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13.12.2024

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Santiago l’ammazzamori
31 Gennaio 2014

Santiago l’ammazzamori

 

 

 

Nella scultura di Compostela si raffigura un San Giacomo che ha fortemente influenzato la cultura e l’arte cristiana dell’Europa. Un’immagine di grande attualità, che ci ricorda come la fede comporti anche il martirio.
Molti ricorderanno le polemiche e il dibattito suscitato durante la scorsa primavera – in Spagna e un po’ in tutt’Europa, ma con singolare acribia qui da noi – dall’annunciata decisione dei canonici del santuario di Santiago di Compostela di spostare e ricollocare nel museo della cattedrale una statua fino a quel momento esposta in chiesa. Una deliberazione apparentemente di routine, ma subito criticata e osteggiata da molti cattolici, sia in forma individuale sia in forma organizzata, anche tramite un tamtam mediatico sulla stampa e su internet. Un’animosità a prima vista ingiustificata, o quantomeno eccessiva: in fondo, si trattava di una scultura lignea settecentesca di non grandissimo pregio artistico, raffigurante – come tante altre immagini – il patrono della Galizia. Il punto è, però, vedere come Santiago era qui raffigurato: nelle vesti, cioè, di “Matamoros”, di “Ammazzamori”, ovvero a cavallo e nell’atto di sovrastare e vincere imperiosamente, spada alla mano, un gruppo di saraceni dalla pelle scura, i «mori»appunto, gli arabi nemici della fede cristiana. Un’iconografia saldamente ancorata alla religiosità e carissima alla devozione popolare in terra iberica, che fin dal IX secolo venera in san Jacopo il campione della Chiesa e dell’identità nazionale, il paladino del vero Dio, che col suo aiuto miracoloso in battaglia diede avvio alla reconquista a Cristo di quel grande Paese proteso fra Mediterraneo e Oceano Atlantico. Un santo combattente, insomma. Qualità di militia Christi, quella di Santiago, inequivocabilmente consolidata in una lunga tradizione di immagini guerriere che travalicò del resto i confini della Spagna, ma che lo zelo “politicamente corretto” di certo clero tende oggi ad attutire, rimuovendone uno storico emblema, “per non offendere la sensibilità di altre culture”. Val la pena di rammentare che, a pochi mesi dalla polemica, la Spagna dovette piangere i quasi duecento morti degli attentati islamici di Madrid.
Ma tornando al nostro Santiago, si può ben capire lo sconcerto di tanti davanti a una simile pruderie. Perché occultare le prerogative di un santo che è per definizione una figura smisurata, epica, nella vicenda della cristianità? Tutto, nella leggenda e nella storia di san Giacomo Maggiore, uno degli apostoli di Gesù, figlio del pescatore Zebedeo e fratello maggiore di Giovanni l’Evangelista, parla la lingua della meraviglia, dell’enormità, della forza, del combattimento che da sempre vengono attribuite ai numi militari, ai condottieri semidivini, ai difensori degli uomini e della giustizia. A cominciare dall’etimo del nome, ebraico, dove la radice “gh” può significare “seguire”, ma anche “proteggere”. E come dimenticare che il Signore stesso, nel racconto evangelico, lo chiama con metafora formidabile, forse per la sua indole impetuosa, «figlio del tuono»?
Testimone diretto della Trasfigurazione sul Monte Tabor, presente anche all’agonia nel Getsemani, Giacomo Apostolo deve il suo rapporto d’elezione con la Spagna al Medioevo e alla “Legenda Aurea” redatta tra il 1252 e il 1265 da Jacobus da Voragine, una delle più importanti fonti della cultura cristiana e occidentale, un regesto di vite di santi che ebbe straordinaria diffusione nell’Età di mezzo, nell’ambito dell’ordine domenicano e sin nelle più remote contrade del continente, copiato in oltre mille codici latini, utilizzato nei sermoni domenicali, poi ripreso da moltissimi artisti, da Giotto a Simone Martini, da Masaccio a Piero della Francesca. Secondo il candido racconto di lacopo da Varazze, Giacomo dopo l’Ascensione di Gesù predicò in Giudea e Samaria e di qui raggiunse la Spagna, evangelizzandola. Tornato a Gerusalemme, verso il 42 d.C. subì la prigione, la flagellazione e infine il martirio della decapitazione per volontà di Erode Agrippa. Il testo della “Legenda” prosegue raccontando che i