Monsignor Marcelo Sánchez Sorondo è Cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, organismo che, come veniva ricordato da queste colonne un paio di giorni fa, ospiterà un discusso simposio dal titolo “Come salvare il mondo naturale da cui dipendiamo”. Mons. Sorondo è cattedratico di fama internazionale formatosi alla scuola artistotelico-tomista che può vantare decine e decine di pubblicazioni. Innumerevoli sono gli incarichi da lui ricoperti, tra cui essere uno dei membri del Comitato etico della Fondazione Veronesi. Ben venga la presenza di autorevoli prelati in comitati etici ed organismi laici, anzi nel caso di specie laicissimi, al fine di fare la differenza, di spostare l’ago della bilancia verso il bene magari solo facendo ostruzionismo, ma questo ovviamente non deve portare a porre la propria firma a documenti contrari alla dignità della persona.
Numerosi sono i pareri del Comitato etico come i “Decaloghi” da esso pubblicati, cioè una elencazione di diritti per alcune categorie di pazienti (ma c’è anche il “Decalogo dei doveri di tutela verso gli animali da compagnia da parte dei proprietari o detentori”). In merito ai pareri Mons. Sorondo si è astenuto dalla votazione nel caso della maternità surrogata e dell’eutanasia. Non siamo riusciti a recuperare il regolamento del Comitato etico e quindi ci domandiamo se oltre all’approvazione e all’astensione il Comitato conceda la possibilità anche del voto contrario.
Il parere invece sul testamento biologico del 2015 ed aggiornato nel 2016 è stato approvato all’unanimità, quindi anche dal Cancelliere Sorondo. Innanzitutto il Comitato mette al centro “il principio per cui ognuno è libero di scegliere se e come ricevere le terapie o altri interventi sul proprio corpo”. Tale libertà, si legge nel documento, si estende fino al rifiuto di terapie salvavita. In punta di diritto tale enunciato è ahinoi valido, ma non pienamente condivisibile sul piano etico. Occorre infatti ricordare che la morale naturale e la Chiesa cattolica condannano il suicidio, non solo attivo ma anche perpetrato tramite il rifiuto di cure salvavita. A rovescio esiste quindi un dovere morale di vivere. Dovere che – come tutti i doveri affermativi – è contingente, quindi non assoluto (non vale sempre e comunque) e che dunque non può sfociare, ad esempio, nell’accanimento terapeutico per i pazienti terminali (caso però che esula dalle terapie salvavita): mi sottopongo ad una terapia costosissima e molto dolorosa per aggiungere alla mia esistenza pochi giorni di vita. In buona sostanza al di fuori del caso della non proporzionalità delle terapie e di rifiuto di terapie salvavita per un oggettivo bene maggiore la persona ha il dovere morale di vivere. Questo principio non è enunciato nel parere.
Il Comitato etico continua affermando che “a fronte di questa discrepanza tra la necessità morale di rispettare l’autonomia decisionale di ognuno e l’impossibilità pratica di ottenere in alcune circostanze il consenso o dissenso informato di una persona, la soluzione che è stata individuata consiste nel fare ricorso a un documento contenente le proprie dichiarazioni anticipate di trattamento”. Tale strumento, indicato con il nome di testamento biologico, si auspica possa ricevere anche veste giuridica e, si aggiunge, anche se oggi è privo di vincolatività legale i testamenti già redatti e quelli futuri dovrebbero/dovranno essere rispettati. Quindi sebbene non ci sia una legge apposita che obbliga il medico ad adempiere i desiderata del dichiarante dobbiamo comportarci come se questa legge fosse già vigente. Notevole.
Proseguiamo nell’analisi del parere. Il dichiarante nel testamento biologico – nella redazione del quale l’ausilio del medico è meramente eventuale – può prevedere in caso di sua incoscienza il rifiuto anche di terapie salvavita. E quindi come da vigile attualmente la disciplina del consenso informato permette al paziente di rifiutare terapie salvavita, così il testamento biologico dovrebbe permettere medesima facoltà anche al paziente in stato di incoscienza. Il medico avrebbe il dovere di rispettare questa decisione contenuta nelle dichiarazioni anticipate. Quindi si legittima l’eutanasia omissiva – il medico aderisce alla volontà del paziente di morire tramite il rifiuto delle cure – sia quando questi è cosciente (eventualità già permessa dal nostro ordinamento) sia quando è incosciente (ipotesi ad oggi non legittima).
