Le Organizzazioni non governative (Ong) che operano nel Mediterraneo «non solo vanno difese, vanno anche lodate» perché oggi la prima priorità è salvare vite nel Mediterraneo e loro lo fanno. È poi «sbagliato mettere in relazione le Ong all’azione degli scafisti». Questa è la posizione espressa in una intervista pubblicata ieri da Repubblica (clicca qui) da monsignor Giancarlo Perego, arcivescovo di Ferrara ed ex direttore della Fondazione Migrantes (Cei). Il quale Perego ritiene anche giusta la ribellione delle Ong alla presenza di militari a bordo delle loro navi richiesta dal governo italiano.
Tali dichiarazioni sono certamente coerenti con la linea dell’accoglienza per tutti a tutti i costi che la Conferenza episcopale italiana (Cei) ha tenuto dall’inizio sul tema immigrazione, ma fanno a pugni con la realtà e sono in contraddizione con la condanna del traffico di esseri umani, che pure la Chiesa fa a gran voce.
È una posizione ideologica, e come ogni posizione ideologica si alimenta di confusione e dati errati per potersi giustificare.
Intanto la confusione: monsignor Perego, così come i vertici Cei, non si pone affatto il problema della differenza tra migrazione regolare e irregolare, come se non ci fossero norme di diritto internazionale che sono anzitutto a tutela di chi ha il diritto di migrare e di chi ha diritto a vedersi riconosciuto lo status di rifugiato. Il diritto ad emigrare dal proprio paese, ci ricorda la Dottrina sociale della Chiesa, non è affatto un diritto assoluto, ossia un diritto ad entrare in ogni caso in un altro paese. E resta comunque il dovere dei singoli governi di regolare il flusso immigratorio.
Altra confusione è tra chi è profugo o perseguitato e chi invece migra per ragioni economiche. Nel primo caso c’è un diritto ad essere accolti, nel secondo no. È evidente che Cei e alcune Ong cattoliche vorrebbero vedere superate queste distinzioni e pretendere l’accoglienza per tutti senza se e senza ma, ma è una posizione che oltre a non trovare fondamento nella Dottrina sociale della Chiesa, va contro la ragione. È stato stimato che potenzialmente, per ragioni economiche, solo dall’Africa subsahariana potrebbero muoversi verso l’Europa cento milioni di persone nei prossimi dieci anni. Chi, con un minimo di sale in zucca, può pensare che sia ragionevole incentivare un movimento del genere?
Inoltre, cominciare a fare delle distinzioni è già il primo passo per risolvere i problemi. Non per niente sono anni che da queste colonne invitiamo a creare delle aree franche in Libia, sotto il controllo dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) per istituire lì dei centri per distinguere chi ha diritto ad essere accolto in Europa (e quindi viaggiare in sicurezza) e chi deve essere invece rimpatriato. Ora finalmente qualcuno comincia a parlarne, sebbene ancora sommessamente. Pensare che tutti i migranti siano uguali significa incoraggiare le migrazioni fino al punto da danneggiare le persone che – fuggendo da guerre o situazioni di persecuzione – hanno veramente diritto ad essere accolte.
Ad aumentare la confusione ci sono poi i dati errati. Dice monsignor Perego che «la maggior parte dei migranti che prendono il largo nel Mediterraneo lo fanno per fuggire dalle prigioni libiche, dalle violenze, dai soprusi sempre più terribili», da qui il dovere di portarli in salvo in Italia. È certo che il viaggio fino alle coste libiche non sia una passeggiata, ma esso comincia molto prima della Libia, che non è certo il paese di origine. Se guardiamo alla nazionalità di quanti sbarcano in Italia, per il 2017 abbiamo che il gruppo più numeroso (sono sempre dati Acnur) è quello dei nigeriani (14,8%), seguito da quanti arrivano dalla Guinea (9,6%), dalla Costa d’Avorio (9%) e dal Bangladesh (8,6%). Provenienze che indicano chiaramente che il motivo della migrazione, almeno nella quasi totalità dei casi, è economico. Dalla Siria, l’unico paese di partenza per cui si può parlare in generale di profughi, arrivano appena il 6,5% di quanti sbarcano sulle nostre coste.
L’arcivescovo di Ferrara afferma anche che l’azione delle Ong nel Mediterraneo permette di salvare le vite. Spiacente per il vescovo, ma la realtà contraddice questi numeri. Le vittime nel Mediterraneo hanno già raggiunto il record di 5.022 nel 2016: e dall’inizio del 2017 sono già 2.398, sempre secondo i dati forniti dall’Acnur. Numeri terribili che trovano la causa non già nella mancanza di navi sufficienti a salvare, ma proprio nella politica dell’accoglienza per tutti che incentiva le partenze, che infatti in questi anni si sono moltiplicate. Lo abbiamo già spiegato diverse volte: più le navi dei soccorritori si avvicinano alle coste libiche più gli organizzatori del traffico di esseri umani aumentano le partenze e con imbarcazioni “pericolose”, inadatte a stare in mare per troppo tempo, moltiplicando quindi i rischi per quanti si imbarcano.
Non si capisce poi perché – come pretende monsignor Perego – la presenza di militari armati a bordo delle navi delle Ong renda più difficile il salvataggio in mare. A meno che il salvataggio non implichi azioni contro la legge. E qui arriviamo al punto delle accuse di complicità per le Ong nei confronti degli scafisti. Che ci siano pesanti sospetti su contatti diretti di almeno una parte delle Ong è cronaca, visto che ci sono indagini in corso e documentazione abbondante. Ma anche se alla fine venissero escluse responsabilità dirette, non c’è dubbio che l’attività delle Ong, incentivando le partenze dalla Libia, contribuiscano in modo determinante alle attività illecite degli scafisti e di chi li manovra.
Ed è qui forse la parte più incomprensibile dell’atteggiamento di tanti ecclesiastici come monsignor Perego. La gestione del traffico di migranti è chiaramente nelle mani della criminalità organizzata internazionale che incentiva le partenze dai paesi di origine e poi gestisce e controlla il “passaggio” fino all’Italia, incassando diverse migliaia di euro per ogni clandestino. Ma allora come è possibile tuonare, come giustamente fa la Chiesa, contro il traffico di esseri umani e poi fare di tutto per favorirlo?