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12.12.2024

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Irragionevole negare l’esistenza di Dio
31 Gennaio 2014

Irragionevole negare l’esistenza di Dio

 

 

 

Dal creato al creatore: per alcuni filosofi è un passaggio impossibile. Ma devono mettere a riposo la ragione e sostituire Dio con surrogati fantastici, come il “caso” e la “natura”. Risposta alle obiezioni di materialisti e kantiani.

La dimostrazione dell’esistenza di Dio attraverso la via della finalità non è mai stata messa in discussione dai metafisici, ma solo da quei pensatori (filosofi o scienziati) che non hanno compreso la necessità e la possibilità della metafisica. Mi riferisco ai materialisti di ogni tempo e ai kantiani, che rappresentano una “razza” filosofica tutt’altro che in via di estinzione.
Cominciamo dai materialisti. Nel loro ostinato proposito di negare la spiritualità dell’anima e l’esistenza di Dio, i materialisti (da Democrito a Epicuro nell’antichità, e poi, nell’epoca moderna, dai positivisti ai marxisti), hanno inventato dei surrogati ideologici dell’idea di ordine cosmico e di Dio creatore e provvidenza, distruggendo con essi la filosofia stessa, che è fatta di razionalità: razionalità oggettiva (quella che si scopre nel mondo e che la filosofia deve solo riconoscere e sistematizzare), e razionalità soggettiva (quella che sostiene il discorso filosofico e che lo obbliga a esibire le prove di ogni sua affermazione, potendo così presentare una teoria che serva come spiegazione dei fenomeni del mondo).
Uno di questi surrogati è il termine “natura” (in alcune lingue, come in italiano, con la “n” maiuscola), che già Lucrezio Caro usava nel suo poema De rerum natura per tentare di sostituire l’idea di un Dio che è somma Intelligenza e che governa il mondo (era l’idea di Aristotele e degli Stoici). Un altro di questi surrogati è il termine “caso”, introdotto in filosofia da Democrito e poi ripreso da tanti materialisti antichi e moderni, fino ad arrivare allo scienziato francese Jacques Monod (con il suo purtroppo famoso saggio su L’Hasard et la Necessité, tradotto in italiano come // caso e la necessità); tutti gli eventi della storia, tutta l’evoluzione biologica, tutte le forme più complesse della vita scaturirebbero dall’incontro/scontro casuale di elementi primordiali (giratomi”), che si aggregano e si disaggregano senza alcuna finalità né alcun disegno superiore. A Marx piaceva questa teoria, e proprio sul materialismo di Democrito egli aveva scritto la sua prima opera, tratta dalla tesi di laurea in Germania. Dopo di che non aveva più approfondito la questione, e per tutto il resto della sua vita si era accontentato di dare per risolto (a chi?) il problema di Dio, considerato un frutto della fantasia umana alla ricerca di sicurezza e di salvezza. Se non fosse stato per il grande potere politico e propagandistico del comunismo, questa misera filosofia non avrebbe avuto alcun credito né in Europa e in America né tanto meno in Asia.
Che dire di questi surrogati di Dio? Da un punto di vista strettamente razionale ha ragione il grande storico della filosofia Etienne Gilson quando dice che questo tipo di ateismo, come tutti gli altri ateismi costruiti dai filosofi, è filosoficamente insostenibile. Dalle nozioni di “natura” e di “caso” è venuta fuori una teoria ridicola, che ha gettato il discredito sulla filosofia invece di screditare – come si pretendeva – il teismo. I materialisti cercavano di criticare la metafisica perché la dicevano poco “positiva”, poco “scientifica”: ma il ricorso a entità astratte nient’affatto documentabili, addirittura fantastiche, come la “natura” e il “caso” è quanto di meno “positivo” e “scientifico” si possa proporre per spiegare i fenomeni dell’esperienza. I quali fenomeni dell’esperienza attestano il fatto innegabile della finalità, insita non solo nei processi vitali ma anche in quelli cosmologici a ogni livello. Ora, la finalità è un aspetto della razionalità del reale che la ragione umana non può non riportare a una Ragione (superiore al mondo) che ha dato un dinamismo di questo genere alle cose da essa create, e che si serve poi anche dell’autodeterminazione al fine delle creature dotate di coscienza e di libertà.
Ci sono poi, come dicevamo all’inizio, i kantiani, fermi ancora oggi a quanto Immanuel Kant scrisse alla fine del Settecento. Kant conosceva molto bene le prove dell’esistenza di Dio, ma commise l’imperdonabile errore di ridurle tutte alla prova razionalistica “a priori”, basata sull’analisi delle idee. Questa falsa prova, detta “ontologica” e ingiustamente attribuita a sant’Anselmo d’Aosta, consiste nel dedurre che Dio esiste per il fatto che l’idea di Dio implica la sua necessaria esistenza. Questo è vero; ma, come veniamo noi in possesso dell’idea di Dio? Sant’Anselmo lo sapeva bene. L’idea di Dio ci viene dall’esperienza, perché l’esperienza ci conduce a pensare che il mondo delle cose contingenti e ordinate è prodotto di un Essere necessario, intelligente e ordinatore. Se si parte solo dalle idee non si fa che analizzare il loro contenuto, ma non si parla della realtà in sé. Kant conosceva la “prova cosmologica” dell’esistenza di Dio, ma – pur apprezzandola – la ricondusse arbitrariamente alla prova “ontologica”, privandola così di valore.
