Dal punto di vista naturalistico, il Canada è uno dei paesi che più ricorda il paradiso terrestre, ricco com’è di laghi, boschi, fiumi, località amene e suggestive. Mary Jean Martin però non si è mai illusa di vivere in un mondo idilliaco, senza sofferenza e miserie, e nella sua trentennale carriera di infermiera ha incontrato molti anziani e malati che le hanno chiesto di morire. Da cattolica praticante qual è, in un paese sempre più secolarizzato, questa donna di 59 anni non ha mai reagito scandalizzandosi di chi vede nella morte un’ultima speranza per porre fine a un dolore e una solitudine ritenuti ormai insopportabili. Al contrario, ha raddoppiato le visite a domicilio di questi pazienti, li ha ascoltati, ha condiviso con loro i problemi di ogni giorno, ha offerto cure palliative e trattamenti specialistici insieme alla comprensione umana. «E sa che cosa succedeva ogni volta? Dopo un po’ non chiedevano più di morire. Il bisogno di essere uccisi spariva. Io credo che il suicidio sia la più grande richiesta di aiuto che ci sia e ogni tentativo nasconde un solo grido: “Salvatemi”». Mary Jean, rispondendo alla sua vocazione di infermiera, si è sempre caricata sulle spalle anche queste radicali richieste di aiuto ma nel giugno del 2016 tutto è cambiato.
In questa data il Canada ha legalizzato l’eutanasia, approvando una delle leggi più liberali al mondo, e in aprile ha inserito il servizio tra i trattamenti disponibili a domicilio. È allora che a Mary Jean, manager incaricata di coordinare l’assistenza domiciliare in Ontario, è stato chiesto di gestire l’erogazione del servizio e quando lei ha rivendicato il suo diritto all’obiezione di coscienza è stata licenziata. Quando la “buona morte” è stata legalizzata in Canada con il fondamentale aiuto della Corte Suprema, Mary Jean non immaginava che avrebbe mai toccato la sua carriera e la sua vita personale. «Ero convinta che le iniezioni letali sarebbero state somministrate in cliniche specializzate, un po’ come accade per l’aborto», spiega a Tempi. «Quando invece è stata inserita tra i trattamenti a domicilio sono rimasta davvero sorpresa». Lavorando da anni come manager e non più sul campo in seguito a una promozione, nessuno avrebbe chiesto a Mary Jean di aiutare materialmente un medico a uccidere i pazienti. Ma in qualità di coordinatrice avrebbe dovuto dare il suo contributo: «Sarei stata pienamente coinvolta nel processo, spiegando ai pazienti di che cosa si trattava, quali erano le loro possibilità e come ottenere il servizio. Avrei dovuto farmi carico delle richieste e coordinare il personale disposto a somministrare il farmaco letale. Sarei stata insomma un anello importante della catena, mentre io non volevo avere niente a che fare con questo sistema di morte».
La violazione della libertà
Così si è rivolta al suo direttore e al sindacato, motivando l’intenzione di ricorrere all’obiezione di coscienza. Scoprendo che per lei non era previsto niente del genere: «Mi hanno risposto che il diritto all’eutanasia viene prima delle mie credenze personali e che non potevo estraniarmi dal processo, ormai previsto dal sistema sanitario», continua. «Avrei dovuto rispondere alle richieste dei pazienti non secondo ciò in cui credo, ovviamente, ma seguendo la “politica aziendale”». Proprio in quei mesi il sistema sanitario dell’Ontario è rientrato tra le agenzie statali dipendenti direttamente dalla Corona e di conseguenza anche Mary Jean è diventata una funzionaria statale. «Mi hanno chiesto di firmare due giuramenti: uno di fedeltà verso la Corona (il Canada è una monarchia costituzionale sotto la regina Elisabetta II, ndr) e un altro di fedeltà verso le leggi dello Stato, eutanasia compresa. Io ho spiegato al mio direttore che non potevo sostenere l’eutanasia e che non avrei mai applicato la legge. Lui è stato gentile e mi ha risposto che allora potevo considerare il mio licenziamento automatico. E così è stato».
