sacratarum basilicarum culmina, domanda "se Giuliano non vendicò la Chiesa perché era un prevaricatore, tu vuoi vendicare l'offesa alla sinagoga perché sei Cristiano?". Sotto Giuliano ci furono dunque attacchi giudaici a chiese cristiane, per effetto, probabilmente, del "favore" che l'imperatore aveva manifestato con il suo progetto.
Convinto nel suo esasperato filellenismo, che la paideia greca fosse l'ultimo baluardo del paganesimo, Giuliano volle aggravare con tale progetto le dissentiones tra Ebrei e Cristiani, che egli considerava nemici di quella paideia, e ridurre i Cristiani agli esponenti di una religione etnica, derivata dal giudaismo e ad esso ribelle, ma ad esso inferiore.
BIBLIOGRAFIA
P. Athanassiadi Fowden, Julian und Hellenism, Oxford 1981, pp. 163-164 (contra A. Avi Jonah, The Jews of Palestine, Oxford 1976, p. 190).
Su Giuliano, v. il Convegno Internazionale “Giuliano Imperatore: le sue idée, I suoi amici, I suoi avversari”, tenuto a Lecce nel 1988 e ora pubblicato presso l’editore Congedo, di Lecce.
Su Ammiano Marcellino, v. N. Bavigli, Ammianea, Catania 1995.
IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 28 – 29
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