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Il critico d’arte Vittorio Sgarbi: «Le chiese moderne? Orribili. Non c’è più legame tra arte, bellezza e sacro»
NEWS 16 Dicembre 2016    

Il critico d’arte Vittorio Sgarbi: «Le chiese moderne? Orribili. Non c’è più legame tra arte, bellezza e sacro»

di Federico Cenci

 

Consacrata nel fine settimana scorso, la chiesa dedicata a Santa Teresa di Calcutta è stata eretta ad imperituro ricordo del Giubileo della Misericordia recentemente conclusosi. Sorge nel quartiere di Ponte di Nona, estrema periferia orientale di Roma, uno dei più tipici agglomerati di grigi palazzoni-dormitorio.

In un simile contesto, la chiesa costituisce occasione di incontro con Dio e cemento di coesione sociale. Lo stesso Papa Francesco, nel Messaggio alle Accademie Pontificie, ha sottolineato l’importanza delle chiese parrocchiali in luoghi periferici. Ma il Santo Padre ha precisato che debbono essere “oasi di bellezza”.

E la chiesa dedicata alla missionaria albanese, secondo molti osservatori, non è propriamente fedele a questo richiamo estetico di Bergoglio. Come capita ormai da qualche decennio quando viene consacrato un nuovo edificio di culto, si levano non pochi pareri critici. L’accusa è sempre la stessa: più che a chiese, queste strutture moderne somigliano a dei freddi magazzini. Chi è particolarmente sensibile al tema è il critico d’arte Vittorio Sgarbi, il quale più volte ha esercitato il suo celebre temperamento per denunciare la “bruttezza” delle chiese moderne. ZENIT lo ha intervistato.

 

Prof. Sgarbi, ha visto la chiesa di Santa Teresa di Calcutta a Ponte di Nona? Che gliene pare?

È una triste conferma del fatto che le chiese moderne sono orribili.

Cosa non Le piace delle chiese moderne?

Ne ho ampiamente parlato in diversi libri, ho fatto un convegno sul tema con mons. Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara. Il punto è che nell’evoluzione degli stili, vi è stata una eliminazione dal punto di vista morfologico di elementi costitutivi per secoli delle chiese quali la cupola e la volta. Questi sono elementi-simbolo del cielo. Le chiese moderne, come fossero magazzini, presentano invece un soffitto piatto, il quale dà la misura in chiave simbolica della caduta del cielo. Proprio in questo momento sono in macchina e sto passando vicino alla Chiesa dell’Autostrada, realizzata negli anni sessanta da Giovanni Michelucci: è un esempio di questa deriva di cui sto parlando.

C’è qualche altro esempio che Le è particolarmente indigesto?

Quella di Massimiliano Fuksas a Foligno. Quella immonda “scatola di scarpe” è una delle più significative testimonianze della caduta del cielo.

L’inverno scorso in quella chiesa il parroco è stato costretto a celebrare le Messe in sacrestia, perché nella costruzione dell’archistar faceva troppo freddo. È un edificio che non è nemmeno funzionale…

È un edificio che più che una chiesa, bisognerebbe definirlo un hangar, un magazzino, un cubo gigantesco… Non mi stupisce che in un tempio di bruttezza tale ci siano anche disagi.

A cosa attribuisce questa deriva estetica delle chiese moderne?

Il fatto che gran parte degli architetti moderni sia ateo è un dato non di per sé definitivo, ma abbastanza indicativo. L’assenza di fede di certi architetti, spesso comunisti, non permette loro di trasformare il valore spirituale in valore formale. È così che si determina quella confusione artistica da cui scaturiscono non edifici sacri ma grigi capannoni utili soltanto a contenere le persone.

Una causa della bruttezza delle chiese è dunque la perdita del sacro?

Siamo in un secolo senza identità né tradizione. C’è questa tendenza a voler costruire tutto ex novo, in cui ogni regola è subordinata alle prevaricazioni formali del narcisismo degli architetti. Questo avviene nell’architettura religiosa, ma non solo. In ogni ambito assistiamo a una deriva estetica.

Qual è la soluzione?

Bisognerebbe ristabilire quel legame tra arte, bellezza e ricerca del significato ultimo dell’uomo. Ma mi rendo conto che è un obiettivo in controtendenza rispetto al pensiero dominante. Non c’è niente da fare. Si chiama decadenza proprio perché è un processo ineluttabile.

C’è qualche esempio virtuoso invece?

Nell’ambito del contemporaneo, le chiese di Mario Botta sono quelle che riescono maggiormente a porsi in linea di continuità con l’architettura del passato. E poi c’è l’esempio della ricostruzione della Cattedrale di Noto.

Prego…

L’ho fatta ricostruire io, dopo il crollo del 1996. È stata ricostruita così com’era ed è stata decorata mantenendo un’iconografia che fosse in armonia con la funzione liturgica e con le necessità religiose del luogo. È un esempio unico di cui sono stato protagonista. Sulla scia della “teologia della liturgia” di Benedetto XVI, che ristabilisce il legame tra architettura sacra e fede.