da Antiquo Robore, di padre Giovanni Scalese
Su Avvenire del 30 ottobre scorso è apparsa una intervista sulla Humanae vitae al Vescovo emerito di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi. Ci si potrebbe chiedere quale sia la strategia del quotidiano della Conferenza episcopale italiana a proposito dell’enciclica di Paolo VI, visto che dieci giorni prima aveva pubblicato un articolo di Luciano Moia (qui) dello stesso tenore; ma lasciamo perdere: ormai abbiamo capito che, dopo cinquant’anni, è giunta l’ora di rottamare l’Humanae vitae. Non mi sembra però giusto far finta di nulla quando dalla bocca di un successore degli Apostoli, per quanto emerito, escono una serie di enormità come quelle che si leggono nell’intervista suddetta.
Sua Eccellenza non si rende conto che in qualche caso non c’è coerenza fra le sue affermazioni. Prima dice: «Al Concilio non fu possibile parlare di contraccezione»; poi però afferma che Paolo VI sapeva che la maggioranza dei Padri conciliari «propendeva per un parere più sfumato rispetto al “no” che poi sarebbe arrivato nell’Humanae vitae». Ci potrebbe spiegare Sua Eccellenza come faceva Paolo VI (e come fa lui stesso) a saperlo, se in Concilio non si era parlato di contraccezione e quindi, tanto meno, erano state fatte votazioni per conoscere il parere dei Padri in materia?
Sua Eccellenza tira poi in ballo Giovanni XXIII: «Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che con il trascorrere degli anni, riusciamo a capirlo sempre meglio. E quindi non sono le dottrine a cambiare, siamo noi che riusciamo a comprenderne sempre meglio il significato leggendole alla luce dei segni dei tempi». A parte la presunzione che traspare da queste righe (noi siamo riusciti a capire il Vangelo meglio di chiunque altro!), mi sa che dovremo abituarci a sentir ripetere spesso espressioni simili nell’immediato futuro: la dottrina non cambia; siamo noi a comprenderla meglio (si veda il post del 31 ottobre scorso).
Sua Eccellenza fa quindi un’affermazione, a dir poco, discutibile: «Non era facile a quei tempi [= ai tempi del Concilio] affermare che nel matrimonio quello che conta è l’amore degli sposi e poi c’è la procreazione. Non che non sia importante. Ma al primo posto c’è l’amore coniugale. Era una posizione molto avanzata». Mi viene il sospetto che Sua Eccellenza abbia partecipato a un altro Concilio. Io, quando il Concilio si concluse, avevo dieci anni; non ho partecipato alle sue sessioni; ma i documenti, che anche lui ha firmato, so leggerli. E vi leggo: «Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole… Il matrimonio, tuttavia, non è stato istituito soltanto per la procreazione; ma il carattere stesso di patto indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità» (Gaudium et spes, n. 50). Sinceramente, non mi sembra che queste dichiarazioni coincidano con quanto affermato da Sua Eccellenza. A meno che, oltre al Concilio essoterico, destinato al volgo, non esista anche un Concilio esoterico, riservato a pochi iniziati…
Bellissimo è poi il riferimento alla virtú della prudenza, che assume un diverso valore a seconda di chi la pratica. Per Paolo VI sembrerebbe essere un limite, se non una colpa: «L’attuazione del Concilio era un tema che lo preoccupava molto. In un senso e nell’altro. Ci teneva, ma lo portava avanti con molta prudenza». Papa Francesco invece, che, a detta dell’intervistatore, sta tentando l’operazione “scongelamento del Concilio”, viene esortato a… «farlo con prudenza».
E qui vengono fuori i veri sentimenti dei novatores, che si considerano superiori alla massa dei poveri mortali, una specie di setta degli “illuminati”, che guarda dall’alto in basso i poveri ignoranti: Papa Francesco deve scongelare il Concilio con prudenza «perché, come già aveva intuito Paolo VI, non bisogna sgomentare i fedeli piú semplici. E anche quella parte della Chiesa dove la situazione sociale è diversa rispetto all’Occidente. Non è un caso che le resistenze piú forti ad Amoris laetitia siano arrivate dall’Africa e dall’Europa dell’Est». Avevamo già sentito espressioni simili sulle labbra del Card. Kasper durante il Sinodo. Per non parlare dei tradizionalisti, liquidati in quattro e quattr’otto come «scribi e farisei».
