Il termine “leggenda nera” indica un filone letterario di propaganda storica contro la Spagna, in particolare verso il colonialismo e l’Inquisizione, nato in ambienti del protestantesimo e dell’illuminismo.
Recentemente la storica Maria Elvira Roca Barea, a lungo docente presso l’Università Harvard e collaboratrice del Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica spagnola, ha pubblicato il libro Imperiofobia y Leyenda Negra (Siruela 2016), in cui ha replicato ai principali miti promossi dalla cosiddetta hispanophobia.
Intervistata da El Mundo, la ricercatrice ha parlato anche dell’Inquisizione spagnola: «In Spagna la persecuzione delle streghe era qualcosa di molto insolito. Soprattutto se si considerano le persecuzioni di massa dei protestanti, causa di migliaia di esecuzioni per stregoneria senza alcun processo legale». Oggi l’Inquisizione, dopo la propaganda illuminista e protestante, è sinonimo di paura e terrore, invece «era un sistema di controllo per reati quali lo sfruttamento della prostituzione, la pedofilia, la violenza sessuale, la contraffazione». Inoltre, «dal 1560 al 1700 solo 1.300 persone sono state condannate a morte, sia per questioni religiose sia per reati gravi. Ad esempio un ragazzo è stato condannato a Valencia per stregoneria, in quanto c’erano prove concrete che avesse ucciso diversi bambini».
Parlando di numeri, occorre sottolineare che «nei 20 anni che Calvino visse a Ginevra, fece uccidere 500 persone in una città di 10.000 abitanti. E oggi gli è stata eretta una statua. Oppure bisogna considerare le migliaia di persone condannate a morte nei primi anni del del regno di Elisabetta I d’Inghilterra». Tornando in Spagna, ha proseguito la storica, «l’Inquisizione offriva maggiori garanzie per l’imputato. In realtà, il diritto processuale del mondo cattolico deve molto all’Inquisizione perché ha istituito un sistema giudiziario che prevedeva l’istruttoria dei casi, i giudici, gli avvocati della difesa ecc.».
Maria Elvira Roca Barea ha citato numerosi altri lavori pubblicati in questi anni, in particolare dagli storici Gustav Henningsen e Jaime Contreras (il primo ha pubblicato anche in Italia il suo studio, intitolato L’avvocato delle streghe. Stregoneria basca e Inquisizione spagnola, Garzanti 1990). Il ricercatore danese Henningsen, in particolare, ha valutato che tra il 1540 e il 1700, le condanne a morte sono state emesse dall’Inquisizione spagnola nel 3,5% dei casi, ma soltanto l’1,8% dei condannati sono stati effettivamente uccisi. Per lo storico britannico Geoffrey Parker, invece, docente presso la Ohio State University, il numero di vittime sarebbe di circa 5.000 durante i 350 anni dell’Inquisizione corte, che rappresentano il 4% di tutti i processi avviati. Numeri decisamente più modesti del mito illuminista.
Durante questi 350 anni di storia, l’Inquisizione spagnola non è stato certo l’unico sistema giuridico presente, o quello più violento. Lo storico britannico Henry Kamen ha dimostrato che confrontando le statistiche sulle condanne a morte dei tribunali civili e inquisitoriali tra i secoli XV e XVIII in Europa, per ogni cento condanne a morte emesse dai tribunali civili, l’Inquisizione ne ha emesso una soltanto. E’ celebre il suo libro The Spanish Inquisition: A Historical Revision (Yale University Press 1999), definito sul New York Times dallo storico Richard L. Kagan «in generale il miglior libro sull’Inquisizione spagnola sia per la sua portata che per la sua profondità delle informazioni». In esso Kamen ha dimostrato che la tesi secondo cui l’Inquisizione era un’onnipotente ente di tortura è un mito del 19° secolo, mentre si è trattata di «un’istituzione sottodimensionata, i cui tribunali erano sparsi e avevano solo una portata limitata e i cui metodi erano più umani rispetto a quelli della maggior parte dei tribunali secolari. La morte sul fuoco, inoltre, era l’eccezione, non la regola».
Anche per quanto riguarda la tortura, il ricorso da parte dell’Inquisizione avvenne in rare occasioni, sempre sotto la supervisione di un inquisitore che aveva l’ordine di evitare danni permanenti, spesso con la presenza di un medico. Anche in questo caso in contrasto con la tortura selvaggia praticata dall’autorità civile. Il più recente testo pubblicato in lingua italiana che consigliamo di visionare a chi volesse andare oltre al pregiudizio anticlericale su questa tematica, è Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura (Carocci 2013), dello storico Christopher Black, di cui abbiamo già parlato (recensito anche dalla storica Marina Montesano).
Esistono anche diversi storici italiani impegnati contro la “leggenda nera”, come il laico Adriano Prosperi, Agostino Borromeo e Andrea Del Col. Proprio quest’ultimo, docente di Storia presso l’Università degli Studi di Trieste, all’inizio del suo libro L’Inquisizione in Italia (Mondadori 2009), ha tenuto a precisare: «Il volume è privo di immagini. La scelta è deliberata e ha una motivazione culturale: le immagini di interrogatori, torture, autodafè e roghi sono in genere posteriori ai fatti e risultano spesso condizionate dalla leggenda nera […]. Molte cifre macroscopiche provengono dalle correnti anticlericali del XIX secolo che cercavano con ogni mezzo di porre in cattiva luce l’operato della Chiesa. E’ ragionevole credere che il numero dei condannati si aggiri intorno a qualche migliaia». Questo, ha proseguito lo storico, lascia molti basiti perché «questa istituzione dalla fama sinistra non è più rappresentata nelle ricerche originali recenti come assolutamente violenta, e gli inquisitori non appaiono più assetati di sangue e di sesso. Risulta infatti da questi studi che l’Inquisizione non fu sanguinaria come si credeva» (p. 14, 66-67).