Nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che è il punto di riferimento per le relazioni con le religioni non cristiane, si legge che la Chiesa “considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini”. Riguardo in particolare al buddismo, nella dichiarazione si apprezza il fatto che in esso “secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole”. Pur riconoscendo raggi di verità nelle altre religioni, i padri conciliari ricordano come la verità piena sia custodita dalla Chiesa, che “annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose”.
Nel solco di queste premesse, si fa fatica a farvi rientrare la rassegna Buddismo e Cinema. Conoscere la spiritualità del Buddha attraverso i film, promossa da una cooperativa di servizi audiovisivi, d’intesa con l’Istituto salesiano Sant’Ambrogio, il decanato Zara della diocesi di Milano, l’Unione buddhista italiana (Ubi) e la coop In dialogo, emanazione dell’Azione Cattolica. La locandina che promuove l’evento è in questi giorni affissa alle bacheche di alcune chiese del decanato Zara, all’interno del quale operano i salesiani che hanno concesso il patrocinio all’iniziativa, sostenuta pure dal decano Roberto Viganò, “dentro un cammino di conoscenza delle religioni, già avviato l’anno scorso con l’Islam”. La rassegna è articolata in tre incontri (dal 28 novembre al 19 dicembre, presso l’auditorium e il cinema dei salesiani), ognuno dei quali prevede la visione di un film sul buddismo e la distribuzione di materiale informativo sui temi trattati. “Un’iniziativa culturale”, la definisce minimizzando don Ivano Mora, economo dei salesiani, che come padre Viganò non condivide le nostre perplessità. Le esponiamo.
Va bene la conoscenza delle altre religioni, ma alla luce del vangelo e del magistero un battezzato deve innanzitutto saper rendere testimonianza della propria fede e delle sue ragioni, prerequisito per un vero dialogo interreligioso in cui il cristiano può presentarsi all’altro con la sua identità. Ora, in questo caso, del dialogo non c’è nemmeno traccia, perché come mostra la locandina si tratta di incontri volti a far conoscere esclusivamente la spiritualità del Budda e tenuti dal responsabile della comunicazione dell’Ubi, dall’abate di un monastero buddista e da padre Luciano Mazzocchi, fondatore della comunità “Vangelo e Zen”, un nome che già di per sé evoca una tendenza al sincretismo.
In un contesto del genere, sorge una prima domanda: in questa iniziativa patrocinata da realtà cattoliche e che si svolge in strutture cattoliche, dov’è l’annuncio di Cristo risorto? La seconda è collegata alla prima: i fedeli che vanno in chiesa e si imbattono in una bacheca con l’immagine del Budda e la promozione della sua spiritualità, che cosa devono pensare? Riteniamo ragionevole credere che in alcuni si possa generare confusione, specialmente in questi tempi in cui si confonde il rispetto dovuto a tutte le religioni con l’idea che siano equivalenti e che in sostanza una “via” di salvezza valga l’altra, come se il Figlio di Dio si fosse incarnato invano e altrettanto invano avesse affrontato la croce.
Ma dicevamo del sincretismo. Per rendersi conto che siamo davvero lontani da quanto i padri conciliari scrissero in Nostra Aetate, basta navigare sul sito dell’associazione “Vangelo e Zen”, presentata come “una comunità di dialogo fra cristianesimo e buddismo che si fonda sulla certezza che il valore custodito dallo Zen e il valore annunciato dal Vangelo si illuminano e si ravvivano a vicenda, senza pregiudizi”. Sopra questa scritta campeggia un Budda che tiene tra le mani, all’altezza del grembo, una sorta di crocifisso. La vita della comunità animata da padre Mazzocchi, un missionario saveriano che ha vissuto 19 anni in Giappone, e dal cofondatore Giuseppe Jiso Forzani, un monaco buddista, prevede varie sedute di zazen, intervallate dalle lodi e dall’ascolto del Vangelo.
Sul sito si scopre poi che don Mazzocchi nel 2007 era di fatto favorevole ai Dico e in una mail di ringraziamento a Rosy Bindi, allora ministro delle politiche per la famiglia, esprimeva l’augurio che la Chiesa potesse ritrovare “l’autorevolezza della sua genuina testimonianza, in cui non c’è né l’essere condizionata né il condizionare” (in quei giorni Benedetto XVI aveva espresso preoccupazione ed esortato la classe dirigente a tener conto del diritto naturale: verosimilmente, è questo che il saveriano intende per “condizionare”). Scopriamo inoltre che a ottobre la comunità ha avviato un corso di studi sul pensiero di Raimon Panikkar, sacerdote e teologo spagnolo noto per le sue idee sincretiste, che di sé diceva: “Ho lasciato l’Europa come cristiano, mi sono scoperto indù e sono tornato buddista, senza aver mai cessato di essere cristiano”. Tra i relatori del corso figura Vito Mancuso, che in quanto a numero di dogmi di fede negati è difficilmente battibile.
A questo punto speriamo che sia chiaro perché delle iniziative così concepite rischiano seriamente di creare confusione e danneggiare la Chiesa e i suoi fedeli. Lo zen non si pone il problema di Dio, esclude di conseguenza l’azione della grazia nella vita dell’uomo e la necessità della redenzione operata da Cristo. Il cristiano non può invece dimenticare che Lui solo è il Salvatore. E, ancora di più in tempo di Avvento, non può fare a meno di annunciarlo.