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Lemaà®tre e il Big Bang: «Ho trovato due vie alla verità , la fede e la scienza. E ho seguito entrambe»
NEWS 30 Novembre 2016    

Lemaà®tre e il Big Bang: «Ho trovato due vie alla verità , la fede e la scienza. E ho seguito entrambe»

Il 2 dicembre, a cinquant’anni dalla morte, lo scienziato belga pioniere della teoria moderna del Big Bang sarà al centro di una seduta accademica che si terrà all’Accademia belga di Roma. Interverranno Thomas Hertog, Stephen Hawking e Rik Torfs. Durante il ricevimento che seguirà all’Ambasciata belga presso la Santa Sede, sarà il cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, a chiudere la giornata.

 

di Carlo Maria Polvani

 

Nel Premio Pulitzer per la saggistica del 1977, The Dragons of Eden: Speculations on the Evolution of Human Intelligence, l’astronomo dell’università Cornell Carl E. Sagan (1934-1996) propose un intrigante strumento pedagogico: il calendario cosmico.

Se i 13,8 miliardi di anni che costituiscono la storia dell’universo fossero ridotti sulla scala di un singolo anno di 365 giorni, si otterrebbero i seguenti punti di riferimento: il Big Bang sarebbe avvenuto alle ore 00:00 del 1° gennaio, la Via Lattea si sarebbe incominciata a formare il 16 marzo (11 miliardi di anni fa; il sistema solare, il 2 di settembre (4,6 miliardi di anni fa; fino al 9 di novembre, le uniche forma di vita sulla terra sarebbero rimaste molto semplici, con i pesci che sarebbero apparsi il 17 dicembre (500 milioni di anni fa), i dinosauri il 25 dicembre (250 milioni di anni fa) e gli ominidi il 31 dicembre (12 milioni di anni fa) verso le due e mezza di pomeriggio.

Benché si tratti di una provocante approssimazione, il calendario cosmico rende bene l’idea dei tempi di trasformazione dell’universo. Nello stimolante saggio Solo un miliardo di anni? Viaggio al termine dell’universo (Bologna, il Mulino, 2016, pagine 150, euro 13), il professor Paolo De Bernardis propone, in un certo senso, un approccio ancora più audace: immaginare un calendario cosmico futuro. Dalla sua luminosa descrizione dei tempi e dei modi in cui finirà la vita sulla Terra e per mezzo dei quali si dissolverà l’universo stesso, nasce nel lettore la sconcertante impressione che le gigantesche trasformazioni cosmiche previste per un lontano futuro siano, disgraziatamene, relativamente imminenti.

Il vincitore del Premio Balzan 2006 parte da una ineludibile osservazione: rispetto alla massa totale dell’universo, il nostro pianeta rappresenta meno di un piccolissimo granello di sabbia su di cui il replicarsi di forme di vita è ultimamente subordinato alla stabilità della temperatura, derivante da un equilibrio energetico fra le radiazioni solari che la Terra assorbe e l’energia che essa riflette. Che questo equilibrio sia alquanto precario lo si sospetta dal fatto che persino piccole quantità di gas che lasciano passare il calore in entrata ma non permettono a quello riflesso di uscire dall’atmosfera — come l’anidride carbonica, il metano e gli altri gas al centro dei Protocolli di Kyoto del 1997 — potrebbero alterare la stabilità termica sensibilmente e rapidamente. Ma quello che meno si considera è che, anche sventata la minaccia dell’effetto serra, la temperatura sulla terra è destinata a salire inesorabilmente quando, fra un miliardo di anni circa, il sole produrrà il dieci per cento in più del calore attuale e questo trasformerà il nostro pianeta in una sauna bollente.

Questo scenario potrebbe verificarsi molto, ma molto prima se, come lo previde il fisico Aleksandr Michajlovič Ljapunov (1857-1917), l’intero sistema solare diverrà caotico fra soli 50 milioni di anni. Un sistema fisico si dice caotico quando una piccola variazione nello stato iniziale porta a un’enorme alterazione nel suo sviluppo dinamico, un esempio caratteristico di sistema caotico essendo il noto “Effetto farfalla”, introdotto dal meteorologo Edward Norton Lorenz (1917-2008) per spiegare quanto siano difficili le previsioni meteorologiche, giacché il battito di ali di una farfalla nel Pacifico può provocare una cascata di eventi che porti alla formazione di un uragano nel Golfo del Messico.