Non solo poi per il Comitato etico si possono rifiutare le terapie, ma anche i mezzi di sostentamento vitale come idratazione e alimentazione che di per se stesse non sono rifiutabili per il nostro ordinamento giuridico.
Che il testamento biologico possa essere anche usato come strumento di morte lo si comprende indirettamente dal rimando che il parere compie a favore dell’obiezione di coscienza del medico, tra l’altro esemplificando proprio sul rifiuto di alimentazione e idratazione. Se il testamento biologico fosse mezzo utile solo per scopi moralmente leciti perché chiamare in causa l’istituto dell’obiezione di coscienza?
Oltre ai rilievi morali già segnalati, ci sono anche aspetti contingenti che ci portano a dire che lo strumento del testamento biologico fa acqua da tutte le parti. Numerosissimi sono gli studi a questo riguardo (tra i molti segnaliamo una revisione di centinaia e centinai di studi scientifici: R. Puccetti, M.C. Del Poggetto, V. Costigliola, M.L. Di Pietro, Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT): revisione della letteratura, in Medicina e Morale, a. LXI (maggio-giugno 2009), n. 3). In primis la possibile fluttuazione nel tempo delle determinazioni contenute nel testamento biologico. Ciò a dire che le volontà cristallizzate in questo documento possono apparire successivamente inattuali perchè superate da nuove determinazioni assunte dal paziente.
Ergo non è da escludersi che il paziente che abbia perso coscienza, al verificarsi di alcune situazioni comunque già previste nel testamento biologico, potrebbe mutare di giudizio se fosse vigile, contraddicendo in tal modo la ratio della disciplina del consenso informato. La rivedibilità nel tempo del testamento biologico, attuata per rimediare a questa mutevolezza di giudizio, trova un duplice inciampo. In primo luogo lo stato di incoscienza può essere imprevisto (es. un incidente stradale), impedendo così una programmata revisione del testamento. In secondo luogo il paziente non sempre è cosciente di aver mutato parere rispetto alle volontà contenute nel testamento con la conseguenza che non sentirà l’esigenza di aggiornarle. L’inattualità inoltre si declina come possibile incoerenza tra il trattamento indicato nel testamento biologico e il quadro clinico poi realmente concretatosi. Infine le dichiarazioni anticipate possono incentivare la malpractice clinica. Per tutte queste ragioni ed altre ancora la disciplina del consenso informato prevede che il rifiuto delle terapie debba essere attuale. Il testamento biologico quindi entrerebbe in rotta di collisione con la normativa attualmente vigente.
Un secondo possibile difetto dei testamenti biologici interessa la fedeltà tra contenuto delle medesime e i desiderata del paziente. Tale fedeltà può essere inficiata dalla non corretta comprensione da parte del dichiarante della natura dei trattamenti terapeutici, della loro efficacia e delle condizioni cliniche (in primis il quadro patologico) in cui questi verranno applicati, eventualità tutt’altro che infrequente. La qualità della comprensione non migliora in modo determinante con l’ausilio del medico. Senza poi tener conto che le scelte inserite nel testamento biologico sono sensibilmente influenzate sia dalla modalità di redazione delle stesse sia dall’umore, in cui magna pars è data dagli stati depressivi.
Il Comitato etico indica poi nella figura del fiduciario lo strumento necessario per supplire ad un consenso, presente nel testamento biologico, non sufficientemente relato, informato, circostanziato e attuale. Per il Comitato la parola del fiduciario è infallibile tanto che non può essere appellata da chicchessia, nemmeno dai familiari. Ma il fiduciario può sbagliare nell’interpretazione del testamento e sbaglia eccome. Ci limitiamo ad evidenziare come la letteratura abbia rilevato una considerevole inattendibilità del fiduciario nel suo ruolo di fedele interprete delle volontà del dichiarante quando questi è ancora cosciente. Ciò avviene per motivazioni plurime (condizioni del paziente, tipologia della prognosi e di relazione con il dichiarante, stato emotivo, etc.), ma spesso tali motivazioni convergono nella predisposizione del fiduciario nel proiettare sui desideri del paziente le proprie e non le altrui volontà.
Infine i membri del Comitato suggeriscono alle amministrazioni locali di istituire i registri per i testamenti biologici, immemori che tale materia è di appannaggio del Parlamento, non dei singoli comuni.
E su tutto questo c’è la firma di un vescovo cattolico.