Da giugno Mary Jean si è ritrovata disoccupata. E anche se non si è ancora ripresa, non ha dubbi sulla sua decisione: «Io sono cattolica e credo con tutto il mio cuore che l’eutanasia non sia semplicemente sbagliata, ma anti-umana. È contraria alla legge divina e naturale, ma anche positiva. Il cuore della medicina, infatti, consiste nell’aiutare i più deboli e vulnerabili, nell’assisterli, non nell’eliminarli. Il giuramento di Ippocrate dice chiaramente che il medico non può arrecare intenzionalmente un danno al paziente e questo vale anche per gli infermieri. Ho scritto al ministro della Giustizia e della Sanità per protestare e loro mi hanno risposto che a livello di azioni non mi era richiesto niente. Ma anche semplicemente parlando con i pazienti avrei avuto un ruolo importante e io non voglio fare parte di questo processo».
La violazione della libertà
Il caso di Mary Jean, uno dei primi al mondo per quanto riguarda le conseguenze del conflitto tra eutanasia e libertà di coscienza, non è passato inosservato. L’infermiera ha ricevuto migliaia di messaggi di sostegno, anche da parte di colleghi favorevoli alla “buona morte”. Un gruppo di avvocati si è offerto di difenderla gratuitamente in un’eventuale causa per discriminazione religiosa contro lo Stato, ma lei ha declinato. E non perché non si senta discriminata.
Sposata con tre figli, tutta la famiglia ha fatto molti sacrifici perché lei potesse intraprendere la carriera infermieristica a 30 anni. Anche per questo, da una grande città si sono trasferiti a Palmer Rapids, una piccola comunità immersa nella natura dove molte case non hanno neanche l’acqua corrente. «Io mi sento discriminata al 100 per cento. Il nostro paese è sempre stato inclusivo e libero, ha sempre rispettato tutti e improvvisamente taglia fuori chi si rifiuta di uccidere. La discriminazione ormai è una politica governativa ma io so che non avrei la forza emotiva di affrontare un processo con tutto il clamore che ne deriva».
Questo non significa che non ritenga necessario battersi per cambiare le cose. «L’anno prossimo abbiamo le elezioni provinciali», ragiona, «e nel 2019 quelle federali. Dobbiamo renderci conto di dove ci stanno portando questi governi liberali, non si può più votarli. Ora violano la libertà religiosa ma è solo il primo passo, domani altre libertà saranno eliminate in modo progressivo. Ma anche se si fermassero qui, non può esistere una democrazia senza libertà religiosa e so che se non ci opponiamo adesso, quando ancora abbiamo la libertà di espressione, domani ce ne pentiremo amaramente. In Olanda e Belgio già molti pazienti vengono uccisi con l’eutanasia anche se non vogliono. Molti medici stanno già protestando da noi e penso che questa sia la strada giusta».
Ammazzare per risparmiare
Il 3 luglio si sono concluse le celebrazioni per il 150esimo anniversario della Confederazione del Canada, ma Mary Jean, nata e cresciuta sotto la bandiera dell’acero rosso, non ha festeggiato: «Un tempo ero orgogliosa del Canada ma ora non lo sono più. Non posso festeggiare un paese che uccide i suoi malati per risparmiare sul costo della sanità invece che assisterli. Davanti al mio caso, anche molti miei colleghi hanno cambiato idea. Dicono: “Mary Jean è stata licenziata solo perché non vuole uccidere. È davvero questo che vogliamo dalla nostra società?”».
Ora per l’infermiera si apre un futuro incerto. A breve compirà 60 anni e deve trovarsi un altro lavoro perché «non sono abbastanza benestante da potermi permettere di non lavorare». Ma non è facile. «Mi mancano ancora un po’ di anni alla pensione e quando hai una certa età è difficile ripartire. Soprattutto se, come me, eri felice del tuo lavoro e fiera della tua carriera», racconta con un filo di voce, come cercando un appiglio per la sua speranza. «Non so che cosa farò, sto ancora soffrendo per quello che è successo. Mi chiedo perché Dio mi abbia condotto su questa strada e prego per capire che cosa devo fare. Ma prego anche per il Canada: da tempo abbiamo voltato le spalle a Dio e questo atteggiamento si sta rivoltando contro di noi. Per il 150esimo anniversario i vescovi hanno riconsacrato il Canada al cuore immacolato di Maria. Sinceramente, credo sia la nostra unica speranza».