suoi discepoli ne caricarono allora il corpo su un’imbarcazione con la quale raggiunsero la Galizia, nel nordovest della Spagna, e gli diedero sepoltura in un bosco. Solo nell’814, all’epoca di Carlo Magno, la tomba fu ritrovata, in circostanze portentose. Quali siano state tali circostanze lo descrivono naturalmente Jacobus e nel 1969 il grande regista Luis Bunuel, miscredente ma poeta, ne “La Via Lattea”: “… Fu una stella ad indicare ai pastori il luogo dove si trovava il corpo di san Giacomo. Questa fu l’origine del nome di Compostela: Campus Stella, il luogo delle stella. Nella maggior parte dei Paesi occidentali la Via Lattea si chiama la strada di san Giacomo». Un miracolo che ricalca, chiaramente, quello della notte dei Magi. Con la Spagna in mano araba, nell’angoscia della sudditanza, gli iberici tributano a Santiago un culto fiducioso e appassionato, facendo di lui il padre degli oppressi nonché un invulnerabile combattente per la fede. In quelle prove durissime, la fiducia nella sua protezione è per i cristiani un bastione irriducibile. E Giacomo non li delude: durante la battaglia contro i mori al castello di Clavijo, nell’844, mentre gli spagnoli stanno soccombendo ai nemici soverchianti, il santo condottiero si materializza in groppa a un bianco, nobile destriero, proprio come, sui campi di battaglia, appariva Alessandro Magno alle sue falangi macedoni. Va da sé che il portento atterrisce e sbaraglia gli infedeli, cosa che si replicherà più volte. Comincia qui l’epopea di san Jacopo, il cui luogo sepolcrale diviene meta di ininterrotti pellegrinaggi fino alla data cruciale del 1075, anno in cui viene posta la prima pietra della grandiosa chiesa a lui intitolata. Da allora, l’immagine del santo ricorre – nelle chiese e nelle case – in infinite immagini che unite alla sua fama di santità gli recluteranno schiere di fedeli, eserciti di devoti in ogni dove. Giacomo Maggiore prende quindi a vivere, con santa e serena ubiquità, in una doppia iconografia. Scende da cavallo e assume le sembianze di pellegrino, di homo viator compagno e maestro di strada per tutti coloro che intraprendono il santo viaggio, con tanto di bastone, bordone e conchiglia, sacro souvenir che i pellegrini si portavano appresso dopo il loro cammino a Finisterrae. Ma nel frattempo si conferma come cavaliere, caballero della santa fede cattolica, facendo strage e strame – in dipinti e sculture – di mori atterriti. Le immagini, si sa, non sono neutre: veicolano sempre i princìpi. Il nostro mondo non è più quello del Medioevo. Ma sempre più spesso, proprio come allora, la fede in Cristo richiede e comporta il versamento del sangue, perché antichi nemici tornano ad accanirsi. Allora che san Giacomo torni a proteggerci, con o senza cavallo.
RICORDA
«Santiago di Compostela (…) è stato nei secoli punto di attrazione e di convergenza per l’Europa e per tutta la cristianità… L’intera Europa si è ritrovata attorno alla “memoria” di Giacomo in quegli stessi secoli, nei quali essa si costruiva come continente omogeneo e spiritualmente unito.
Presso la tomba di San Giacomo vogliamo imparare che la nostra fede è storicamente fondata, e quindi non è qualcosa di vago e di passeggero: nel mondo di oggi, contrassegnato da un grave relativismo e da una forte confusione di valori, dobbiamo sempre ricordare che, come cristiani, siamo realmente edificati sulle stabili fondamenta degli Apostoli, avendo Cristo stesso come pietra angolare (cfr. Ef 2,20). Presso la tomba dell’Apostolo, vogliamo anche accogliere di nuovo il mandato di Cristo: “Mi sarete testimoni… fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). San Giacomo, che fu il primo a sigillare la sua testimonianza di fede col proprio sangue, è per tutti noi un esempio ed un maestro eccellente».
(Giovanni Paolo Il, Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù, 1989).

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Paolo Caucci Von Saucken, Guida del pellegrino di Santiago, Jaca Book 1989.
Liana Castelfranchi – Maria Antonietta Crippa – Roberto Cassanelli – Elio Guerriero, [cura di]. Iconografia e arte cristiana, San Paolo 2004.

 

 

 

 

 

IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 16 – 17

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