Ieri il presidente egiziano Abdel-Fattah Al-Sisi, presente ai funerali vittime , aveva puntato il dito contro i Fratelli musulmani, ritenendoli i responsabili morali e materiali della strage. Secondo il capo dello Stato l’autore sarebbe il 22enne Mahmoud Chafiq Moustapha, identificato grazie alle tracce di Dna rinvenute sulla scena dell’esplosione. Altre quattro persone sono state fermate e due risultano ricercate per coinvolgimento nell’attentato.
Pronta la replica dei vertici della Fratellanza che, da loro esilio in Qatar, hanno negato ogni coinvolgimento, respingendo le accuse.
In un quadro ancora confuso si inserisce la dichiarazione dello Stato islamico, che si è attribuito la responsabilità dell’attacco come avvenuto in altri fatti di sangue del passato, in Egitto e nel resto del mondo. Nel comunicato ufficiale i leader jihadisti hanno rivelato il nome del kamikaze che si è fatto saltare in aria: si tratterebbe di un proprio affiliato, identificato con lo pseudonimo di Abu Abdallah al-Masri, che si è “mescolato fra la folla” e “ha azionato la cintura esplosiva”.
Quello alla chiesa è l’attacco più sanguinoso contro civili rivendicato dal gruppo terrorista in Egitto, dall’abbattimento di un volo civile avvenuto nell’ottobre 2015. L’aereo, appena decollato dalla città turistica di Sharm el Sheikh con 224 persone a bordo, trasportava turisti russi di rientro da una vacanza nella celebre località marittima. Lo SI aveva rivendicato l’abbattimento, sebbene le autorità del Cairo abbiano all’epoca declassato le affermazioni ritenendole solo “propaganda”.
I miliziani dello SI annunciano infine nuovi attacchi contro “ogni infedele e apostata in Egitto e da tutte le altre parti”.
Intanto emergono le prime testimonianze di sacerdoti e fedeli presenti al momento dell’esplosione. La 14enne Cynthia Michel, ricoverata in ospedale e reduce da un intervento chirurgico per le ferite riportate nello scoppio, è fra le poche persone ad aver visto in faccia l’attentatore. “Mi ha molto stupito – racconta dal proprio letto – vedere un uomo che aveva qualcosa in testa e una pancia grossa, entrare in chiesa dal lato delle donne. Egli ha aperto la giacca, poi non ho visto né sentito più nulla”.
A celebrare la funzione vi era p. Antonios Mounir, che parla per la prima volta dal giorno dell’attacco: “Quella è la porta attigua all’ingresso principale – sottolinea il sacerdote – ed era la più semplice per l’attentatore. Nessuno l’ha visto, né i diaconi né i volontari che operano al servizio della chiesa”. Un fedele, aggiunge, “ha riconosciuto l’autore dell’attentato quando ha visto la sua foto sui media” e “si è recato negli uffici del procuratore generale per fornire la propria testimonianza”. Il giorno precedente egli aveva “incontrato” il kamikaze, conclude p. Mounir, che aveva fatto un sopralluogo nell’area con il pretesto di “comprare dei libri. E poiché non vi erano libri in quella sala, ha chiesto di poter andare a pregare in chiesa ma la sua richiesta è stata negata”.
(Ha collaborato Loula Lahham)