«Voi ben sapete come la Chiesa abbia sempre condannato l’aborto, sì che gl’insegnamenti del nostro Predecessore di ven. mem. Pio XII (Discorso del 29 ottobre 1951) e del Concilio Vaticano II (Gaudium et Spes, 27 e 51) non han fatto che confermare la mai mutata ed immutabile sua dottrina morale. A voi pure è noto che contro le recenti leggi o proposte di legge, che in vari Stati attuano o tendono ad attuare la cosiddetta "liberalizzazione dell’aborto", si è levato l’Episcopato di tutto il mondo, proponendo rimedi più idonei per eliminare o contenere al massimo questa così diffusa piaga sociale.
"L’aborto come l’infanticidio – ha ribadito il Concilio – sono abominevoli delitti" (Ibid.). La ragione teologica fu ben precisata nel discorso sopra ricordato di Pio XII: «Ogni essere umano, anche il bambino nel seno materno, ha il diritto alla vita immediatamente da Dio, non dai genitori, né da qualsiasi società o autorità umana. Quindi non vi è nessun uomo, nessuna autorità umana, nessuna scienza, nessuna 'indicazione' medica, eugenica, sociale, economica, morale, che possa esibire o dare un valido titolo giuridico, per una diretta deliberata disposizione sopra una vita umana innocente, vale a dire una disposizione che miri alla sua distruzione, sia come a scopo, sia come a mezzo per un altro scopo, per sé forse in nessun modo illecito".
Nella Costituzione Gaudium et Spes il Concilio, rivolgendosi a tutti gli uomini e non ai soli cristiani, apporta anche le ragioni di diritto naturale e sociale. Anzitutto la dignità della persona umana, che viene lesa non solo nella innocente vittima dell’uccisione, ma nella madre stessa che volontariamente a ciò si adoperi, ed in quanti – medici od infermieri – cooperino all’aborto volontario. Non meno gravi, poi, sono le ragioni di diritto sociale, oggi particolarmente valide e di più stretta competenza di voi giuristi. Se, come ammonisce il Concilio, "Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l’altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell’uomo" (Gaudium et Spes, 51), su ogni uomo, sulle comunità intermedie (a cominciare dalla famiglia) e soprattutto sulla comunità politica poggia questa missione, che è a un tempo dovere e potere. Se lo Stato sociale contemporaneo va assumendo sempre più anche su di sé questo compito di protezione e di promozione della vita umana in modo degno dell’uomo, e ciò in conformità delle Dichiarazioni universali dei diritti dell’uomo e del fanciullo, nessun dubbio che tale protezione debba avere inizio, non dalla nascita o dalla maggiore età della persona umana, ma sin dal concepimento, come quello che è l’inizio di un solo ed univoco processo vitale, che si conclude nella nascita di un nuovo essere umano».