“Abito da sposa cercasi”; “Non ditelo alla sposa”; “Quattro matrimoni”; “Indovina
cosa sceglie la sposa”; “Il mio grosso grasso matrimonio gipsy”; “Il boss delle cerimonie””; e persino “Il Boss dei prematrimoni”.
Come illustra un articolo di Azzurra Nomei Barnuto su Libero del 27 luglio, i matrimoni impazzano in televisione in un tripudio di kitsch, cafoneria, ostentazione e cattivo gusto. E poi c’è il famoso e famigerato “Stato civile”, il programma sui matrimoni omosessuali in presa diretta che mamma rai ha trasmesso con orgoglio e con i soldi del nostro canone.
Ci si sposa, molto, persino troppo, ma solo davanti alle telecamere. È lo specchio di un mondo a gambe all’aria, in cui il divorzio dilaga e lo sfascio della famiglia pure in maniera direttamente proporzionale da un lato alla richiesta degli LGBT di equiparare le unioni contro natura al matrimoni, dall’altro alla spettacolarizzazione banalizzante di un sacramento. La gente si sposa per finta o per davvero soltanto davanti alle telecamere, fingendo trasporto ed emozione, oppure, che è peggio, provando davvero trasporto ed emozione per pagliacciate di questo genere. Perché ovviamente per il nostro mondo trash basta il “sentimento”, è sufficiente l’“amore”.
Del resto la fedeltà risulta non pervenuta. Pronti e disposti a cambiare partner come si cambia canale, la televisizzazione del matrimonio è il suggello definitivo del suo assassinio. E un popolo intero di guardoni se ne bea senza nemmeno avvertire il pudore e il buongusto di prorompere in un sacrosanto, benedetto “che schifo!”.