NON ESISTE BENE PIÙ GRANDE PER L’UOMO CHE DIO STESSO
Il comando divino “Ama il prossimo tuo come te stesso” è per ogni cattolico uno dei due imperativi (l’altro, il primo e più importante, è amare Dio con tutta l’anima, la forza e il cuore) nel quale si riassume la volontà di Dio per l’uomo e a cui ottemperare se si mira alla salvezza eterna della propria anima.
Può essere utile ricordare che amare qualcuno significa, in ultima analisi, volere per lui ciò che è oggettivamente bene, il suo bene, e non esiste bene piùgrande per l’uomo che Dio stesso.
Ne consegue che amare il nostro prossimo comporta, in primo luogo, volere Dio per lui, cioè che egli conosca, lodi e serva Dio in questa vita per goderlo nell’eternità del Paradiso.
È questo il fine per il quale ogni uomo è stato creato da Dio.
Poiché il comando divino esige di amare il prossimo come amiamo noi stessi, ciò implica che anche noi, se ci vogliamo bene veramente, dobbiamo porre Dio come nostro sommo bene e conformarci a lui.
Ogni compito, ogni azione, ogni pensiero va giudicato buono o meno, un bene o meno, per noi e per il prossimo, a partire da questo parametro.
Al quale si deve sottoporre anche il Timone: se aiuta ad apprezzare sempre più il dono della fede, ricevuto da Dio, e ad acquisire mezzi per presentare la bellezza e la ragionevolezza del cristianesimo, perché Dio sia conosciuto ed amato e noi e il prossimo ci convertiamo, il Timone svolge la sua missione. In caso contrario, dobbiamo cambiare registro.
L’urgenza dell’evangelizzazione si comprende tenendo presente il fine per cui ogni uomo è creato. Altrimenti, la stessa diventa alla lunga pesante, insopportabile, immotivata: non si capisce, infatti, perché si debba pregare ed operare per guadagnare uomini e donne alla causa del vangelo e della Chiesa (perché tale è lo scopo ultimo di un’autentica evangelizzazione) se non perché conoscere, servire e lodare Dio in questa vita corrisponde alla volontà di Dio, è condizione da lui posta per accedere al paradiso ed è bene per l’uomo.
Se, cristianamente, dobbiamo prenderci cura di ciò che attiene al corpo del nostro prossimo (salute, casa, lavoro, benessere, etc), a maggior ragione ci dovrà interessare la sua anima. Le due preoccupazioni non vanno disgiunte, bensì ordinate secondo lo spirito del Vangelo, per il quale la salvezza dell’anima è prioritaria.
Talvolta noi cattolici ci preoccupiamo solo dei bisogni materiali di chi è indigente. Anche il mondo si èaccorto di questa anomalia e identifica la Chiesa, i missionari, religiosi o laici, i volontari come coloro che benevolmente si accollano le “opere di misericordia corporale”, per usare un linguaggio del vecchio, ma ancor valido, Catechismo di san Pio X. Delle “opere di misericordia spirituale” e del dovere di adempierle s’è persa quasi ogni traccia. Invece, anche queste, e a maggior titolo, concretizzano l’amore per il prossimo.
Nell’opera di evangelizzazione, richiesta da un autentico voler bene al prossimo, può risultare utile evidenziare – e non tacere affatto – la differenza esistente tra verità e menzogna, tra bene e male, tra virtù e vizio. E, perché no, tra religione vera e false, tra Chiesa vera e quelle che tali non sono.
Ciò non dovrebbe scandalizzare. Si ricordi che Gesù, mentre annunciava il vero, era implacabile nella denuncia dell’errore. Egli sapeva coniugare amore per il prossimo e odio per il peccato.
Perché non dovremmo imitarlo in questa “strategia”?
Il doveroso rispetto del prossimo viene fatto salvo, per amore dello stesso, anche e, forse, soprattutto, quando gli si spiega come certe credenze siano oggettivamente false e dunque dannose per il bene della sua anima. Che è, infine, ciò che più conta per noi, se gli vogliamo veramente bene.