Pensiero “forte” islamico e pensiero “debole” dell’Occidente: una sfida inevitabile. E persa in partenza, se l’Occidente non tutela i diritti dei cristiani nei Paesi della mezza luna.
Inutile negarlo: dopo l’11 settembre, dopo i terribili attentati a New York e Washington, l’islam fa Più paura. E non basta a scacciare questo timore il prodigarsi di tanti politici e intellettuali che ci spiegano che il terrorismo non ha niente a che vedere con l’islam e con il Corano. Certamente non è giusto identificare l’islam con il terrorismo, né sarebbe giusto alzare i muri a difesa della Cristianità. Anche perché a dovere preoccupare sul serio, più del terrorismo, dovrebbe essere il confronto tra il “pensiero forte” dell’islam con il “pensiero debole” – anzi debolis-simo – dell’Occidente in generale e della Cristianità in particolare. Personalmente ne ho avuto una conferma partecipando all’inizio di settembre – pochi giorni prima degli attentati – alla Conferenza internazionale dell’Onu contro il razzismo che si è svolta a Durban (Sudafrica). È stata una Conferenza monopolizzata essenzialmente da due argomenti: la schiavitù e, soprattutto, il Medio Oriente, con il tentativo da parte dei Paesi islamici di arrivare a una con danna esplicita di Israele e di equiparare il sionismo al razzismo. Non è molto importante in questa sede entrare nel dettaglio di questi argomenti, quel che interessa al nostro discorso sono due aspetti emersi in quei giorni. Il primo riguarda l’ostinata determinazione dei Paesi islamici a imporre il proprio ordine del giorno sulla questione mediorientale, rifiutando ogni compromesso fino ad arrivare alla spaccatura sul testo finale. Si è trattato di una situazione nuova per una Conferenza dell’Onu, la prima volta che i Paesi islamici nel loro complesso sfidano compatti l’Occidente. Alla luce di quanto è avvenuto solo qualche giorno dopo, si tratta di un segnale da non sottovalutare. Non perché i governi dei Paesi islamici siano in qualche modo coinvolti nel terrorismo, ma perché i terroristi islamici si situano in un contesto generale di “rinascita islamica” che li rende oggettivamente più forti. In ogni caso i Paesi islamici hanno mostrato una inedita consapevolezza della propria forza, che li rende capaci anche di imporre la propria volontà o lettura della storia, come dimostra il fatto – e qui siamo al secondo aspetto – che nel documento finale della Conferenza Onu contro il razzismo è entrata la condanna dell'”islamofobia”, ovvero della discriminazione contro l’islam, equiparato all’antisemitismo.
È la prima volta che questa terminologia (“islamofobia”) entra in un documento internazionale ed è un fatto inquietante. Ovviamente ogni discriminazione contro l’islam e i fedeli islamici deve essere condannata, e non può essere giustificata per nessun motivo. Ma qui la domanda è: perché la comunità internazionale si sente in dovere di condannare soltanto la discriminazione contro l’islam e non, ad esempio, quella contro i cristiani che pure è decisamente più consistente? Recita la Dichiarazione finale di Durban, approvata dai rappresentanti di 163 Stati: “Noi riconosciamo con profonda preoccupazione l’aumento dell’antisemitismo e dell’islamofobia in varie parti del mondo, così come l’emergere di movimenti razziali e violenti basati sul razzismo e su idee discriminatorie contro ebrei, musulmani e comunità arabe”.
Afferma poi il Programma d’Azione, sempre approvato a Durban: “Richiamiamo tutti gli Stati (…) a riconoscere la necessità di contrastare l’antisemitismo, l’antiarabismo e l’islamofobia in tutto il mondo, e si fa urgenza a tutti gli Stati a prendere misure effettive per prevenire l’emergere di movimenti basati sul razzismo e su idee discriminatorie riguardanti tali comunità”. Qualcuno penserà che i documenti internazionali “tanto sono parole che non importano a nessuno”. Errore. Certi concetti promossi nelle Conferenze internazionali, lo vogliamo o no, entrano più o meno lentamente nella mentalità comune. Tanto è vero che in America all’indomani degli attentati si è subito gridato all”‘islamofobia” (chi ne aveva mai sentito parlare prima di allora?) per le aggressioni e le minacce alla comunità islamica locale, come reazione al terrorismo. Ripeto a scanso di equivoci: certe manifestazioni violente, comunque motivate, vanno condannate senza appello. Ma per condannare certe reazioni basta appellarsi ai principi e valori che fondano ogni società democratica, non c’è bisogno di scomodare l’islamofobia. La questione centrale riguarda però una sproporzione storica evidente: in Occidente sicuramente si registrano episodi di discriminazione contro arabi e musulmani, ma questi sono di solito marginali e condannati dalla stessa società occidentale. E comunque sono ben poca cosa se li paragoniamo alla sistematica discriminazione e persecuzione che nei Paesi islamici devono subire i non-islamici. Come dimostra in modo inconfutabile il Rapporto 1998 dell’Aiuto alla Chiesa che Soffre, nella stragrande maggioranza dei 46 Paesi islamici dell’Africa settentrionale, del Medio Oriente e dell’Asia non esiste affatto la libertà religiosa e la conversione al cristianesimo, ad esempio, è passibile di pena di morte. Per non parlare delle condizioni giuridiche e civili in cui i “non islamici” sono tenuti: parlare di cittadini di serie B è ancora dare un giudizio benevolo.
Introdurre perciò, in questa situazione, il concetto di “islamofobia” è come se negli anni ’80 l’Onu avesse condannato solennemente l’anti-comunismo, proprio mentre nel nome del comunismo milioni di persone venivano sterminate in ogni parte del mondo.
Ciò che è maggiormente inquietante, però, è il fatto che i Paesi occidentali abbiano accettato questo assurdo storico senza fiatare. Si dirà: ecco il solito cattolico che ha paura dell’islam e chiama alle crociate. No: la paura dell’islam è quella degli Stati occidentali che “per non fare arrabbiare” i musulmani rinunciano perfino a dare ragione dei principi su cui si fondano le loro società. Fin troppo facile prevedere le conseguenze pratiche di questo pensiero “debole”. A cominciare dalle politiche sull’immigrazione: pur di non essere tacciati di islamofobia e di razzismo, ci troveremo sicuramente, di fatto, a favorire l’immigrazione islamica. E pensare che c’è chi si scandalizzò per il documento in cui il cardinale Giacomo Biffi invitava – per facilitare l’integrazione – a favorire l’immigrazione dai Paesi cristiani.
RICORDA
“Quei cristiani di oggi che si compiacciono al pensiero non solo di un doveroso dialogo, ma anche di una collaborazione fruttuosa e pacifica con l’islamismo dimenticano tra l’altro che questo divide il mondo in due parti: “territorio dei musulmani” e “territorio di guerra”. Quest’ultimo è ogni luogo dove il messaggio di Maometto non sia ancora accettato; e dove, dunque, è sacro dovere il portarlo con l’invasione armata. Guerra e Corano sono, dagli inizi ad oggi, un binomio ferreo”.
(Vittorio Messori, Pensare la storia, Paoline, Cinisello Bal.mo (MI) 1992, p. 628).
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