Ma si rasenta la comicità quando Sua Eccellenza afferma: «Cambiare significa rinunciare a determinate posizioni, a una fetta del proprio potere, quello politico e quello ideologico». Ma di che cosa sta parlando Sua Eccellenza? Accusa i tradizionalisti di essere attaccati al potere, quando sono proprio loro, gli innovatori, che in questi cinquant’anni hanno sempre gestito il potere, anche quando sulla cattedra di Pietro sedevano Papi che loro non gradivano, e che ora hanno occupato qualsiasi spazio di potere, nonostante che il tempo sia superiore allo spazio…
Sua Eccellenza poi concede, bontà sua, che nella Chiesa c’è spazio per posizioni diversificate: «Pensarla diversamente è normale e anche giusto, ma il confronto deve avvenire nella carità, nel rispetto reciproco». Ma subito dopo, imbeccato dall’intervistatore, non trova di meglio che attaccare i quattro Cardinali che si sono permessi di rivolgere alcuni dubia al Santo Padre, come se questo fosse una mancanza di carità: «Mi ha molto amareggiato l’uscita dei quattro cardinali con i Dubia. Si sono giustificati dicendo che inizialmente avevano scritto in privato. Ma nel momento in cui si esce pubblicamente, si tratta quasi di una sovrapposizione al potere del Papa. Certa gente è papista finché pensa che il Papa sia dalla loro parte». Un’accusa che potrebbe facilmente ritorcersi contro quanti, oggi piú papisti del Papa, non ebbero alcuno scrupolo a contestare — pubblicamente! — i Pontefici precedenti. Eh sí, ma loro lo fecero «in modo rispettoso, non come gli attacchi che abbiamo visto in questi mesi contro Francesco». Mi sa tanto che la memoria cominci a fare cilecca. Sua Eccellenza avrà dimenticato, ma io ricordo bene quanto violente e irrispettose fossero le contestazioni contro il Papa, fosse egli Paolo VI o Giovanni Paolo II o Benedetto XVI. Non solo, ma allora i contestatori venivano considerati profeti. Come si spiega che oggi chi si permette di avanzare anche solo un dubbio diventi ipso facto un fariseo privo di carità e di senso ecclesiale?
Ma l’aspetto che mi ha maggiormente colpito dell’intervista è stato lo “scongelamento del Concilio”. Sua Eccellenza afferma che l’attuazione del Concilio fu lasciata «in mano a quelli che non l’avevano voluto… Poi arrivò la rivoluzione del ’68, la Chiesa si spaventò ancora di piú. E prevalsero i nemici del Concilio. Non che non ci fossero esagerazioni postconciliari da correggere. Ma invece di correggere, abbiamo congelato tutto. Con l’acqua sporca abbiamo buttato via anche il bambino». Non so a chi Sua Eccellenza si riferisca. Chi sarebbero questi che non avevano voluto il Concilio e che poi sarebbero stati chiamati ad attuarlo? Certamente non i Papi che si sono succeduti nel post-concilio. Di Paolo VI Sua Eccellenza stessa dice che teneva molto all’attuazione del Concilio (sebbene la portasse avanti con molta prudenza). Di Giovanni Paolo II leggevo l’altro giorno questo passaggio: «Per me — che ho avuto la grazia speciale di parteciparvi — il Vaticano II è sempre stato, ed è in modo particolare in questi anni del mio Pontificato, il costante punto di riferimento di ogni mia azione pastorale, nell’impegno consapevole di tradurne le direttive in applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa. Occorre incessantemente rifarsi a questa sorgente» (Allocuzione del 25 gennaio 1985, cit. nella cost. ap. Fidei depositum dell’11 ottobre 1992). Benedetto XVI partecipò al Concilio in qualità di teologo, all’epoca ritenuto fra i piú avanzati, applaudito quando scriveva i discorsi contro il Card. Ottaviani, crocifisso quando da Papa ha chiesto di interpretare il Concilio in continuità con la tradizione. Tutti e tre questi Pontefici si sono proposti di attuare il Vaticano II. Che significa allora affermare: «Abbiamo congelato tutto»? E che senso ha parlare oggi di “scongelamento del Concilio”? Che cos’è che è stato congelato e che ora si starebbe scongelando? Non certamente il Concilio reale, che è stato, bene o male, attuato. Probabilmente Sua Eccellenza, parlando di “Concilio”, stava pensando a quel “Concilio esoterico”, di cui poco fa ipotizzavamo l’esistenza, che non coincide col Concilio reale, che ha trovato espressione nei documenti approvati dai Padri; un “Concilio” che, diciamo pure “congelato” a Roma, in questi cinquant’anni ha avuto purtroppo la possibilità di diffondersi ugualmente nella Chiesa, producendo i frutti che sono sotto gli occhi di tutti. Beh, se cosí fosse, conveniamo con Sua Eccellenza che sia bene tirar fuori dal freezer questo “Concilio” e lasciare che dimostri tutte le sue (nefaste) potenzialità. Sarà forse la volta buona che ce ne liberiamo definitivamente.