La droga è uno dei grandi problemi di oggi, con circa un terzo dei giovani italiani che nella vita ha fatto uso di una sostanza illecita tra cannabis, cocaina, eroina, allucinogeni e/o stimolanti (Libro Bianco sulla Droga, 2016).
A remare contro una sana politica di prevenzione, tuttavia, gioca un ruolo assolutamente negativo l’idea (sbagliata) postsessantottina per cui esisterebbero droghe “leggere”. No, la droga è droga sempre e le conseguenze fisiche e psicologiche legate al suo consumo non vanno affatto sottovalutate.
Nei mesi scorsi ProVita Onlus si è apertamente schierata contro il ddl Giachetti (firmato da altri 238 suoi colleghi) e contro l’iniziativa dei Radicali di novembre: legalizzare la cosiddetta “droga leggera” è un errore che un Paese civile non deve commettere, perché non rappresenta una tutela per i cittadini e non fa altro che aumentarne il consumo. La nostra rivista di novembre è, in tal senso, molto chiara.
La posizione proibizionista, tuttavia, non è ben vista, nonostante i dati – anche italiani – ci dicano che questa sia l’unica strada possibile. Dire un chiaro «No», senza eccezioni.
Ora arrivano dall’Islanda importanti conferme rispetto alla validità di questa posizione: nell’isola, infatti, con un lavoro congiunto tra famiglie, Stato e istituzioni scolastiche e ricreative si è riusciti a invertire nettamente il senso di marcia.
Tutto è nato da una tesi di dottorato realizzata da Harvey Milkman, professore di psicologia americano che oggi insegna all’università di Reykjavik. «Lo studio di Milkman concluse che le persone consumano eroina o anfetamine a seconda della loro predisposizione nella gestione dello stress. Chi usa l’eroina vuole ottenere un effetto di stordimento, chi assume anfetamine cerca un effetto contrario. Mentre l’alcol è sedativo».
Ecco quindi che viene elaborata un’alternativa: trovare delle attività alternative, salutari, che fossero in grado di ottenere nel cervello lo stesso effetto di “sballamento” della droga.
Il programma anti-droga islandese, denominato “Youth in Iceland”, iniziò ufficialmente nel 1992. All’epoca il 25% dei giovani islandesi fumava ogni giorno, mentre il 40% si era ubriacato l’ultima volta appena un mese prima. Dati allarmanti.
Dai questionari preliminari emerse tuttavia un dato interessante: i giovani che praticavano uno sport e che avevano un buon rapporto con i loro genitori erano meno inclini a fare uso di droga.
Si decise quindi di puntare su questi aspetti: passare del tempo di qualità in casa; aumento delle attività sportive e artistiche, anche con incentivi statali per i meno abbienti; modifica delle leggi: via le pubblicità di bevande alcoliche e fumo, divieto di acquisto di sigarette per i minori di 18 anni e di alcol per i minori di 20 anni; infine, ai ragazzi tra i 13 e i 16 anni fu imposto il coprifuoco alle 10 di sera in inverno e a mezzanotte d’estate.
I risultati sono sorprendenti: «Tra il 1997 e il 2012 raddoppiò il numero degli adolescenti che praticava sport quattro volte a settimana e che trascorreva più tempo con i genitori. Di pari passo crollò la percentuale di ragazzi che assumevano alcol e droghe».
L’Islanda, con il programma di recupero “Youth in Iceland“, è dunque riuscita nel suo intento. Nessuno Stato ha però il coraggio di seguirla. Ma ai giovani… qualcuno ci pensa?
Fonte: Agi.it