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L’olocausto dell’aborto inglese mentre si cerca di zittire la campagna a favore della vita
NEWS 7 Novembre 2017    

L’olocausto dell’aborto inglese mentre si cerca di zittire la campagna a favore della vita

di Pietro Piccinini
su «Tempi»

 

In effetti fa impressione quel numero stampato sulla copertina del Catholic Herald in occasione del cinquantesimo anniversario della legalizzazione dell’aborto nel Regno Unito. Da quel 27 di ottobre del 1967 in cui il parlamento di Londra approvò l’Abortion Act, sono state 8.894.355 le interruzioni volontarie di gravidanza registrate in Inghilterra, Scozia e Galles.

NUMERI E STERLINE. E dire che, secondo le rassicurazioni dei promotori della legge, l’aborto sarebbe dovuto rimanere una misura eccezionale a cui fare ricorso solo ed esclusivamente in «circostanze estreme e tragiche», come ricorda Lord David Alton. Invece, in mezzo secolo «hanno perso la vita» quasi 9 milioni (nove milioni) di «bambini non nati», per usare le parole di questo pari d’Inghilterra celebre per l’impegno a favore dei diritti umani. Si tratta di «una morte ogni tre minuti; 20 vite soppresse ogni ora», scrive Lord Alton. E non solo l’aborto è ormai applicato all’infinito nell’indifferenza generale come una qualunque pratica «routinaria e seriale», ma «quello che una volta era un crimine è diventato un’industria redditizia», se è vero che, per limitarsi all’ultimo decennio, ben «757.832.800 sterline dei contribuenti sono state versate ad abortisti privati».

VIOLENZA SULLE DONNE. Eppure tutto questa sembra non essere ancora abbastanza, per la «cultura di morte» contestata da Lord Alton. Sempre attraverso il Catholic Herald l’eurodeputato Steven Woolfe denuncia che a Strasburgo e a Bruxelles stanno brigando per mettere definitivamente fuori dal consesso civile l’opposizione all’aborto. Con una manovra che richiama alla mente l’invenzione del “reato di intralcio all’aborto”, introdotto in Francia a febbraio, il Parlamento europeo ha appena approvato un rapporto provvisorio della sua commissione per le Libertà civili e la Giustizia nel quale sta scritto che l’Unione Europea «afferma con forza che la negazione dei servizi per la salute e per i diritti sessuali e riproduttivi, incluso l’aborto sicuro e legale, è una forma di violenza contro le donne». Al termine dell’iter, il testo andrà a «costituire la base delle raccomandazioni del Parlamento di Strasburgo alla Commissione europea per le prossime proposte di legge» in materia di contrasto alla violenza sulle donne, ma fin da ora secondo Woolfe bisogna preoccuparsi per come una simile affermazione potrebbe trovare concreta traduzione. Domani sarà ancora legale battersi contro il “diritto” all’aborto o anche solo per una sua restrizione?

PENSIERI VIETATI. Steven Woolfe è un indipendentista e da esponente del “partito della Brexit” sembra voler suggerire che l’uscita del suo paese dall’Unione Europea lo proteggerà almeno in parte da questa deriva. Ma da un lato lui stesso ricorda che in futuro Bruxelles potrebbe sempre decidere di imporre le regole in questione come «condizione per i trattati commerciali con i paesi non europei» (il caso citato da Woolfe è quello dell’Irlanda del Nord, la cui legislazione assai restrittiva in materia di aborto rischierebbe di diventare criminale per i futuri standard europei). E d’altro lato il Regno Unito in quanto a derive da «cultura della morte» non ha da invidiare nulla a nessuno. Le innumerevoli richieste di dimissioni seguite di recente alle dichiarazioni «ripugnanti» del parlamentare cattolico Jacob Rees-Mogg, messo in croce per essersi detto contrario all’aborto sempre e comunque, rappresentano solo la più recente e rumorosa di una lunga serie di variazioni sul tema. Mobbing, discriminazione e boicottaggio sono il “new normal” per chi si rifiuta di seguire la corrente dell’aborto libero.

SERVIZIO GRATUITO. Londra non si fa mancare nemmeno qualche invadente tentativo di ingerenza abortista verso l’Irlanda del Nord, che come accennato sopra è l’unico stato del Regno Unito risparmiato cinquant’anni fa dall’introduzione dell’Abortion Act, e restando tuttora un paese convintamente antiabortista è fatto oggetto di una forte pressione internazionale verso il “cambiamento” (c’è un referendum in programma per l’anno prossimo). È di pochi giorni fa la notizia che il governo britannico intende rendere gratuito per le nordirlandesi l’accesso all’aborto in Inghilterra, servizio che invece attualmente prevedere per loro il versamento di un ticket non indifferente. Sarà anche «allestito un sistema di prenotazioni telefoniche centralizzato per permettere loro di prendere appuntamento con i professionisti inglesi», informa un articolo del Guardian. La cultura della morte, commenta Lord Alton, «preferisce corrompere le donne nordirlandesi offrendo loro 1.400 sterline per ogni bambino che abortiscono in Inghilterra anziché dare loro sussidi equivalenti o aiutarle a salvare quel figlio o promuovere l’adozione».

PRO-LIFE AL BANDO. Nel frattempo, proprio in occasione del 50esimo anniversario della legalizzazione dell’aborto, 113 parlamentari britannici, fra i quali il leader del Partito laburista Jeremy Corbyn e quello dei Lib-Dem Vince Cable, hanno sottoscritto una lettera aperta per chiedere al ministro dell’Interno Amber Rudd di fare il necessario affinché le donne possano avere «accesso sicuro» alle cliniche abortive, ovvero vietare le veglie dei pro-life all’esterno delle strutture. Iniziative, le veglie antiabortiste, che naturalmente sono criticabili sotto molti aspetti, ma che non possono certo essere accusate di esercitare “violenza sulle donne”. O sì?