Resterebbe allora relativamente poco tempo alle forme di vita terrestri per emigrare verso un cosiddetto eso-pianeta che avesse le caratteristiche per sostenere la vita nella sue forme conosciute. Finora, si sono individuati meno di dieci pianeti extrasolari o satelliti naturali con un indice di abitabilità sufficiente, ma molti di più potrebbero orbitare intorno a una delle almeno 200 miliardi di stelle della via Lattea. Ciò nonostante, fa notare l’accademico dei Lincei, anche se la vita terrestre non si estinguesse durante un viaggio che potrebbe durare decine, se non centinaia di milioni di anni alla velocità permessa dalla tecnologia attuale, la nostra galassia, essendo lei stessa in un movimento di rotazione, nel giro di sei miliardi di anni circa, potrebbe entrare in collisione con la sua gigantesca cugina Andromeda in uno scontro dalle conseguenze imprevedibili.

Sperando che tale cataclisma non avvenga, la legge di Hubble non lascerebbe comunque alcuno scampo. L’astrofisico statunitense Edwin P. Hubble (1889-1953), che ha dato il suo nome al più grande telescopio mai messo in orbita, osservò che più le galassie erano distanti dal nostro punto di osservazione, più si allontanavano rapidamente. La sua indagine si basava sull’effetto Doppler — dal fisico austriaco Christian A. Doppler (1803-1853) — che tutti conoscono: quando si sente passare un’ambulanza, si nota che la frequenza della sirena aumenta quando il mezzo di soccorso si avvicina e diminuisce quando si allontana. Poiché la luce nello spazio si comporta come un’onda e quindi come il suono prodotto dalla sirena di un’ambulanza, lo spostamento verso il rosso, conosciuto come redshift — la frequenza della luce rossa è inferiore rispetto a quella violetta che rappresenta l’altro estremo dello spettro visibile — osservato dalla luce che perviene dalle stelle, implica che l’universo, dopo essere partito dall’esplosione di un nucleo concentratissimo e caldissimo si stia allargando sempre di più, diventando sempre più immensamente vuoto e più glacialmente freddo in un processo irreversibile che, durando miliardi di miliardi di miliardi di anni, lo porterà a spegnersi in una plausibile morte termica.

Sarebbe allora il trionfo del secondo principio della termodinamica che prevede che l’entropia (la misura del disordine) di un sistema aumenta inevitabilmente quando esso si trasforma. Non dovrebbe fin troppo meravigliare che uno dei mitici padri della termodinamica, Ludwig E. Boltzmann (1844-1906), conscio, forse meglio di chiunque, della inevitabilità della vittoria del caos, si sia suicidato impiccandosi durante una vacanza nella pittoresca Duino vicino a Trieste e che sulla lapide della sua tomba nel Wiener Zentralfriedhof, sia scritta solo la laconica quanto spietata formula da lui scoperta: S=kb log Ω (l’entropia, S, è la moltiplicazione del logaritmo delle configurazioni possibili di un sistema, log Ω, per la costante di Boltzmann, kb).

Ma dovrebbe piuttosto stupire che l’uomo che formulò la teoria di un inizio esplosivo dell’universo che lo lanciasse in una irreversibile espansione sia stato un sacerdote vallone: Georges H.J.E. Lemaître (1894-1966). Dopo i suoi studi al Massachusetts Institute of Technology, l’ingegnere di Charleroi pubblicò tale ipotesi, sulla rivista «Nature», nel 1931, sotto il nome di Teoria dell’atomo primigenio. Etichettata con sarcasmo dall’astrofisico britannico ateo sir Fred Hoyle (1915-2001) di Big Bang Theory, essa accrebbe la fama del suo ideatore che divenne prima membro (1936) e poi presidente (1960) della Pontificia Accademia delle scienze. La vita e l’opera del docente dell’università cattolica di Lovanio — che confidò nel 1933 al New York Times Magazine di aver trovato due vie alla verità [la fede e la scienza] e di aver seguito entrambe — furono una prova della giustezza dell’enciclica Providentissimus Deus del 1893: Nulla quidem theologum inter et physicum vera dissensio intercesserit (“Nessuna vera contraddizione può interporsi tra il teologo e il fisico”).

Maria Rosati Buffetti — in La Specola Vaticana. Racconto fotografico d’una straordinaria avventura scientifica (Roma, Gangemi Editore, 2016, pagine 144, euro 24) — ricorda che fu proprio Leone XIII a rilanciare le attività del ben noto osservatorio stellare seguendo i suggerimenti dell’astronomo barnabita Francesco Denza (1834-1994), il cui mentore gesuita, il brillante astrofisico Angelo Secchi (1818-1878), aveva avuto l’idea antesignana di classificare le stelle secondo l’analisi spettrale della loro luce, aprendo così la porta all’osservazione del suddetto redshift. Tutti questi sacerdoti appassionati dell’osservazione degli astri celesti incarnano alla perfezione le parole di Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) nel capitolo quinto sulla perfezione cristiana dello sforzo umano nella prima parte dedicata alla divinizzazione delle attività umane del Le Milieu Divin. Essai de spiritualité: «In virtù della creazione e, più ancora, dell’incarnazione, nulla è profano, qui sulla Terra, a chi sa vedere». Le stelle, verrebbe voglia di aggiungere.