Ecco quanto scrive nella sua opera maggiore: “II mondo presente ci offre uno spettacolo così impressionante di varietà, di ordine, di finalità e di bellezza – sia che si contempli l’infinità dello spazio, sia che si osservino gli innumerevoli particolari di esso in base alle conoscenze che il nostro limitato intelletto ne può acquisire – che il nostro linguaggio cede di fronte a tante meraviglie inconcepibilmente sublimi, la nostra mente non è più capace di misure precise, e persino i nostri pensieri appaiono inadeguati. La conseguenza è che il nostro giudizio sull’universo si risolve in uno stupore muto, ma allo stesso tempo assai eloquente. Noi vediamo dappertutto una concatenazione di effetti e di cause, di fini e di mezzi, di regolarità nel processo di nascita e di morte. […]
Noi non conosciamo il mondo in tutto il suo contenuto, e ancora meno sappiamo valutarne tutta la grandezza mediante il confronto con tutte le cose possibili; eppure, constatando la causalità abbiamo bisogno di pensare un Essere supremo o ultimo, dobbiamo necessariamente Kant, come si vede, non può negare l’evidenza della deduzione di Dio come sommo ordinatore e fine pensare che esiste un tale Essere, che secondo il grado di perfezione è al di sopra di ogni altra cosa possibile.
[…] Questa dimostrazione merita sempre di essere presa in attenta considerazione. Essa è la più antica, la più chiara, la più conforme al senso comune. Essa rimanda incessantemente allo studio della natura, così come dallo studio della natura è stata ispirata e continuamente riceve nuove conferme” (Critica della ragion pura, II, 2, 3, 6).
Kant, come si vede, non può negare l’evidenza della deduzione di Dio come sommo ordinatore e fine ultimo dell’ordine naturale, che risplende nella meravigliosa armonia dell’universo, visto sia al microscopio (microfisica) che con il telescopio (macrofisica), sia nella natura inorganica che nei processi della vita vegetale e animale e nella vita umana. Kant parlava della scienza della natura dei suoi tempi (era la scienza di Isaac Newton, che tra l’altro era un convinto teista e un devoto credente), ma il ragionamento vale altrettanto e anche di più ai nostri giorni: basti pensare a come parlava di Dio, origine dell’armonia matematica dell’universo, il grande Albert Einstein, premio Nobel per la fisica, e come sono pervenuti alla teoria di un universo creato apposta per l’uomo gli scienziati come John Barrow che hanno elaborato il “principio antropico”. Kant però rinchiude tutta la scienza della natura in una sfera di conoscenza “fenomenica” che non ha validità “noumenica”, ossia metafisica: il mondo ci appare effettivamente ordinato e dotato di finalità, ma non sappiamo se è effettivamente così, perché non possiamo conoscere le cose in sé stesse. È la negazione della “metafisica come scienza”, una negazione mille volte contraddetta e superata dai filosofi che sono venuti dopo Kant, nell’Ottocento (Jacobi e Fichte, Hegel e Scho-penhauer, Schelling e Kierkegaard, Newman e Rosmini) e poi nel Novecento (basti pensare a Henri Bergson, Alfred Whitehead, Edith Stein, Etienne Gilson, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, Romano Guardini, Josef Pieper, Michele Federico Sciacca, Xavier Zubiri, Frederick Strawson).
Eppure, molti filosofi di seconda fila si ostinano a restare fermi alle posizioni di Kant, impedendosi dì passare dall’esperienza del mondo – che reclama un supremo Ordinatore, dotato di intelligenza e di amore infiniti – all’evidenza razionale che Dio c’è. Lo percepisce infallibilmente il senso comune, lo conferma la filosofia di tutti i tempi (quella più libera da preconcetti e più rigorosa nelle deduzioni), lo apre a una prospettiva soprannaturale la rivelazione cristiana.
Occorre rivendicare con coraggio la coerenza del pensiero che pensa Dio come causa prima e fine ultimo della finalità che c’è nel mondo: quello che osserviamo tutti ogni giorno e quello che è oggetto delle ricerche scientifiche degli specialisti.
L’incoerenza di chi nega questa evidenza razionale – ma pretende di passare per “razionalista” – va smascherata in ogni terreno: da quello propriamente filosofico a quello “positivo” (le scienze fisico-matematiche e la biologia), perché in ogni terreno la razionalità è a favore dell’evidenza che è Dio la ragione ultima del dinamismo intelligente che guida la creazione: sia per quanto riguarda la costanza dei fenomeni del mondo inorganico e l’ordine finalistico dei processi naturali, sia per quanto riguarda l’evoluzione omogenea dei fenomeni del mondo organico e la incessante novità degli eventi.

FEDE E RAGIONE

“(…) la fede, dono di Dio, pur non fondandosi sulla ragione, non può certamente fare a meno di essa; al tempo stesso, appare la necessità per la ragione di farsi forte della fede, per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non potrebbe giungere”.
(S.S. Giovanni Paolo II, Fides et ratio, n. 67).

 

BIBLIOGRAFIA

Etienne Gilson, Dio e la filosofia, trad. it, Presentazione di Antonio Livi, Ed. Massimo, Milano 1989.
Cornelio Fabro, Le prove dell’esistenza di Dio, Ed. La Scuola, Brescia 1992.
Antonio Livi, Filosofia del senso comune (Logica della scienza e della fede). Ed. Ares, Milano 1990.

Dossier: Dal Creato al Creatore con la ragione

IL TIMONE N. 16 – ANNO III – Novembre/Dicembre 2001 – pag. 35-37

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