di Salvatore Cernuzio
su «Vatican Insider»
Definisce i “dubia” un «atto di forza e di pressioni» nei confronti del Papa da parte di coloro «che dovrebbero essere i suoi più vicini collaboratori». Alle critiche di Müller sulle sue interpretazioni aperturiste di Amoris laetitia replica laconico: «È la mia opinione, e se altri non la condividono, riguarda loro». Infine interviene sul caso del piccolo Charlie Gard, spiegando che si tratta di «una questione di giudizio prudenziale», molto «difficile» da affrontare, e risponde al quesito con un altro quesito: «Quando è eccessiva una terapia? E quando è fatta in base al sacro compito di proteggere la vita?».
L’arcivescovo di Vienna, Cristoph Schönborn, tra i cardinali più vicini al Papa, dialoga con i giornalisti che lo incontrano a Limerick, in Irlanda, dove in questi giorni prende parte insieme ad alcuni seminaristi della sua diocesi ad una serie di incontri su matrimonio e famiglia in preparazione all’Incontro mondiale delle famiglie che nel 2018 si terrà a Dublino e vedrà la presenza di Francesco.
Durante la conferenza “Let’s Talk Family: Let’s Be Family” (“Parliamo di famiglia, siamo famiglia”), il porporato, noto per le sue posizioni progressiste, non si tira indietro alle domande sui cinque dubbi (“dubia” in latino) avanzati da quattro cardinali – Burke, Brandmüller, Caffarra e il defunto Meisner – circa alcuni passaggi ritenuti ambigui dell’esortazione apostolica Amoris laetitia, in particolare quelli riguardanti la spinosa questione dei divorziati risposati e il loro accesso ai sacramenti. «Che dei cardinali, che dovrebbero essere i più vicini collaboratori del Papa, stiano cercando di fare un atto di forza nei suoi confronti e di far pressione su di lui affinché dia una risposta pubblica alla loro lettera resa pubblica è un comportamento assolutamente sconveniente», afferma Schönborn nel colloquio riportato dal giornale cattolico The Tablet. «Se vogliono avere un’udienza con il Papa, che chiedano un’udienza ma che non pubblichino di aver chiesto un’udienza».
In ogni caso rispondere ai “dubia” «è molto semplice», assicura il porporato austriaco, perché «Papa Francesco non ha mai messo in discussione i principi, perché sono principi della Bibbia e del Vangelo e dell’insegnamento di Gesù. Ma dare questa risposta non è rispondere ad ogni singolo caso e situazione con cui ci troviamo ad aver a che fare nella vita quotidiana». Francesco «aveva detto chiaramente che, nei casi concreti, dobbiamo esercitare il discernimento», ribadisce il cardinale che il Papa, sul volo di ritorno da Lesbo, aveva indicato come il giusto interprete del suo documento quale «grande teologo» ed «esperto della Dottrina della Chiesa». Per Schönborn la chiave è «esercitare la virtù della prudenza» che significa «guardare chiaramente la realtà». In merito, cita l’esortazione di Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, pietra miliare del magistero su matrimonio e famiglia da cui Amoris laetitia tra le mosse, dove è scritto che i pastori sono tenuti a discernere le diverse situazioni. È questa la strada «più proficua», anche se «meno semplice e facile», afferma l’arcivescovo, criticando gli approcci troppo “rigoristi” o “lassisti” alla questione.
Sempre in tema di Amoris laetitia, il cardinale Schönborn risponde al cardinale Gerhard Ludwig Müller, fino a 15 giorni fa prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, che la scorsa settimana sul giornale tedesco “Passauer Neue Presse” definiva «semplicemente non convincente» il contributo del collega austriaco al dibattito sull’interpretazione dell’esortazione apostolica. Specie sulle presunte aperture nei temi di matrimonio e famiglia e sugli “sforzi” per chiarire i punti più controversi seguendo un percorso tra dogma e pratica pastorale. Schönborn, interpellato a proposito, taglia corto: «È la mia opinione, e se altri non la condividono, riguarda loro».
Il cardinale si ferma invece a riflettere sul delicato caso di Charlie Gard, il neonato inglese affetto da una rara malattia genetica sul quale è in corso la discussione circa l’interruzione della ventilazione artificiale. Schönborn non commenta la legge britannica, ma ribadisce i due principi che devono essere tenuti ben presenti in situazioni del genere. Il primo è che ogni vita umana deve essere protetta e sostenuta il più possibile; il secondo, contenuto nel Catechismo della Chiesa cattolica, stabilisce che nessun medico è obbligato a praticare una terapia eroica o eccessiva o straordinaria. «È una questione di giudizio prudenziale. E può essere molto difficile. Quando è eccessiva una terapia? E quando è fatta in base al sacro compito di proteggere la vita?», si chiede l’arcivescovo.
E risponde alla domanda se un trattamento eccessivo possa essere supportato: questo deve essere deciso caso per caso, afferma. Lo stesso Wojtyla aveva detto che a un certo punto sarebbe venuto il momento di staccare le macchine che lo mantenevano in vita e di lasciarlo andare. «Ha potuto prendere questa decisione lui stesso, per lasciare che la natura facesse il suo corso». Non bisogna allora farsi assalire dalla fretta di dover prendere una decisione, conclude Schönborn: «Per emettere un giudizio prudenziale, si deve considerare ogni elemento della decisione».