Accoglienza senza riserve? Buonismo senza limiti? Vediamo alcune considerazioni di semplice buon senso per comprende il tema dell’immigrazione.
Difficile non sentirsi a disagio quando si tocca il tema dell’immigrazione, combattuti tra il necessario rispetto della dignità dell’uomo e la giusta esigenza di porre ordine – se non un freno – a una tumultuosa calata che trova la nostra società abbondantemente impreparata. E tale disagio lo si coglie nelle posizioni espresse da organismi e leader cattolici che variano dall’appello all’accoglienza, di tutti e senza riserve, alla richiesta di severità – e numero chiuso – negli ingressi. Esiste allora una possibilità di conciliare questi “estremi”, presenti anzitutto dentro di noi prima che nelle posizioni pubbliche di individui e associazioni? Pur senza pensare di avere in tasca la ricetta definitiva, credo che sia importante cercare di affrontare la questione entro l’orizzonte della “giustizia”, che tenga conto di tutti i fattori in gioco: il singolo migrante, lo Stato da cui proviene, la società che lo accoglie. In questa prospettiva credo che il concetto chiave stia nella distinzione chiara tra l’immigrato e le politiche migratorie.
L‘immigrato clandestino o meno, una volta che sia sul nostro territorio va accolto, riconosciuto nei suoi diritti personali, garantiti dallo Stato e dalle Convenzioni internazionali.
Giustizia in questo caso è il rispetto dei diritti umani della singola persona: dunque non è accettabile, ad esempiO, respingere In mare le navi dei clandestini o rendere invivibili le condizioni nei campi profughi per scoraggiare altri arrivi.
Allo stesso tempo però deve essere chiaro che l’accoglienza e il rispetto della dignità umana non significano automaticamente garantire il permesso a risiedere a tempo indeterminato nel territorio, italiano ad esempio.
Cosa deve dunque garantire lo Stato che si trova a dover gestire l’afflusso di immigrati?
1. Importante è anzitutto garantire adeguate strutture di prima accoglienza, magari favorendo in base al principio di sussidiarietà quelle organizzazioni della società civile che dimostrano competenza ed efficienza in materia.
2. Procedure rapide di U screening U per stabilire chi ha il diritto, e chi non, di rimanere sul suolo del Paese di accoglienza. Per chi ha il diritto devono essere snellite le operazioni burocratiche. Una volta che è stato stabilito il diritto a rimanere, l’immigrato non può essere trattato sempre con sospetto, come fosse un intruso. In Italia questo purtroppo accade anche ai cittadini dell’Unione Europea, figuriamoci per gli extracomunitari.
3. Chi non ha il diritto di rimanere deve essere rimpatriato, in condizioni di sicurezza ma senza ambiguità e tentennamenti. La politica del chiudere un occhio, o il foglio di via senza un controllo, favorisce oggettivamente clandestinità e criminalità danneggiando anche l’immigrato che ha diritto di rimanere. AI contrario, anche la certezza del diritto è un modo per rispettare i diritti umani.
Le politiche migratorie, invece, devono avere un respiro più ampio: guardare tanto ai bisogni delle persone, quanto alle condizioni della società che accoglie e a quella da cui la .
persona emigra.
Vanno perciò chiariti alcuni criteri di fondo.
1. Il primo diritto di ogni persona è quello di risiedere nel proprio Paese. È ovvio che qui parliamo di coloro che emigrano per dolorosa necessità, soprattutto economica.
È perciò assolutamente ingiusta una politica migratoria o un atteggiamento che favorisca la migrazione, sia essa per buonismo o per tornaconto socioeconomico (necessità di manodopera e rimedio al calo demografico). La permissività è nemicéj. della giustizia.
Se è vero che la migrazione è un fenomeno naturale – tanto più in questa epoca di globalizzazione ciò non toglie che parte integrante di una politica migratoria deve essere quella di eliminare o ridurre le cause che stanno all’origine della migrazione: siano esse cause di sottosviluppo o di atteggiamenti criminali di singoli governi o tutte e due le cose insieme (ricordiamo quando Turchia e Albania incoraggiavano l’afflusso di clandestini sulle coste italiane).
In diversi modi, perciò, la politica estera, quella di Difesa e la cooperazione internazionale sono tutti strumenti importanti anche in chiave di politica migratoria.
2. È necessaria l’integrazione dell’immigrato nella società in cui arriva. Il che non vuoi dire omologazio ne culturale, ma accettazione di regole comuni di convivenza basate sulla storia e sulla tradizione del Paese che accoglie, L’immigrato perciò non ha soltanto diritti da far valere, ma anche dei doveri da rispettare.
A questo scopo, è allora importante che:
A. Il Paese di accoglienza sia chiaro nella sua identità, o la riscopra, facendo rispettare con decisione i valori – culturali, spirituali, sociali’ e giuridici – che lo fondano.
B. Vengano stabiliti con chiarezza anche i reali bisogni e le capacità del Paese che accoglie, in modo da favorire l’inserimento nella società e nel mondo del lavoro.
C. Privilegiare, con “corsie preferenziali”, l’immigrazione da Paesi culturalmente affini, come l’anno scorso aveva efficacemente richiamato il cardinale Biffi.
Non si può chiudere gli occhi di fronte al fatto che alcune comunità per principio rifiutano l’integrazione.
In conclusione, un corretto affronto della questione immigrazione deve rendere giustizia al migrante, ma anche al Paese che lo accoglie e a quello da cui proviene.
RICORDA
“[…] Possiamo aggiungere un’annotazione, che riguarda da vicino soprattutto il comportamento auspicabile dello Stato e di tutte le autorità civili. I criteri per ammettere gli immigrati non possono essere solamente economici e previdenziali (che pure hanno il loro peso). Occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità propria della nazione. L’Italia non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione. In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l’identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte”.
(Cardinale Giacomo Biffi, nota pastorale “La città di San Petronio nel terzo millennio”, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2000).
“E chi era morto, il Presidente dell’Universo? No, un vecchietto, un fraticello senza cariche, un tizio qualsiasi di un paesino sperduto, un cittadino italiano che non aveva nemmeno finito il servizio militare. Come aveva fatto a farsi conoscere e venerare in tutto il mondo, senza mai uscire dalla sua cella? Aveva scritto best sellers risolutivi per le sorti del pianeta? Aveva ideato e presieduto convegni internazionali dai quali era uscita la nuova evangelizzazione che aveva finalmente convinto la gente a farsi cristiana sul serio? Aveva condotto riuscite campagne televisive per la pace, di portata planetaria? Aveva guidato fiaccolate cosmiche che erano sfociate nella fraternità universale? Come aveva fatto, insomma, a provocare questo immenso e qualificato cordoglio per la sua scomparsa? A colpi di miracoli, e basta. Il cristianesimo è cominciato così”.
(Rino Cammilleri, Vita di padre Pio, Piemme Pocket, Casale Mon.to (AL) 1999, p. 255).
TIMONE N. 19 – ANNO IV – Maggio/Giugno 2002 – pag. 16 – 17
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