Come ogni episodio storico, non può mancare un’accusa alla Chiesa di aver sfruttato l’occasione per aiutare la fuga anche dei criminali nazisti, la cosiddetta rat-line (“la via del topo”), che collegava l’Europa con il Sud America.
Polemica tornata sui media recentemente da parte dello scrittore Carlo Martigli, che ha retoricamente domandato al prelato genovese Tarcisio Bertone di far luce sui «rapporti tra la Curia genovese e i nazisti in fuga all’indomani della fine della II Guerra Mondiale». In particolare sotto accusa è stato messo il card. Giuseppe Siri, sospettato di aver sostenuto il sacerdote croato Carlo Dragutin Petranovic, ex cappellano militare delle milizie ustascia, a sua volta sospettato di distribuire passaporti falsi ai nazisti.
Un’inchiesta storica, forse Martigli non lo sa, è già stata effettuata dal prof. Pier Luigi Guiducci, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Lateranense. Nel volume Oltre la leggenda nera (Mursia 2015) -da noi recensito nel maggio 2016– lo storico ha dedicato un intero capitolo alla questione genovese (pp. 172-196). Usando come fonti i contributi di altrettanti colleghi (Bricarelli, Brizzolari, Lai, Macciò, Scavo, Sorani ecc.; le carte di Boetto, Repetto, Siri, Teglio e Valobra; le testimonianze ritrovate negli archivi croati; l’autobiografia dell’ex ufficiale nazista Priebke e altro, Giuducci ha descritto gli anni dopo il crollo del regime tedesco, «il caos alle frontiere italiane, perché quasi tutti i rifugiati non avevano documenti e non potevano provare la propria identità».
Quel che Martigli e gli accusatori dimenticano è innanzitutto la grande opera di assistenza che la Curia genovese operò verso gli ebrei in fuga. Già nel 1943, scrive Guiducci, «molti parroci liguri furono i primi ad accoglierli cercando di dare loro una aiuto». Don Raimondo Viale, ad esempio, «grazie all’aiuto ricevuto dalla diocesi di Torino e di Genova, salvò molti ebrei» tanto che nel 2000 gli è stato conferito il titolo “Giusto tra le nazioni”. Assieme a lui anche il card. Pietro Boetto -a sua volta premiato da Israele- che si alleò con l’Assistenza degli Emigranti Ebrei (DELASEM) e ne nascose il presidente, Lelio Vittorio Valobra, e diversi ebrei in case religiose, producendo documenti falsi, anche grazie al segretario di Boetto, don Francesco Repetto, don Bruno Venturelli e decine di sacerdoti genovesi, tanto da formare una «catena di solidarietà». Aiuto fu dato anche ai genovesi, vittime del bombardamento del 1941: nel ’45 mons. Giuseppe Siri raggiunse perfino i partigiani di Rocchetta Vara (La Spezia) convincendoli a lasciar passare gli aiuti alimentari, in quanto temevano fossero destinati ai nazifascisti. Li convinse e le derrate arrivarono a Genova e furono distribuite alla popolazione genovese.
Il successore di Boetto fu proprio il card. Siri, che fondò l’istituzione Auxilium per sostenere le famiglie genovesi in difficoltà ed intensificò «il supporto clandestino agli ebrei perseguitati da nazifascisti», chiedendo però regolari processi per gli ex fascisti ed opponendosi alle esecuzioni sommarie. La situazione era delicata in quanto -scrive lo storico Guiducci- era noto che «criminali di guerra sotto falso nome si erano mischiati tra i profughi. Al riguardo, né le autorità italiane, né il centro della Croce Rossa, né la delegazione argentina, né gli Alleati, dimostrarono una particolare severità in materia di imbarchi. In questo affollamento caotico e attraverso il mercato di identità false, i criminali di guerra nazisti e croati riuscirono a far perdere le proprie tracce a Genova. In molti casi non si trattò neanche di contraffare la documentazione, ma di riceverne una nuova dalla Croce Rossa, dichiarando di aver perso quella vecchia e facendo testimoniare amici o camerati compiacenti»:
E’ in questo contesto che alcuni hanno accusato mons. Giuseppe Siri di aver protetto tali criminali di guerra. Sotto attenzione c’è il rapporto, citato da Martigli, con il prete croato Petranovic. Lo stesso Siri smentì le accuse, come citato da Benny Lai nel libro Il Papa non eletto. Giuseppe Siri, cardinale di Santa Romana Chiesa (Laterza 1993). Lo stesso ha fatto il suo vicario Giovanni Cicali: «Come si fa a sostenere una simile bugia? Siri era sicuramente un fiero antinazista, perseguitato per questo», disse nel 2003 Cicali. «Era l’allievo prediletto del cardinale Minoretti, nemico giurato di Mussolini, che non venne a Genova fino a quando si insediò Boetto, perché sapeva che l’arcivescovo suo predecessore era antifascista». Le più recenti indagini confermano tutto questo, spiega il prof. Guiducci.
L’archivio Storico Diocesano di Genova, ad esempio, conserva dei fascicoli relativi proprio a Petranovic, in particolare sue lettere indirizzate all’arcivescovo Siri. In esse (datate 1948), il prete croato si lamenta con l’arcivescovo per la sua proibizione ad ospitare profughi croati al convitto ecclesiastico ma le lettere rivelano ben altro. Innanzitutto, osserva lo storico Guiducci, «Petranovic non poteva vantare alcuna delega o autorizzazione specifica da parte della Chiesa genovese per il suo operato. Ne fa fede il fatto che debba presentarsi e raccontare tutta la sua storia. Inoltre, Petranovic non era ben conosciuto da Siri e tanto meno ne godeva il credito. Sono così smentite le affermazioni di autori che insistono a presentarlo protetto da raccomandazioni di prelati e autorizzato a viaggiare con macchine della Curia. Non sembra nemmeno che il Petranovic godesse nel clero genovese di particolari appoggio e simpatia, non fa infatti riferimento a conoscenze e si lamenta, anzi, del permanere di pregiudizio nei suoi confronti».
Infine, il segretario del cardinale Siri, mons. Mario Grone, ha testimoniato di non aver mai sentito o visto nulla di simile, neppure di aver carpito qualche confidenza privata su «un’attività diretta o indiretta della Curia genovese a favorire, scientemente, il transito dei criminali nazisti in fuga verso l’America meridionale. Devo ritenere che ciò non sia ai accaduto, giacché il cardinale ha sempre manifestato la massima confidenza nei miei confronti. Infine, come ordinatore, dopo la morte del cardinale, del suo archivio personale, posso attestare che non ho trovato alcuna traccia nella corrispondenza in merito a tale argomento».