articolo anonimo
dal blog di Costanza Miriano
Ore 7.40, agenzia delle entrate. Fuori dall’edificio, tu e una palla di spine che rotola. Dentro, la fila. Però ce l’hai fatta, hai stirato le divise alle 5, hai evitato di litigare con tuo marito occasionalmente reincarnato in un bradipo, hai portato i bambini a scuola prima che sorga il sole e arrivi la bidella, e sei li prima che apra, tu e solo altre 40 persone prima di te.
Devi registrare il contratto di comodato d’uso per la sede del Cav. All’attivo, la settimana precedente, 2 ore nette di coda per sentirsi dire infine che manca un allegato e va tutto rifatto. Era la terza volta che si rinnovava quel contratto: quel cedolino non era mai stato richiesto. Ora sei li, di nuovo, in anticipo: hai tutto, delega, modulo, timbro, certificazioni, fotocopia e originale dei documenti, cedolino inutile, tutto. Non sei tranquilla però. E infatti stavolta non ti vogliono nemmeno dare il numeretto al desk dell’accoglienza: perché non hai pagato i 200 euro canonici.
Non servono, siamo una onlus, non li abbiamo mai pagati, non li dobbiamo pagare. Ma l’impiegata chiama in soccorso due colleghi che la rafforzano nella convinzione. Pietisci , perché veramente ti sta venendo da piangere, e ottieni dopo un po’ che uno dei convenuti dia di gomito al collega ghignando: “Oh, dalle sto numeretto, che poi la rimbalzano tra due ore allo sportello”.
Storia di ordinaria agenzia delle entrate nella vita di una volontaria di un Centro di Aiuto alla Vita.
Tutto normale. Come le volontarie.
Che sono donne che hanno un lavoro, o quattro figli; donne che hanno un lavoro e quattro figli. Donne sole con troppo tempo a disposizione o troppo poco; con una madre rompiscatole o dei problemi economici. Hanno acciacchi d’età , o un marito logorroico. Sono prigioniere del traffico o di un impiego monotono. Hanno una malattia o sono solo stanche, sono in mezzo a un divorzio o hanno perso dei figli.
Sono quindi donne assolutamente normali, come ovunque, le volontarie di un Cetrno di Aiuto alla Vita. Che scoperta.
Per dire: non è che ci guadagnano a fare quel che fanno. Non è che si svagano. E se qualcuno lo faceva per svago, dopo qualche anno, se è ancora li, non si svaga più, per niente.
Non è che ci provano gusto a rispondere al telefono alle tre di notte, a preparare vestitini per qualcuno che poi farà il difficile, a cercare parcheggio per andare dal commercialista per il bilancio della onlus, a uscire una domenica di luglio alle due per andare a incontrare una donna che poi non si presenterà. Non è che si sentono gratificate dalle bugie inspiegabili di chi avrebbe bisogno di aiuto, dalle promesse fasulle, dalle minacce di denunce, dalle donne che abortiscono per motivi che sembrano assurdi e invece devi accogliere ascoltare comprendere.
Se lo fanno è perché hanno incontrato con chiarezza una semplice verità: se si può uccidere il bambino nel grembo materno, non c’è limite al peggio. Cercano di salvare i bambini dall’aborto perché così salvano anche le loro mamme. E visto che fanno ormai troppa fatica a sperare in un futuro buono per i loro figli, vogliono almeno mostrar loro nei fatti ciò per cui val la pena lottare: perché l’uomo resti uomo e non bestia.
E’ per questo che donne normali fanno fatiche normali, e non si lamentano. L’ha detto Gesù che siamo servi inutili, e del resto basta l’esperienza, lo dicono i fatti. Se una storia finisce bene è perché una mamma ha trovato in se la forza di andare avanti, e non gliel’hai data tu. Se non mancano i soldi è perché qualcuno è stato generoso. Tu al massimo dirigi il traffico, e assisti a volte a meraviglie, a volte ad orrori. Ti barcameni coi tuoi limiti e stai li perché ne vale la pena.
Poi ti nominano un abortista alla pontificia accademia per la vita.
Non volevi aiuto dai rappresentanti della chiesa, non volevi soldi, un magazzino più grande, propaganda alle iniziative, vescovi pilota. Volevi la certezza che pensassero “vai avanti così che vai bene, e che sia a chiaro a tutti”. Solo quello. E – sarà lo specchio deformante del giornalismo, le voci che corrono più in fretta dei fatti, non so. Però ci sono riusciti a far passare esattamente il contrario .
Altro che servi inutili. Inutili e basta. Che ci stiamo a fare qui?
Chi si riempie la bocca col ruolo della donna nella chiesa, che la vuole sacerdote, diaconessa e predicatrice , dia retta alle donne una buona volta. Le ascolti, guardi quello che fanno nel piccolo, da madri, lottando contro una mentalità di morte con radici durissime, che da queste uscite esce solo più spavalda e rafforzata. E francamente non importa se era al di là delle intenzioni.
Li porterei all’agenzia delle entrate un paio d’ore, questi accademici, tra l’alba e l’appuntamento per ritirare le analisi dall’altra parte di Roma, che ci vuole coraggio anche solo per questo; figuriamoci per parlare con amore a chi ha in mano il potere di spegnere una vita piccola e meravigliosa.
Anche perché un impiegato disinformato e confuso alla fine lo domi (volontaria –agenzia entrate uno a zero; ma la coscienza disinformata e confusa di chi si trova nella difficoltà di una gravidanza difficile e indesiderata, che nell’aria respira solo giustificazioni per rimanere nella nebbia ottusa della sua confusione, rischia di essere davvero impenetrabile.